Colpevoli fino a prova contraria: Rosa e Olindo sono davvero degli assassini?
Si torna a parlare della strage di Erba, delitto di ormai diciassette anni fa nel quale morirono quattro persone e una venne gravemente ferita: ecco i dubbi che circondano la condanna per Rosa Bazzi e Olindo Romano
Lo scorso aprile, il sostituto procuratore generale di Milano Cuno Tarfusser, dopo essere entrato in possesso dei nuovi atti prodotti dal pool di avvocati di Rosa Bazzi e Olindo Romano, ha chiesto di riaprire il fascicolo riguardante la strage di Erba avvenuta nel 2006. Il sostituto procuratore ha mosso questa richiesta perché convinto che le prove portate a carico della coppia non siano schiaccianti come si credeva durante i due processi che hanno portato alla condanna e si dichiara convinto dell’innocenza dei coniugi, vittime da ormai sedici anni di un errore giudiziario.
I fatti del 2006
La sera dell’11 dicembre 2006, all’interno di una corte ristrutturata di una palazzina a Erba (provincia di Como), vengono uccisi Raffaella Castagna, il figlio Youssef Marzouk, la madre Paola Galli e la vicina di casa Valeria Cherubini, mentre il marito di quest’ultima, Mario Frigerio, è ferito gravemente.
I corpi sono ritrovati da due vicini che, intorno alle 20.20, entrano nella palazzina dopo aver notato del fumo fuoriuscirne. Una volta entrati vedono il corpo di Mario Frigerio accasciato a terra con gravi ferite al collo che gli impediscono di parlare, ma comunque cosciente.
Dal piano di sopra si sentono le urla di una donna che cerca di chiedere aiuto, ma a causa del fumo i due soccorritori non riescono a raggiungerla. Una volta entrati nell’appartamento di Roberta Castagna, i due trovano il corpo della donna avvolto nelle fiamme – spente velocemente – ma solo dopo aver allontanato la donna dal fuoco. A quel punto le fiamme sono troppo estese e i due uomini sono costretti ad uscire e aspettare i soccorsi. Una volta domate le fiamme i soccorritori trovano i corpi di Roberta Castagna, Youssef Marzouk e Paola Galli all’interno dell’appartamento dove era scoppiato l’incendio, mentre al piano superiore Valeria Cherubini, deceduta mentre cercava di aprire le finestre per far uscire il fumo dalla palazzina.
Tutti i cadaveri mostravano ferite provocate da un’arma da taglio e da una spranga. Raffaella e la madre erano morte a causa di lesioni da spranga alla testa, nonostante anch’esse fossero state pugnalate ripetutamente, mentre Youssef, di nemmeno due anni, avevano riportato un’unica ferita alla gola che gli recise la carotide e lo aveva dissanguato. Valeria, ritrovata in ginocchio nel suo appartamento, era stata accoltellata e colpita con la spranga ripetutamente durante la colluttazione con gli aggressori, ma la causa della sua morte è ricollegabile alla respirazione del monossido di carbonio rilasciato dall’incendio.
I sospetti
Gli inquirenti individuano come primo sospettato Azouz Marzouck, marito di Raffaelle Castagna e padre di Youssef, l’unico del nucleo famigliare Marzouck-Castagna a non essere ucciso. I media lo additano immediatamente come colpevole, basandosi anche sui precedenti dell’uomo (legati allo spaccio di droga) e alle modalità con cui erano state aggredite le vittime. Dopo brevi indagini, però, si scopre un alibi più che solido: Azouz al momento dei fatti si trovava in Turchia da qualche giorno, cosa che esclude la possibilità che sia lui l’aggressore.
Una volta confermata la sua innocenza, i sospetti si spostano velocemente su i coniugi Rosa Bazzi e Olindo Romano che vivevano nell’appartamento sottostante a quello di Raffaella. Ciò accadde a causa di quello che diverse persone, residenti all’interno della corte, dissero ai carabinieri: fra i Romano e Raffaella Castagna non scorreva buon sangue, realtà che è stata comprovata anche dalle numerose denunce che i tre si erano rivolti. Proprio in merito a queste denunce si sarebbe dovuta tenere, qualche giorno dopo l’omicidio, una seduta in tribunale relativa alla denuncia per aggressione presentata da Raffaella contro Rosa Bazzi.
Ma Olindo e Rosa avevano pessimi rapporti con tutti gli abitanti della corte e sono stati descritti come una coppia molto isolata e aggressiva: è stato riferito di diversi scambi avuti con i due con insulti sfociati anche in minacce. Il clima era piuttosto teso all’interno del complesso abitativo.
