Non è un giornalismo per giovani

I giornali non vendono più, non riescono a interessare i più giovani, ma l'alternativa è un'informazione online veloce e approssimativa che rischia di (dis)informare e fare più danno che resa

Sono Giuseppe, ho 23 anni e non ho mai comprato un giornale.

Questa mia confessione mostra l’ambiguità che ormai da tempo sembra attanagliare l’informazione; se da una parte il grottesco nasce dal fatto che l’affermazione sia stata pronunciata da chi si appresta a scrivere un articolo di giornale, dall’altra è così paradossalmente normale che si allinea alla perfezione con le abitudini di gran parte della popolazione, specialmente dei più giovani.

Il giornale – cartaceo e non – che dovrebbe aiutare la formazione di un senso critico e trasmettere informazioni, in questi ultimi anni è stato parzialmente sostituito da un mezzo più istantaneo, sempre più accessibile: la rete e tutti gli strumenti da questa forniti. Ovviamente i giornali continuano a essere pubblicati, ma il problema cui si fa riferimento è che il pubblico a cui questi arrivano è sempre più un pubblico adulto, quasi mai giovane. Si può dire che il cambio generazionale abbia influito molto sulla diffusione dei quotidiani, tanto più perché le grandi testate giornalistiche non sono riuscite ad aggiornarsi e a rimanere al passo coi tempi, mantenendo sempre un’impostazione che ormai sembra (forse è?) vecchia.

In un articolo de Il Post Alice Lanciano, citando i dati di Accertamenti Diffusione Stampa (ADS), evidenzia come la pandemia e il conseguente stallo economico abbiano influenzato negativamente il settore giornalistico, in crisi già da tempo. Gran parte dei quotidiani ha perso un’importante percentuale (dal 30 al 50%) delle copie diffuse e, con questo calo, è calata anche la presenza degli investimenti pubblicitari, uno dei principali introiti economici dei periodici.

Per sopperire alle perdite economiche, con l’avvento dell’online, oltre allo spostamento dei vari editori e delle varie testate giornalistiche, anche la stessa pubblicità ha provato ad adattarsi, ma con diversi risultati – gli annunci sul web, infatti, non hanno le stesse entrate rispetto ad un giornale cartaceo.

Si può pensare, in questo caso, alla strana ‘guerra’ che è iniziata tra Facebook, Google e le varie testate giornalistiche. Infatti i due grandi colossi molto spesso sono i primi a fornire notizie agli utenti: c’è chi si informa tramite Google News chi tramite la home di Facebook, aumentando così il proprio raggio d’azione. Solamente nel 2018, in seguito a numerose richieste dei suoi utenti, Facebook ha modificato l’algoritmo, mostrando più contenuti degli “amici” e meno post delle pagine dei giornali, andando così a oscurare in primis le notizie in sé e successivamente anche le inserzioni.

Cosa comporta tutto ciò? La viralità è diventata la base del credo di chi vuol vivere in questo mondo, svalutando qualitativamente l’informazione, preferendo invece la quantità di articoli, a volte anche non veritieri (fake news) o redatti solamente per il gusto di attirare l’attenzione e quindi lettori (clickbait).

È interessante l’opinione di Jeremy Littau, insegnante di giornalismo alla Lehigh University della Pennsylvania: la crisi del giornalismo non sarebbe da imputare allo sviluppo di Internet, ma da ricercare alla fine degli anni Ottanta, quando i giornali erano dei veri e propri colossi nel panorama finanziario e azionario. Gli introiti di queste attività quasi mai venivano investiti per l’aggiornamento delle redazioni o per la ricerca di innovazioni.

Verso la metà degli anni Novanta, i giornali devono contrastare una vera e propria crisi dovuta al debito enorme ricavato dal calo degli abbonamenti ed è in questo momento che nascono i primi blog, che si distaccano anche dai modi di fare del giornalismo tradizionale. Littau scrive anche della crisi che colpisce i giornali locali e cittadini, forse la componente più esposta a questo stillicidio. Se da una parte i grandi giornali perdono periodicamente views e abbonamenti, dall’altra possono sempre contare su importanti investimenti e un pubblico molto vasto, mentre il giornalismo regionale no. Di conseguenza è sempre più semplice leggere di ingenti tagli al personale che spaventano chi di professione vorrebbe essere giornalista.

Certamente non tutto il male viene per nuocere. Internet, descritto qui come principale ‘boia’ di questa macchina dell’informazione, in realtà è probabilmente l’unica strada percorribile per giungere ad un compromesso. Infatti, gran parte dei giovani preferisce informarsi seguendo lo spirito del tempo, ovvero attraverso i social e il loro linguaggio, che comprende una dialettica diretta e sintetica, capace di riassumere in poche battute le notizie del giorno.

