Femminismo intersezionale: il tema della vulnerabilità delle migranti a ReSister!

Le migranti discriminate perché tali, ma prima di tutto perché donne. Un parterre tutto al femminile porta avanti un discorso antirazzista partendo dalle proprie esperienze

Di femminismi ce ne sono stati tanti nel corso del tempo. Quello intersezionale rappresenta precisamente la quarta ondata. Esso, come insegna Giulia Blasi nel suo libro “Manuale per ragazze rivoluzionarie”, “è uno sguardo aperto a tutte le categorie umane oppresse dalla società patriarcale, inclusi gli uomini che anche loro hanno bisogno di essere liberati”.

Di questo tema e di esempi concreti ha parlato l’incontro dal titolo “Femminismo intersezionale: lotte e nuove alleanze” che si è tenuto alla seconda edizione del Festival femminista ReSister!, a Parma. L‘intersezionalità diventa strumento di lettura per le discriminazioni, dove la lotta porta nuove alleanze.

Il tema del femminismo intersezionale è un tema importante, nonché molto complesso. Per iniziare a ragionarci su, per parlare di intersezionalità, di femminismo antirazzista, di femminismo che si occupa di rifugiate e delle donne migranti, un parterre di relatrici molto differenti tra loro ha condiviso la propria esperienza: Giulia Magnano e Marie Diacade dell’Assemblea donne migranti di Bologna, Marua Mahmoud, consigliera comunale del Comune di Reggio Emilia, l’Associazione Penelope di Catania con Mercy David e Oriana Cannavò e Barbara Tinelli dell’Università Roma Tre.

“Oggi c’è davvero un’urgenza di doverci interrogare su questo femminismo – apre così l’incontro Silvia Vesco di CIAC Onlus, associazione che si occupa di accoglienza – e sembra che questa sia data dal bisogno di interrogarsi sul tema dei diritti per tutti e di come poter riuscire ad aprire un dialogo su questo, a partire proprio dalle pratiche per pensare ad un cambiamento che non sarà domani ma che inizia adesso. Per CIAC Onlus il tema dei diritti per tutti è un tema estremamente importante soprattutto adesso dove il sistema di accoglienza sta vivendo un momento molto difficile.”

Oriana Cannavò lavora sul campo delle migrazioni e delle “vulnerabilità”. “Purtroppo – spiega – in questo momento consideriamo il sesso femminile come un soggetto vulnerabile. Lavorando con le migranti, l’essere donna è un indice in più di vulnerabilità.” L’esperienza portata dall’Associazione Penelope, che si occupa di migrazione, tratta e violenza sulle donne, accoglienza e protezione, reinserimento socio-lavorativo, riguarda una giovane ragazza nigeriana. La donna era vittima di tratta che la legavano ad un debito da pagare attraverso la minaccia di ritorsione sulla famiglia e attraverso il rito voodoo. Un rito magico secondo cui, in caso di mancato pagamento, avrebbe portato alla pazzia. La storia della ragazza in questione si fa più complicata quando decide di non pagare. Viene ricoverata in psichiatria e successivamente portata in comunità. Una volta persa contezza della realtà, scappa e viene ricoverata più volte. Mercy Davide, un’operatrice di comunità e mediatrice culturale, spiega meglio la magia nera. “Le ragazze nigeriane prima di partire giurano davanti uno scheletro di scimmia, in abito bianco, che una volta arrivati in Europa pagheranno il debito”.  

Marwa Mahmoud, attivista per i diritti di cittadinanza, civili e umani, riparte dal concetto di intersezionalità: “Negli anni abbiamo vissuto diversi femminismi e diverse battaglie femministe per vedere riconosciuti alcuni diritti.” Ogni donna nel suo percorso di vita ha una traiettoria della sua libertà, della propria autodeterminazione e che nessuno deve avere la pretesa di insegnare a nessuno come affermarsi. Invita infine ad “ascoltarci e combattere insieme come alleate”.

L’Associazione Donne del Coordinamento Migranti di Bologna si focalizza sull’importanza del permesso di soggiorno in Italia e dell’impatto che questo ha sulle vite delle persone e delle donne. “Questo pezzo di carta”, dice Marie Diacade, “è legato al lavoro, al reddito, allo studio, alla famiglia”. Gli abusi e i ricatti di cui sono vittime le donne migranti, per paura di perdere il permesso, le porta a subire situazioni critiche. E i datori di lavoro lo sanno e se ne approfittano, dando orari più difficili e salari più bassi. Giulia Magnano aggiunge “l’Associazione riunisce lavoratori migranti, portando avanti delle lotte che attraversa tutto quello che riguarda il vivere precario dei migranti. Per noi fare un discorso intersezionale significa fare un discorso che sia incentrato in primo luogo sulle esperienze che abbiamo e su questa base cercare di costruire una lotta comune”. “Farlo insieme significa andare oltre, superare i confini. Agire nel pratico significa vedere determinate lotte e riconoscere la forza”.

Per Barbara Pinelli ci sono alcuni elementi importanti: “Un tema è l’istanza della continuità della violenza. Diverse violenze si concatenano fra di loro, si rafforzano e sfociano l’uno nell’altra. Il tema della continuità della violenza rimanda alla temporalità della violenza. Quando si ragiona sulle donne migranti c’è il tema della temporalità che emerge come forma di controllo più forte quando li si considera soggetti che vivono nel presente. Non ci dobbiamo accontentare di quello che vediamo perché non è nulla rispetto a ciò che appunto continua a convivere in termini di relazioni, di comunità che si sono lasciate ma che continuano a rimare in senso di responsabilità, di dipendenza delle relazioni. Un orizzonte così profondo ci permette di pensare ad un unico argomento, che è come possiamo ripensare la cura in termini di intersezionalità, che cosa sono i processi di riparazione delle ferite quando quegli elementi che abbiamo in mano sono degli elementi così articolati dove non dobbiamo confonderci. La vera fonte e forma di resistenza è proprio non essere passivi alla ferita”.

di Fabiola Veca

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