Navi allevamento: il futuro della pesca?

A livello mondiale la pesca è sempre meno sostenibile. L'idea cinese di grandi navi-allevamento potrebbe contribuire ad invertire questa tendenza.

L’impatto ambientale della pesca è enorme. Facciamo fatica a percepirlo perché, non essendo animali marini, il nostro contatto con questi due terzi del pianeta è giocoforza limitato. Ma questo non significa che l’effetto non ci sia. Secondo il più recente rapporto FAO (2020), più di un quarto delle riserve ittiche mondiali vengono pescate più in fretta di quanto non si riproducano, e i meno di tre quarti rimanenti sono quasi ovunque pescati al limite delle loro capacità riproduttive. Il Mediterraneo è una delle aree che fa peggio, con tre quarti delle riserve ittiche pescate al di sopra della sostenibilità, e se è pur vero che nei nostri mari la situazione negli ultimi anni ha iniziato a migliorare, a livello globale l’eccessiva pressione sugli ecosistemi marini rimane in costante crescita.

La maggioranza delle riserce ittiche sono gestite in modo sostenibile, ma la frazione sovrasfruttata è in costante crescita (Manuel Barange, FAO: International Symposium on Fisheries Sustainability, Roma 2019, tradotto)

A questa situazione vanno aggiunti gli effetti sulle specie non pescate – che finiscono comunque nelle reti – e tutte le attività fraudolente: dalla distruzione dei fondali con reti a strascico alla pesca di specie protette. La caccia alle balene, ancora legale in Giappone, è forse la più famosa e simbolica di queste attività, ma non possiamo dimenticare che anche l’Italia è, ad esempio, uno dei principali contributori della pesca illegale del tonno rosso (pinna blu), che è specie tutelata.

Allevare anziché pescare

L‘allevamento può contribuire a ridurre la pressione sugli ecosistemi, evitando sia la cattura indiscriminata di specie anche non commestibili, sia l’eccessiva pressione sulle popolazioni naturali di specie commerciabili. La concentrazione di animali in aree ristrette comporta però dei problemi di inquinamento, e l’allevamento ittico non fa eccezione, soprattutto per gli allevamenti costieri, dove i fondali sono bassi e il ricambio d’acqua relativamente limitato.

Da questa situazione, l’idea di un’azienda a controllo statale cinese: mettere le vasche di allevamento su una nave, per poter allevare i pesci potenzialmente in qualunque punto dell’oceano. Così facendo, si eviterebbe di concentrare gli effetti dell’allevamento in un’area fissa e ristretta, dove l’impatto ecologico diventa rapidamente insostenibile. Sono ancora pochi i dettagli del progetto diffusi dalla stampa: si sa che la nave sarà in grado di pescare anche in profondità l’acqua necessaria al ricambio delle vasche, e che potrà muoversi sia per cercare le acque più adatte alle sue necessità, sia per evitare condizioni meteo avverse, evitando così la possibile fuga di animali nell’ambiente selvatico dovuta a danni alle vasche provocati da eventi meteorologici particolarmente violenti.

Dal punto di vista sanitario la questione è più sfumata. Negli allevamenti su terraferma è relativamente facile garantire la biosicurezza: impedire cioè che una malattia o un parassita entri nell’allevamento. Potrebbe essere più difficile farlo in questi allevamenti d’alto mare, che sembrano destinati ad avere un contatto molto più diretto con l’ambiente selvatico. Alcuni parassiti – come l’Anisakis – possono anche costituire un pericolo per l’uomo. Tuttavia, non c’è ragione di ritenere che i controlli sanitari già esistenti non siano sufficienti anche per un pesce che è comunque molto più controllato e controllabile del selvatico pescato.

Resta ancora tutto da valutare se e quali trattamenti sanitari si riveleranno necessari, e in che misura questi trattamenti finiranno nell’oceano.

Ampliando la quantità di pesce allevabile, la possibilità che l’acquacoltura possa crescere abbastanza da ridurre la pressione della pesca sugli ecosistemi marini diventa reale. L’azienda ha dichiarato che questa prima nave-prototipo sarà in grado di produrre 4000 tonnellate di pesce all’anno. Partendo dalla stima FAO di poco meno di 100 milioni di tonnellate di pescato all’anno, ne deriverebbe che venticinquemila navi come il prototipo cinese potrebbero sostituire, in peso, l’intero pescato mondiale. Venticinquemila navi possono sembrare tante, ma vanno confrontate con le attuali flotte di pescherecci che, secondo le stime FAO, hanno superato i quattro milioni e mezzo di scafi. Difficile dire quante navi aggiuntive serviranno per portare regolarmente sulla terraferma il pesce allevato, ma è possibile che ci siano vantaggi anche in termini di consumo diretto di combustibili fossili.

L’allevamento è anche più affidabile del prelievo di specie selvatiche, soggetto quest’ultimo a variazioni stagionali, all’impoverimento da pesca eccessiva e ai cambiamenti climatici. Per molte popolazioni la pesca è una fonte primaria di nutrimento non facilmente sostituibile: una crescita sostanziale dell’allevamento potrebbe quindi dare un contributo rilevante alla stabilità alimentare in molte aree del pianeta.

La Guoxin 1, la nave-allevamento della Qingdao Conson, al momento del varo ufficiale (Foto: South China Morning Post)

Limiti dell’acquacoltura

La quantità non è tutto. La caccia alle balene, la pesca illegale dei tonni pinna blu o la raccolta dei cetrioli di mare (non ci sono solo i pesci!) non sono legate alla necessità di soddisfare un fabbisogno alimentare primario. Molte attività di pesca illegali sono legate a fattori culturali o squisitamente economici. In alcune regioni del mondo, l’alto prezzo delle specie più rare e ricercate può essere anche una fonte di sostentamento difficile da sostituire, analogamente a quanto accade per la cattura e il commercio illegali delle specie protette.

Anche tra specie legalmente pescabili e commerciabili, non tutte sono allevabili. Il tonno, ad esempio, comporta molte difficoltà e ad oggi non si riesce a riprodurlo in cattività in modo efficiente. Quelli che oggi vengono comunemente chiamati allevamenti di tonni sono in realtà poco più di gabbie dove vengono tenuti all’ingrasso esemplari catturati. A peggiorare le cose, si aggiunge il fatto che le specie carnivore (come il tonno) hanno bisogno di essere alimentate con altri pesci, di solito sardine e sgombri, che a loro volta sono pescati e non allevati.

Queste grandi navi-allevamento, e l’acquacoltura in genere, per quanto efficienti ed efficaci possano diventare, nell’immediato futuro sono destinate a risolvere solo in parte il problema dell’insostenibilità della pesca. L’effettiva utilità, o meno, di questa particolare idea ce la diranno i dati che arriveranno dai primi prototipi come quello varato a fine maggio. Tuttavia non si può ignorare il fatto che una parte consistente dell’umanità dipenda, per la sua sopravvivenza, da un modo insostenibile di sfruttare il mare. Qualunque contributo alla sostenibilità in questo settore non dovrebbe essere sottovalutato.

di Giovanni Perini

Scrivi un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*