Il processo e la condanna
Rosa ed Olindo sono stati arrestati a un mese dagli omicidi e a distanza di due giorni entrambi hanno confessato di essere i responsabili della mattanza e cercato di addossarsi la colpa per evitare il carcere al partner. Gli inquirenti presentarono una serie di prove a favore della colpevolezza della coppia, fra cui la testimonianza di Mario Frigerio, unico sopravvissuto, che aveva riconosciuto in Olindo Romano il suo aggressore.
Altre prove riguardavano il ritrovamento del sangue di Valeria Cherubini nella macchina di Olindo e, grazie alle indagini dei RIS di Parma, la descrizione che si poteva fare degli aggressori tramite le ferite riportate dalle vittime. Questi rilievi provavano che gli aggressori erano almeno due, di cui uno alto e più forte, mentre l’altro meno forte e mancino proprio come nel caso di Rosa Bazzi. Inoltre la confessione fatta dalla coppia (in sedi separate), risultava essere estremamente specifica e piena di dettagli, come ad esempio la tipologia di armi usate e la posizione dei corpi, conoscibili solo nel momento in cui si fosse effettivamente vissuta la scena del crimine.
A insospettire gli inquirenti, e quindi ad indirizzare i loro dubbi sulla coppia, fu anche il comportamento dei Romano nei confronti del fatto: i coniugi si erano dimostrati da subito disinteressati portando anche come prova – non richiesta – della loro assenza dalla scenda del crimine uno scontrino del McDonald’s. Il loro atteggiamento freddo e distaccato nei confronti di un omicidio così crudo avvenuto solo a pochi metri rispetto alla loro abitazione verrà utilizzato come ulteriore conferma di colpevolezza all’interno dell’aula di tribunale, aggiungendosi ad una descrizione della coppia già non particolarmente positiva, provocata delle numerose denunce a loro carico anche da parte dei loro stessi famigliari, con i quali avevano precedentemente tagliato i ponti.
Il 10 Ottobre 2007 durante un’udienza preliminare Olindo e Rosa ritrattano la loro confessione dichiarandosi innocenti. Il 12 Ottobre i coniugi vengono rinviati a giudizio. Durante il processo Olindo fa ben quattro dichiarazioni spontanee nella quali ribadisce la sua innocenza e quella della moglie, accusando i carabinieri che avevano condotto il suo interrogatorio di avergli fatto un lavaggio del cervello forzandolo a confessare sotto falsa promessa di liberare immediatamente la compagna.
Il 26 novembre 2008 la Corte d’assise pronuncia la sentenza di primo grado: Olindo e Rosa risultano colpevoli e vengono condannati all’ergastolo. Viene anche stabilito un risarcimento di 500.000 euro per i Frigerio, di 60.000 euro per Marzouck e 20.000 euro per i genitori residenti in Tunisia. Dopo la condanna, i coniugi Romano avevano fatto ricorso in cassazione, ma il 3 maggio 2011 viene sancito il rigetto dei ricorsi confermando così la colpevolezza dei due.
I dubbi
Se tutte le prove raccolte, fra cui la testimonianza dell’unico sopravvissuto alla strage, portano ad Olino e Rosa, perchè si sta parlando di riaprire il caso? Il 2 aprile scorso è andata in onda su Italia Uno una puntata delle Iene interamente dedicata al caso di Olindo e Rosa. Durante questo sevizio vengono mostrate nuove prove, presentati alcuni dubbi su come si sono svolte le indagini e piste che vennero ignorate nel 2006.
L’accusa durante il processo presentò tre prove fondamentali a supporto della colpevolezza dei Romano: la testimonianza di Mario Frigerio, le tracce di sangue di Valeria Cherubini all’interno della macchina di Olino e le confessioni della coppia. All’interno del servizio delle Iene questi tre punti vengono analizzati e, in alcuni casi, vengono portate alla luce delle incongruenze che renderebbero quasi impossibile – secondo i giornalisti – identificare Rosa e Olindo come colpevoli.
Mario Frigerio
La testimonianza di Mario Frigerio è indubbiamente una delle prove più concrete che l’accusa ha contro i Romano, ma se si guarda attentamente a come questa è stata raccolta si notano subito delle problematiche non insignificanti. Riascoltando le intercettazioni fra Frigerio e i carabinieri si nota immediatamente come il sopravvissuto, per lo meno in primo luogo, non nomini mai Olindo, ma anzi identifichi l’aggressore come persona a lui non nota. Questo iniziale dichiarazione è fondamentale proprio dal punto di vista scientifico, in quanto il riconoscimento del volto noto da parte del nostro cervello è immediato e non può verificarsi in un momento secondario.
