“Libere. Il nostro No ai matrimoni forzati”: in un libro le testimonianze di giovani donne che si sono ribellate

La giornalista Martina Castigliani riporta con la massima fedeltà i pensieri di libertà di queste donne che vogliono far sapere alle altre che si può scegliere un’altra strada da vivere, che c’è un’alternativa. “Qui non c’è niente di romanzo, sono vite vere, vite di persone che magari avete anche incrociato per strada”

Il 4 maggio si è tenuto a Parma l’ultimo incontro del ciclo di seminari “Corpi contesi”, la rassegna di incontri sul diritto all’autodeterminazione femminile dell’Università di Parma.

Al seminario oltre a Giulia Selmi e Veronica Valenti, curatrici degli incontri e docenti di Giurisprudenza, Studi Politici e Internazionali dell’Università di Parma, sono intervenute Martina Castigliani, giornalista del Fatto Quotidiano, autrice del libro “Libere. Il nostro NO ai matrimoni forzati” e Alessandra Davide, operatrice antiviolenza.

Nell’ultimo incontro del seminario si è trattato il tema dei matrimoni forzati. E lo si è fatto guardando da un lato la ricostruzione delle storie di donne che hanno attraversato l’esperienza del matrimonio forzato e dall’altro lato la possibilità di scrivere nuove storie che hanno come protagoniste donne che hanno invertito la rotta della loro vita, affinché non si compisse il matrimonio forzato. 

Il libro “Libere. Il nostro No ai matrimoni forzati”

Martina Castigliani ha raccontato la storia di questo libro e le storie che contiene. Essendo una giornalista passa la vita a raccontare le storie degli altri. E non abbandona l’enfasi neanche per questa opera che contiene storie di donne raccontate con le loro stesse voci. Infatti, dice l’autrice, quello che si è voluto fare è stato “cercare di fare in modo che queste ragazze parlassero, che le storie fossero scritte esattamente da loro, che ogni passaggio fosse quello che loro volevano dire”.  È stato un lavoro di “sbobinatura” quello della giornalista. Frase per frase, “era come l’avevano detta loro”. Ci sono stati cambiamenti fino a 12 ore dalla consegna del libro: una delle ragazze aveva chiesto di inserire che nonostante tutto vuole molto bene alla sua mamma. Ecco, con questo Castigliani ci fa capire che non è un libro dove da una parte ci sono i buoni e dall’altra i cattivi, “dimenticatevelo! Le vite sono molto complesse, le storie sono intricate e non è così semplice, ci sono tante sfumature, tante cose difficili da comunicare”.

Queste ragazze hanno percorsi migratori diversi, hanno poco più di vent’anni, e per dire no al matrimonio forzato hanno dovuto cambiare identità, spostarsi, cambiare paese, e ricostruirsi da un’altra parte. Nel momento in cui hanno cominciato a raccontarsi la scrittrice ha deciso di garantire la loro sicurezza; quindi, tantissimi elementi troppo specifici sono stati tolti. Avrebbero potuto inventare e il libro si sarebbe potuto tramutare in romanzo, ma “qui non c’è niente di romanzo, sono vite vere, vite di persone che magari avete anche incrociato per strada”. Allora la soluzione è stata quella di mettere su alcuni parti del libro delle “x”, fatti che non sapremo mai. Per l’autrice quelle “x” sono dei burroni, “burroni di sofferenza che le ragazze hanno schivato, il motivo per cui hanno deciso di andarsene”. Qui dentro ci sono però delle ragazze che vogliono in tutti i modi arrivare a raccontare ad altre loro coetanee che si può scegliere, che “c’è un’altra strada e loro, nella loro unicità, nella loro determinazione, nei loro alti bassi, nella loro difficoltà, vogliono scegliere di vivere”.

Alcune illustrazioni, alcune storie

Le immagini illustrate da Elisabetta Ferrrari non sono niente di realistico, ma non potevano neanche inventarsi volti diversi, allora hanno costruito delle immagini come le ragazze volevano essere rappresentate.  L’illustratrice “ha trasformato dei desideri e dei pensieri in immagini; quindi, ogni illustrazione che trovate qui dentro racconta delle cose, degli elementi, ogni oggetto nei disegni vuole dire qualcosa.”

Per esempio, Fatima ha gli occhiali perché voleva capissimo fosse studiosa ed intelligente. Fatima è una ragazza a cui le volevano fare credere che l’amore nasce dopo. La sorella l’ha aiutata a messaggiare con il suo promesso sposo per conoscerlo meglio. Ma quando arriva il messaggio “perché studi sempre? Non vorrai mica diventare più intelligente di me?” i pensieri le si sono illuminati. Il giorno della sua laurea triennale prepara uno zaino, con il quale non tonerà più indietro. Si legge la scritta “A casa”, perché quello che ha con la sua famiglia rimane per lei un legame fortissimo nonostante tutto. Ci sono anche delle onde nell’illustrazione perché da sempre non poteva nuotare come tutte le altre donne della famiglia. Oggi Fatima sa nuotare grazie alle sue coinquiline.

Jasmine invece ha degli uccellini che le girano intorno alla testa perché ha sempre avuto pensieri di libertà. Ha dei lunghi capelli perché a scuola doveva mettere il velo e lei era molto innervosita da questa cosa perché diceva di avere i capelli molto belli e voleva mostrarli. Comincia a sfidare allora la famiglia e smette di mettere il velo. Stringe un orsacchiotto di peluche. Ad un certo punto riesce a fare uno stage pagato e i primi soldi che guadagna li usa per andare a comprarsi dei peluche perché da piccola nessuno le aveva comprato dei regali, l’aveva coccolata, lei non si era mai sentita amata e quindi quei peluche se li è auto regalata, perché quella cosa che non aveva avuto doveva prendersela. Jasmine cerca di convincere anche le altre compagne a non sposarsi e chiede loro “tu vuoi la vita che ha fatto la tua mamma? Perché se non la vuoi devi andartene. Non puoi accettare la vita che ti hanno imposto sennò rischi di morire ammazzata.”

Zoya ha un gatto perché la rappresenta molto, un animale che ha bisogno di tante coccole, ma anche molto indipendente. Zoya dice “io ho capito a un certo punto che i miei desideri non erano impossibili”. La sua storia è la più lunga, ci sono tutte le violenze subite da raccontare. Prima scappa dalla sua famiglia e poi sposa un altro uomo che le fa violenza. Quando scappa Zoya sta in una piazza seduta su una panchina per un giorno intero. Nella borsa teneva un coltello da cucina. Alla fine, chiede aiuto e riparte perché “ha capito che i suoi desideri non sono impossibili e l’ha capito dalle altre donne che ha incontrato” conclude Castigliani.

di Fabiola Veca

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