Intervista al nuovo Rettore Unipr, Paolo Martelli: “Ecco come miglioreremo la nostra università”

Dall'emergenza casa "che affronterò entro i primi 100 giorni di mandato", all'innovazione dell'offerta formativa sia in termini di qualità che inclusività: nel programma di mandato del professore tanti punti e tante sfide per l'ateneo parmense

A partire dal 1° novembre 2023, il professor Paolo Martelli sarà il rettore dell’Università di Parma per il sessennio 2023/2024 – 2028/2029, subentrando al professor Paolo Andrei, rettore in carica dal 2017.

Martelli è professore ordinario di Clinica medica veterinaria presso il dipartimento di Scienze Medico-Veterinarie ed ha vinto il ballottaggio con 636 voti contro la professoressa Sara Rainieri.

Il programma elettorale del professor Martelli è un documento di 65 pagine che lui stesso definisce “impegnativo da leggere, ma necessario per approfondire nel miglior modo possibile tutti i punti” che verranno affrontati nel suo mandato.

Ma quali sono i progetti e le nuove idee che porterà il Rettore Paolo Martelli?

Quali sono i punti principali che ha intenzione di portare avanti con il suo rettorato?

“La scelta di fare un programma così corposo è voluta, anche se sacrifica la leggibilità. Volevo presentarmi all’elettorato evitando slogan, ma dicendo chiaramente cosa ho intenzione di fare. I punti del programma verranno utilizzati per dare l’impostazione del piano strategico dell’Ateneo per i prossimi sei anni; quindi, tutto ciò che è contenuto in esso per me ha un grande valore progettuale, sarà il punto di partenza per impostare la politica di sviluppo che imporrà inevitabili cambiamenti e le relative scelte”.

L’intero programma è consultabile scaricando il file dal sito dell’Università di Parma.

Investirà nella ricerca, ma anche nei dipendenti e nei ricercatori?

“Vorrei che continuassimo a mettere a disposizione fondi per i ricercatori affinché possano migliorare loro ricerca, come abbiamo fatto in questi anni durante il rettorato del professor Andrei, in cui sono stati messi a disposizione quasi tre milioni e mezzo l’anno. Sarà quindi necessario continuare a finanziare la ricerca locale con modalità anche diverse rispetto a quanto già fatto negli anni. Nel qual caso, le diverse modalità dovranno scaturire da una discussione interna alla stessa commissione d’ateneo per la ricerca.

Questo atteggiamento dovrà essere consolidato e, se i dati di bilancio ce lo permetteranno, possibilmente aumentato. Data la competitività soprattutto su progetti internazionali ed europei avremo bisogno anche di maggior supporto amministrativo: oggi il successo sui bandi europei è anche legato a come viene presentata la progettualità.

Potremmo anche parlare di un ‘rientro di cervelli‘: è necessario implementare la politica di individuazione di figure di alto profilo scientifico operanti all’estero e interessate a venire nel nostro ateneo, offrendo condizioni di particolare attrattività”.

Passando ad un ulteriore tema caldo, come vorrebbe affrontare la tematica della crescente crisi abitativa nella nostra città?

“Sul versante servizi alle studentesse e agli studenti abbiamo margine di miglioramento sui diversi aspetti, in primis quello della residenzialità. Vorrei affrontare questo argomento il prima possibile, cercando di far rientrare l’emergenza sul breve termine. In particolare, sarà necessario stringere rapporti di stretta collaborazione con il Comune di Parma ma anche con gli altri interlocutori che operano nell’ambito abitativo in genere. Queste azioni sono quanto mai necessarie soprattutto al fine di evitare che una eventuale eccessiva lievitazione dei prezzi di locazione degli alloggi possa condizionare negativamente l’attrattività del nostro Ateneo e, di conseguenza, della nostra città che accoglie almeno quindicimila studentesse e studenti ‘fuori sede’.

Come università rientriamo in tutta quella serie di misure e interventi che il Comune di Parma sta introducendo. Un aspetto sicuramente rilevante e caratterizzante le politiche abitative a lungo termine riguarda gli studentati e consiste nella realizzazione di nuovi edifici e la rigenerazione di strutture esistenti, allo scopo di generare una offerta di residenzialità sostenibile in primis in termini economici. Sia l’università che la città potranno giovarsi di questi interventi, perché sicuramente renderebbe Parma ancora più attrattiva per gli studenti anche in una dimensione di maggiore fruibilità da parte di una popolazione studentesca sempre più internazionale.

E’ uno degli argomenti che mi propongo di avviare già nei miei primi 100 giorni di mandato“.

Ha anche dei piani d’azione per le strutture interne dell’Ateneo?

“Sì, trovo sia necessario anche migliorare le strutture della nostra università per renderle sempre più rispondenti alle necessità di chi le vive. È già stato avviato un percorso di messa in sicurezza degli edifici sia da un punto di vista antisismico che antincendio con interventi che, inevitabilmente, si protrarranno per diversi anni. Inoltre, è necessario proseguire con l’adeguamento delle aule da un punto di vista tecnologico. In relazione alla questione degli spazi didattici, mi riferisco in particolare alle aule e spazi di studio e aggregazione che dovrà essere affrontata da subito”.