L’uomo, oltre alla lesione al collo, aveva subito traumi cerebrali, rendendo molto più facile fare leva sulla sua memoria. Da alcune intercettazioni sembra quasi esserci una volontà di imprimere un ricordo prima inesistente. Infatti, durante uno dei primi colloqui fra Frigerio e Luciano Gallorini, comandante dei carabinieri di Erba, il nome di Olindo viene fatto ripetutamente, ma mai dal testimone. Gallorini chiede molte volte se la persona vista all’interno della palazzina fosse Romano e, nonostante le risposte negative, continuano a venire poste domande che sembrano finalizzate a creare un dubbio nella mente già confusa del paziente.
Queste registrazioni, che hanno un evidente peso dal punto di vista piscologico, non sono state mai ascoltate in tribunale durante i processi, in quanto Frigerio, arrivato a testimoniare in aula, sembrava fermamente convinto della colpevolezza di Olindo. I nastri, finalmente ascoltati da neuroscienziati su richiesta della difesa, risultano seguire una strategia investigativa scorretta che porta Frigerio a riconoscere in Olindo il suo aggressore solo dopo giorni di conversazioni con i carabinieri. Anche se questa serie di elementi può già sembrare sufficiente ad instaurare qualche dubbio, le Iene evidenziano altre problematiche legate proprio alla testimonianza data da Frigerio.
Le intercettazioni mancanti
Una grande quantità di intercettazioni fatte all’interno della camera di ospedale fra Mario Frigerio e i carabinieri non si trovano. Ce ne si accorge solo ora, a distanza di quasi vent’anni, perché sia durante i processi in primo grado sia di cassazione si era ritenuto utile ascoltare principalmente la testimonianza diretta dell’uomo, senza curarsi di come questa testimonianza fosse effettivamente cambiata. Tutte le persone coinvolte nelle indagini erano a conoscenza della ritrattazione dei fatti da parte del sopravvissuto, ma comunque decisero di non dare peso alla questione, rifiutando anche le richieste di ulteriori perizie volute dalla difesa sulle registrazioni ottenute dalle intercettazioni fatte in ospedale.
I problemi legati alle intercettazioni però non si limitano a quelle tra Frigerio e i carabinieri. Rosa e Olindo vengono visti come responsabili della strage anche in virtù del fatto che, nelle intercettazioni presentate in tribunale, non parlano mai della strage avvenuta proprio di fianco alla propria abitazione, cosa che li dipinge agli occhi dei magistrati e di coloro che seguono il caso come assassini freddi e spietati, privi di rimorso. In realtà i due coniugi parlano eccome dell’accaduto, solo che le registrazioni di queste conversazioni non si trovano. Si può ipotizzare che manchino circa seicento ore di intercettazioni che sarebbero andate perse, come molte altre prove riguardanti il caso.
Le tracce ematiche
In casa di Olindo e Rosa non vengono trovate tracce ematiche di nessuna delle vittime. Considerata la strage avvenuta e la quantità di sangue perso da cinque persone risulta quasi impossibile cancellare ogni traccia biologica, eppure, secondo i giudici, Rosa e Olindo ci sarebbero riusciti. La donna lavorava come donna delle pulizie e all’interno della corte era risaputo che tenesse particolarmente alla pulizia della propria casa. Questi due elementi si aggiungono alle accuse già presentate, diventando conferma della premeditazione del delitto.
Nonostante la bravura e la cura nelle pulizie, viene ritenuto plausibile che non siano stati in grado di ripulire con la stessa minuziosità anche la macchina, nella quale viene ritrovata una macchia di sangue appartenete a Valeria Cherubini, una delle vittime. La macchina appartiene a Olindo che è l’unico della coppia a guidarla (Rosa non ha la patente). Il sangue viene ritrovato sul battitacco del lato guidatore, ma solo e unicamente lì. Secondo le Iene, se l’uomo fosse salito sulla macchina con le scarpe sporche di sangue si sarebbero dovute trovare tracce per lo meno sui pedali o all’interno dei tappetini, che per natura sono estremamente permeabili. Eppure viene ritrovata solo una macchia e all’esterno dell’abitacolo.