Però, se da una parte l’informazione ha la possibilità di viaggiare liberamente e di conseguire i traguardi per cui è nata, dall’altra c’è il rischio che si possa assistere ad un vero e proprio impoverimento culturale, figlio sempre di quello stile ricercatore di brevitas e immediatezza. Inoltre sorge anche un altro problema: tutti, per poche ore, possono diventare giornalisti, serve solo avere un dispositivo mobile e un profilo social per denunciare o documentare un evento. Se da una parte ciò può essere positivo per la circolazione di una notizia, abbattendo così le barriere della censura, dall’altra può anzi degenerare permettendo la diffusione di fake news o peggio, permettere l’avvento e lo sviluppo di quello che Umberto Eco chiamava “L’era degli imbecilli, perché il Web ha dato agli “imbecilli” lo stesso pubblico che hanno i premi Nobel.

Ciò non fa altro che accrescere la sfiducia nei confronti dell’informazione e – di conseguenza – nei giornali. Se prima era quasi diventato un assioma matematico il mantra L’ha detto la TV, come se questa entità totemica riportasse la verità assoluta, ora si preferisce credere a terzi o addirittura a nessuno. Enrico Mentana, nel suo intervento a TEDxTiburtino, mostra come gli americani per le elezioni del 2017 abbiano preferito diffidare dai candidati sostenuti dai vari mezzi di comunicazione (tra cui i giornali), preferendo invece il non-sostenuto da questi ultimi, Donald Trump, sottolineando che i cittadini abbiano percepito come establishment proprio quei candidati inneggiati dai grandi giornali, come se l’informazione fosse diventata un elemento elitario appannaggio di pochi. Tutto ciò, ovviamente, influisce anche sull’economia che gravita intorno all’informazione, andando così ad aggravare la posizione dei giornali, ormai percepiti dai cittadini come destinati a un pubblico di nicchia.

Ascoltando pareri altrui, una delle cose più soddisfacenti nel leggere un giornale è l’abitudine, il rito che si crea, sfogliare pagina per pagina aspettando di trovare la notizia interessata. Una voglia matta di entrare in questa monotonia si è impossessata di me e, comprando un giornale cartaceo, in treno ho cercato di riprodurre tutte quelle sensazioni che mi erano state descritte. Ho letto una sola notizia e poi basta, non era nato nulla in me, anzi, ero molto annoiato.

Amo leggere, dai romanzi ai saggi, passando per manga e graphic novel, ma in quel momento, mentre accettavo stoicamente lo sfogliare del quotidiano, rimpiangevo la mia scelta. Penso che quell’universo non mi appartenga, non per scelta personale, quanto per una questione di abitudine: se fossi stato ‘costretto’ ad acquistare giornali sin da bambino (ovviamente non costringerei mai mio figlio a sorbire le notizie economiche di un qualsiasi giornale) probabilmente non farei questo discorso; purtroppo (o per fortuna) così non è stato.

La mia esperienza certamente non è da estendere alla mia generazione, non sono una sineddoche, ma non sono neanche un caso isolato. Per questo penso che l’abitudine di comprare o leggere un quotidiano appartenga ormai a un mondo diverso dal mio/nostro e che se questa generazione non porrà fine alla diffusione cartacea dei giornali, sicuramente la prossima darà una scossa definitiva, decretando (forse) la morte della carta stampata. Può far ‘paura’, ma non sarà la fine dell’informazione.

Immagino un futuro dove solo pochi quotidiani rimarranno in vita, affiancati da riviste di approfondimento e dalle intramontabili del gossip che da sempre carpiscono l’attenzione di molti. Spero invece in un notevole cambiamento e innovazione del digitale per quanto riguarda la diffusione di notizie: ciò che propongo è prima di tutto una vera e propria rivoluzione morale, un percorso che porti chi scrive notizie alla consapevolezza del lavoro che fa. Insomma, un trionfo della qualità sulla quantità, diversificando magari le testate giornalistiche, evitando così notizie uguali e ripetitive.

Inoltre, ciò che manca è l’abitudine ad informarsi, la voglia di andare alla ricerca di notizie e di sapere cosa accade nel mondo. Non sarebbe sbagliato iniziare a educare bambini e ragazzi ad essere curiosi, creando così una vera e propria routine che veda l’informazione come pilastro della vita comunitaria, come uno strumento utile per la formazione di un proprio punto di vista.

di Giuseppe Russo

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