L’anteprima di Animali Selvatici di Cristian Mungiu al Cinema Astra di Parma

Attraverso un dolceamaro quadro familiare di un padre che torna a casa trovando il figlio muto, il regista Cristian Mungiu propone una profonda riflessione sul diverso e lo straniero in una terra già dilaniata dal conflitto interetnico tra due minoranze: gli ungheresi e i rumeni. In questo contesto, la riflessione del regista Palma D’oro presenta un quadro a dir poco complesso e profondamente odierno.

Locandina del film (fonte: mymovies.com)

Si è aperta con un’anteprima firmata da una Palma D’Oro la rassegna Panorama, che si terrà fino a fine luglio presso le due arene estive dei Cinema Astra e D’Azeglio di Parma, con titoli e incontri con autori di particolare rilievo (qui la locandina). 

“Animali Selvatici” di Cristian Mungiu – Palma d’Oro a Cannes 2007 per “4 mesi, 3 settimane, 2 giorni”, film che tratta la delicata tematica dell’aborto – arriverà nelle sale italiane il prossimo 6 luglio portando sullo schermo un tema molto sentito al giorno d’oggi: la xenofobia. 

La pellicola è stata presentata in anteprima domenica 25 giugno, con la partecipazione del regista che, terminata la proiezione, ha incontrato il pubblico in un dialogo condotto dai giornalisti Filiberto Molossi (Gazzetta di Parma) e Benedetta Bragadini (Rolling Stone).

Una riflessione sull’individuo e sulla visione del diverso, le parole del regista

Innumerevoli sono le tematiche che, in 124’ di film, vengono presentate dal regista: il rapporto tra padre e figlio, la difficile convivenza tra le due etnie ungherese e rumena che si spartiscono il territorio cercando di poter creare un equilibrio di vita… ma anche, e soprattutto, una profonda e seria riflessione su che cosa significa essere stranieri in una terra diversa dalla propria. 

Quest’ultimo argomento rappresenta il vero perno su cui tutta la vicenda ruota. Infatti, tutto parte da Matthias (uno dei volti di questa pellicola) che, lasciato il suo lavoro in Germania (dove era visto comunque come uno straniero), torna a casa in Romania, nel suo piccolo villaggio in cui convivono in un equilibrio precario le due realtà ungherese e rumena; in questo contesto, però si verrà ad inserire un altro fattore estraneo, rappresentato da alcuni lavoratori cingalesi che sono stati assunti da un panificio. È proprio qui che, a poco a poco, il malcontento degli abitanti si inasprisce e tra le due entità, prima in conflitto, si crea un’unione che ha come proprio perno l’odio in chi è completamente estraneo al contesto di vita in cui si è trovato a vivere: i cingalesi, appunto. 

una scena del film (fonte: quart4parete.com)

Con sguardo oggettivo, il regista presenta la realtà dei fatti senza condannare niente e nessuno, proprio perché dice “non mi piace inserire la mia opinione in un film, preferisco descrivere come la gente reagisce e poi lasciare a voi (spettatori) il giudizio”; il suo lavoro, insomma, è un semplice e non banale riflesso di ciò che succede ogni giorno in relazione ad avvenimenti di questo tipo. 

La riflessione e la domanda che si pone il regista (e che viene posta al pubblico) è “perché si agisce così?”; la risposta non è particolarmente semplice e bella “perché riguarda cosa e chi siamo”.

“Animali selvatici” è una vera e propria riflessione su cosa è l’essere umano e come si relaziona con i suoi simili. A conti fatti, l’uomo non è nient’altro che un animale, che torna ad essere selvatico soprattutto in relazione a questioni di territorio. È proprio su questo punto che il bosco ha un ruolo molto forte e preponderante nella determinazione del tono del film: l’area boschiva che circonda il piccolo villaggio, infatti, rappresenta l’alfa e l’omega della storia. Oltre a ciò, questa macchia di vegetazione rappresenta sia un limes che un luogo di passaggio; una sorta di limbo in cui gli istinti animali latenti nell’uomo, diventano manifesti. Sembra che proprio la vicinanza con quest’area alimenti la tensione cittadina, come se le pulsioni si incrementassero per osmosi con un luogo in cui vige la legge del più forte. Questo è anche il luogo in cui avviene il passaggio dall’infanzia all’età adulta; infatti, è proprio qui che il piccolo Rudi deve dimostrare al padre Matthias di essere divenuto grande e in grado di affrontare da solo i freddi e indifferenti sentieri per raggiungere la scuola. Ma, forse, quel mondo spietato e freddo, indifferente alla sua innocenza, non fa per lui che rimane ammutolito dinnanzi alla crudeltà e spietatezza di questi luoghi

una scena del film (fonte: infierire.com)

Nonostante la sua giovane età, il personaggio di Rudi rappresenta un elemento fondamentale della storia, dal momento che, con il suo silenzio, porta con sé una parte del significato del film: in un mondo adulto fatto di urla, di discorsi in cui le lingue si accavallano con l’unico obiettivo di lasciare fuori chi è diverso dalla propria comunità, la voce del bambino si zittisce, quasi inorridito dalla cattiveria del mondo degli adulti. Proprio a questo proposito, il pubblico domanda al regista il motivo e il significato di questo silenzio che si scontra con il caos delle parole cittadine. Quest’ultimo incoraggia ancora una volta il pubblico a trovare una propria interpretazione ma, ammette anche che il bambino “ha paura di qualcosa, non so esattamente di cosa, forse del futuro o della vita che ha davanti a sé e non ha cose importanti da dire, finché non trova qualcosa che per lui è sostanziale ed che scaturisce dall’empatia verso il padre”. 

E ancora rimane dubbioso il ruolo dello stesso Matthias che nonostante fosse egli stesso lavoratore straniero in Germania, tornando a casa, sembra perdere quella capacità di comprensione nei confronti di chi emigra verso nuove terre per poter guadagnare e mantenere la propria famiglia. Che fine ha fatto la sensibilità umana? 

Per concludere, “Animali selvatici” di Cristian Mungiu è e rimane un manifesto e soprattutto una profonda riflessione su ciò che davvero rende umani; è la manifestazione cinematografica della caotica babele che rappresenta l’umanità, nonché rappresentazione del detto “tutto il mondo è paese”.

di Erika V. Lanthaler

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