Leggendo i verbali della perquisizione della macchina si possono trovare le firme di quattro carabinieri che, quindi, sarebbero i responsabili delle rilevazioni prese all’interno del veicolo. Tutti e quattro i carabinieri erano stati in prima persona sulla scena; a questo proposito, durante il processo, viene chiesto a Gallorini se non ci fosse la possibilità che uno dei suoi uomini avesse potuto contaminare la macchina. Il comandante nega dato che nessuno dei quattro carabinieri avrebbe concretamente svolto la perquisizione dell’autovettura. Si parla di un quinto carabiniere che avrebbe svolto i rilievi e che non sarebbe mai stato sulla scena del crimine, rendendo così impossibile la contaminazione. In aula viene accettata questa versione, ma durante le indagini svolte dal programma di Italia Uno e presentate durante lo speciale dedicato alla strage, vediamo come anche il perito che aveva raccolto e si era occupato di repertare le prove trovate nella macchina non abbia negato la possibilità di contaminazione, proprio per la quantità e per il punto in cui si trovava quel sangue.
Ulteriore elemento è la condizione della macchina: la vettura di Olindo risulta particolarmente sporca al suo interno e durante una telefonata con Rosa, di cui si ha l’intercettazione, l’uomo si lamenta affermando che gli operatori del RIS gli avessero “impiastricciato” la macchina, ottenendo come risposta dalla moglie un’esortazione a lavarla “finalmente”, lasciando intendere che fosse un qualcosa che veniva rinviato da tempo.
Al processo di primo grado, la macchia e il DNA ritrovatovi vengono descritti come “diluiti” e “danneggiati”, ma comunque abbastanza chiari per sapere con certezza che il sangue appartenesse a Valeria Cherubini. A distanza di anni questa macchia è stata riesaminata e con lei anche il codice genetico al suo interno, rivelando che in realtà non risulta per niente danneggiata o diluita. Per questi motivi sembra strano, se non impossibile, che i due avessero ripulito l’auto prima dei prelievi dei carabinieri e di conseguenza si riaprirebbe la possibilità di contaminazione della prova, riducendo notevolmente la sua rilevanza all’interno del caso.
Le confessioni
Lo speciale delle Iene non salva nemmeno le confessioni di Olindo e di Rosa, evidenziando più volte l’ambiguità delle loro parole. I due confessano a distanza due giorni dal loro arresto, avvenuto l’8 gennaio 2007, ma solo dopo aver avuto una conversazione di ben tre ore con alcuni carabinieri presso il carcere di Como. Durante questa conversazione gli ufficiali spiegano a Olindo le prove che hanno a suo carico e cercano di convincerlo a confessare per liberare Rosa e poter ottenere delle attenuanti di pena, ma Olindo chiede ripetutamente di vedere la moglie dalla quale è stato separato per la prima volta dopo anni.
I carabinieri acconsentono a farli incontrare, nella speranza che parlando tra di loro si lascino scappare dei dettagli se non addirittura una confessione. Ma l’incontro fra i due viene trascorso tra i pianti di Rosa e i tentativi di Olindo di consolarla, cercando di spiegarle la situazione come meglio può. Rosa continua a ribadire la loro innocenza, mentre il marito le legge le accuse e le prove a loro carico scritte sullo stato di fermo datogli dai carabinieri. L’atto di leggere alla moglie le accuse a loro carico può sembrare banale, ma risulterà importante più avanti all’interno dell’indagine condotta dalle Iene. Olindo spiega a Rosa ciò che gli hanno detto gli inquirenti, esprimendo la sua volontà di confessare così da “far finire al più presto questa storia”.
Quando il tempo loro concesso finisce Rosa chiede immediatamente di parlare con i magistrati, battendo sul tempo il marito e confessando. La donna cerca di prendersi la completa responsabilità degli omicidi, raccontando le sue azioni di quella sera e ponendosi come unica responsabile. La confessione appare subito altamente improbabile ai magistrati, non solo per il fatto che Rosa sia una donna piuttosto piccola di statura e che quindi non avrebbe potuto prevaricare ben cinque persone, ma anche per il fatto che la sua confessione risulta colma di errori. Per questo motivo i magistrati le dicono di ritirarsi e di pensare bene all’accaduto, così da poterne parlare meglio successivamente. Subito dopo viene ascoltato Olindo che a sua volta cerca di prendersi la colpa. Viene informato della confessione appena data dalla moglie (che gli viene persino letta) e smentisce il racconto raccontando come secondo lui siano andate davvero le cose.