Come si può coinvolgere maggiormente gli studenti a vivere gli spazi dell’Ateneo?

“Una cosa a cui tengo particolarmente è accogliere l’esigenza degli studenti di avere spazi di aggregazione, con un forte coinvolgimento diretto di responsabilizzazione da parte loro. Deve essere perseguita la strada che attraverso una interlocuzione con il Comune e con privati, alcuni ambienti non utilizzati, soprattutto in centro storico, possano essere messi a disposizione degli studenti come spazi di aggregazione e studio rispondenti alle loro esigenze.

A ciò aggiungo l’estensione dell’apertura di alcune biblioteche di Ateneo a partire dal prossimo anno solare“.

Come pensa di gestire in particolar modo l’accoglienza degli studenti, internazionali e non?

“Per quanto riguarda la didattica e l’offerta formativa, è necessaria una sua rigenerazione. Questo significa aggiornare l’offerta in funzione delle esigenze della società, mettendosi in ascolto di questa e anticipandone le necessità allo scopo di e mantenere e aumentare l’occupabilità dei nostri laureati. Sui servizi di accoglienza agli studenti abbiamo un ampio margine di miglioramento, soprattutto per quanto riguarda gli studenti che vengono dall’estero. Dovremo aumentare l’offerta formativa in lingua inglese e implementare i servizi di accoglienza attraverso una struttura organizzativa che garantisca un miglior inserimento nella realtà dell’Ateneo e della città”.

Nel suo programma viene citata anche la Rete Europea EUGreen. Di cosa si tratta?

“La Rete EUGreen è un’opportunità che viene offerta agli atenei che vi appartengono di fare un balzo in avanti verso una vera e propria europeizzazione dell’essere università. Attraverso questa rete gli studenti potranno ottenere competenze complementari, altrimenti non acquisibili con le offerte dai singoli atenei. Il valore aggiunto di essere parte della rete non si limita ad una più agevole possibilità di scambi in mobilità ma è anche di venire direttamente a contatto con ‘modalità diverse’ di essere università europea creando valore aggiunto per il nostro ateneo e per le nostre studentesse e studenti oltre che per il personale docente e tecnico-amministrativo. Inoltre, appartenere alla rete vuol dire fare cultura europea, basata su quattro parole chiave: sostenibilità, Europa, futuro e giovani”.

Nel programma troviamo tra i focus principali anche l’innovazione e l’interdisciplinarità. Nello specifico, crede sia possibile implementare aspetti scientifici nei corsi umanistici e viceversa?

“Ritengo sia un’opportunità per il nostro ateneo quella che diversi dipartimenti si parlino sempre di più mettendo assieme le competenze e conoscenze diverse che esprimo per creare figure professionali maggiormente rispondenti alle esigenze della società. Questo anche perché la distinzione tra gli ambiti ormai è molto meno marcata: giorno dopo giorno nascono nuove discipline e si innovano quelle già esistenti, con l’avanzamento tecnologico in tutti i campi è naturale che alcune discipline arrivino a toccarsi. Penso all’ambito medico che si arricchisce di nuove competenze avvicinandosi sempre più alla tecnologia, intravvedendo così futuri medici che esprimono anche competenze tradizionalmente appannaggio di altre professioni”.

Che tipo di innovazione vuole portare nella didattica?

“È diventato imperativo che i docenti, oltre a disporre di conoscenze specifiche dell’ambito di insegnamento, debbano essere formati anche circa le tecniche di insegnamento, attraverso una formazione su temi specifici.

L’Ateneo ha al proprio interno le risorse e il know-how per far fare un salto di qualità nella didattica perché il termine inclusività (di fasce di utenza più o meno deboli) si trasformi in “universalità”, cioè a disposizione di tutte/tutti le/i nostre/nostri studentesse/studenti: percorsi didattici online, esercitazioni o laboratori virtuali integrativi, utili sia ai non frequentanti, sia ai frequentanti; attenzione alle competenze comunicative in lingua italiana, come in lingua straniera, non solo delle/degli studentesse/studenti internazionali ma anche delle/degli studentesse/studenti italiani; riflessioni sulle scelte non quantitative ma qualitative delle modifiche ai contenuti dei programmi degli insegnamenti e sulla valutazione degli apprendimenti; integrazione efficace dei collaboratori alla didattica, tutor in primis, in grado di coadiuvare il docente e accompagnare la/lo studentessa/studente in un’ottica non soltanto di orientamento in ingresso e in uscita, ma in itinere.

Ci sono degli ambiti in cui si può pensare di fare qualcosa di innovativo. Ad esempio tramite le modalità blended. A questo proposito, però, desidero sottolineare che blended non significa lezioni registrate: esiste un mondo di professionisti del settore che dobbiamo essere in grado di sfruttare in questo determinato ambito”.

di Martina Leva

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