Da quel momento Rosa e Olindo non fanno altro che confessare davanti ai carabinieri che però, secondo le Iene, compiono alcune scelte investigative totalmente errate. Ai due vengono mostrate le foto delle scene del crimine e a Rosa vengono lette le dichiarazioni di Olindo. Da quel momento i coniugi parlano di come avrebbero, questa volta insieme, ucciso Raffaella, sua madre, Youssef e Valeria. Nonostante la sentenza di primo grado parli di confessioni estremamente dettagliate, dichiarazione poi smentita durante il processo in Cassazione, leggendo le trascrizioni si può facilmente intuire come la coppia non sappia di cosa stia parlando.
Olindo dice di aver compiuto gli omicidi con la luce accesa e quando i carabinieri gli fanno notare che in realtà la luce era stata staccata, cambia velocemente versione. Subito dopo afferma di aver staccato la luce intorno alle 20.00, ma il contatore rivela che la luce era stata staccata intorno alle 17.45. L’uomo non ricorda molte dinamiche di ciò che è successo e continua a dare spiegazioni errate, come quando gli viene chiesto come ha appiccato fuoco all’appartamento. Dai rilievi scientifici svolti sul luogo gli inquirenti sanno che sono stati usati degli acceleranti, ma Olindo dice di aver usato un semplice accendino. Anche i colpi inflitti alle vittime non combaciano con i racconti di Rosa e Olindo: parlando di Valeria Cherubini dicono di averla colpita un paio di volte quando in realtà la donna presentava ben 47 ferite da arma da taglio e il cranio fracassato.
Il fenomeno della false confessioni è meno raro di quanto si possa pensare: l’isolamento può causare un indebolimento mentale che può far sopravvalutare le prove a proprio carico, in più possono essere usate delle tecniche d’interrogatorio specifiche che possono aver condizionato la decisione di confessare un crimine non commesso. Nel caso di Olindo e di Rosa, le Iene indicano alcune tecniche usate dagli inquirenti per convincere i due a confessare, fornendogli anche dei dettagli per rendere più veritiere le loro parole.
Il rapporto tra i coniugi Romano
Durante i processi non vengono svolti test sui coniugi, che però in carcere hanno frequenti incontri con psicologi e psichiatri che li dipingono come persone molto semplici che si trovano in una relazione estremamente esclusiva. Olindo viene addirittura descritto come incapace di mentire, perché psicologicamente non in grado di farlo.
Le Iene, affiancate da un gruppo di psichiatri e neuroscienziati convocati dalla difesa, fanno svolgere dei test cognitivi sui due e i risultati danno un quadro piuttosto chiaro della loro condizione psicologica e cognitiva.
A Olindo viene diagnosticato un disturbo dipendente di personalità nei confronti della moglie e poca autostima. Nonostante non ci fosse questa diagnosi, durante i processi in tribunale è sempre stato chiaro che l’uomo fosse legato in maniera quasi morbosa alla moglie, tant’è che – anche durante gli interrogatori – la minaccia di non poter rivedere più Rosa viene utilizzata ripetutamente per spaventare Olindo. La poca autostima lo porta anche ad essere facile preda di teorie al limite del complottismo (crede, ad esempio, che l’uomo non sia mai stato sulla Luna), ma anche a convincersi di cose assurde, come la possibilità di ottenere una cella matrimoniale in cui scontare la pena insieme alla moglie.
In precedenza si è anticipato come il fatto che Olindo legga le accuse a loro carico alla moglie fosse fondamentale all’interno dell’indagine svolta dai giornalisti; infatti Rosa non sa leggere. Vengono fatti dei test sulla donna che evidenziano una disabilità intellettiva e stabiliscono che il suo quoziente intellettivo sia di 58 punti, mentre il punteggio considerato “normale” è fra i 90 e i 110 punti – comunemente un punteggio di 70 indica la presenza di una disabilità cognitiva. I risultati di questi test ci introducono ad una serie di problematiche psicologiche e cognitive che rendono poco plausibile una premeditazione meticolosa come quella che viene descritta negli atti in tribunale e, quindi, smontano, almeno secondo le indagini delle Iene, tutte le prove trovate a carico della coppia.
Lo speciale a loro dedicato si è posto come obbiettivo quello di provare l’innocenza di Olindo e Rosa, portando alla luce diverse dinamiche che risultano strane, se non addirittura forzate. Non propongono nuove piste e non si spingono a cercare un possibile colpevole, per lo meno non ora. A fine puntata lasciano lo spettatore con una sorta di promessa: si occuperanno di nuovo del caso cercando di ricostruire ciò che sarebbe potuto succedere una volta rimossi Rosa ed Olindo dall’equazione.
di Annachiara Barotti
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