Parma Film Festival 2023: primi sguardi alle anteprime
Sabato 11 novembre si è dato il via alla 26esima edizione del Parma Film Festival che anche quest’anno propone un programma ricco di appuntamenti da non perdere. Ad aprire le danze l'anteprima di Lubo di Giorgio Diritti, poi la premiazione per la miglior serie italiana a Lino Guanciale fino alla proiezione di Mary e lo spirito di mezzanotte presentato da Enzo d'Alò. Chiusura del weekend in bellezza con Leo Ortolani e il dibattito sul cinema.
È stato all’insegna di anteprime e premi questo weekend di apertura della 26esima edizione del Parma Film Festival che, ogni anno a novembre, illumina la città di Parma. In particolare, importante ricordare il premio per la miglior serie italiana andato all’attore Lino Guanciale, per la serie Un’estate fa prodotta da Sky e disponibile su Now; per non parlare del meraviglioso ed esilarante incontro con il famoso fumettista Leo Ortolani che quest’anno ha realizzato la meravigliosa locandina del festival stesso.
Tuttavia, ad aprire le danze di questa edizione sono state le anteprime che, come sempre, hanno regalato emozioni: si è partiti col botto con Lubo alla presenza del regista Giorgio Diritti che ha presentato il film sabato sera; per poi passare all’animazione con la dolce storia di Mary e lo spirito di mezzanotte, presentato domenica mattina all’Astra, alla presenza del regista Enzo D’Alò. Due storie agli antipodi, che, se messe a confronto, fanno a pugni ma che, in modo diverso, emozionano il pubblico. Entrambe parlano di bambini: ma mentre nella prima si parla di bambini rapiti e di adulti che li cercano, nella seconda i bambini (in questo caso Mary) prendono per mano gli adulti e li portano con sé nel loro modo di vedere le cose, anche la morte.
Lubo, storia nascosta di bambini rapiti nella Svizzera degli anni ’30
Si è quindi aperta con una storia drammatica questa edizione del Festival; in particolare, con la storia di Lubo, un nomade di origine jenisch che deve ritrovare i figli rapiti dalla Für Der Kinder Landstrasse. Una storia complicata e tragica, che si dipana per oltre 30 anni in luoghi diversi del centro-sud europeo: dalla Svizzera al Nord Italia per poi passare anche dall’Austria. Durante la visione lo spettatore viaggia insieme a Lubo in diversi luoghi e anni, sempre alla ricerca dei suoi figli. Dopo l’iniziale ricerca, sembra però che anche lo stesso protagonista riprenda in mano la propria vita, rinnamorandosi di altre donne, dalle quali avrà altri figli; una vita da nomade, ma anche fuggiasco e disertore in continuo spostamento, fino a quando trova un punto fermo nel suo itinerario, forse, in Margherita. Ma è quando tutto sembra filare liscio, che invece la vicenda prende un’altra piega.
Un film duro e complesso che però perde di forza a causa della durata e che sembra smarrire anche il suo punto focale (la ricerca dei bambini) per seguire, appunto, il vagare di Lubo.
A presentare il film è stato lo stesso regista, Giorgio Diritti che, intervistato da Filiberto Molossi (Gazzetta di Parma) e Benedetta Bragadini (Rolling Stone), presenta la genesi del progetto stesso. Tutto parte dalla lettura di un libro, Il seminatore di Mario Cavatore (autore cuneese, di cui lo stesso regista diventa amico), durante la quale Diritti scopre lo scheletro nell’armadio della “bellissima, democratica, buonissima, ricchissima, ordinatissima, pulitissima Svizzera” di cui non ci si aspetterebbe mai: in particolare, la questione riguarda appunto l’associazione Per i bambini di strada – Für Kinder der Landstrasse (sottosezione della Pro Juventute, attraverso la quale avveniva l’assistenza all’infanzia) e che negli anni ’30 ha organizzato un’operazione per i bambini di strada (di etnia jenisch, nomadi e artisti di strada) che consisteva nel prenderli e toglierli dalla strada e dalle loro famiglie, per affidarli a collegi o altre famiglie. “Questa cosa mi ha colpito tantissimo e ho sentito che era importante raccontare questo paradosso prendendo spunto, in particolare, dal romanzo stesso”, così dichiara il regista, aggiungendo che “i bambini portati via sono sicuramente 2000, anche se le stime non ufficiali parlano di un numero circa il doppio; purtroppo, molti di loro non hanno avuto un futuro positivo”.
Ciò che, però, lo ha portato ad avvicinarsi di più alla realizzazione del film è stato l’incontro con “alcuni di questi jenisch perché mi hanno trasferito quell’emozione, quel cazzotto allo stomaco che mi ha fatto dire ‘devo farlo’ ” in particolare “l’incontro con un una donna che ha ormai all’incirca 60 anni (forse qualcosa in più) e che è stata una bambina rapita (…) trasferita in più di 20 collegi e che ha subito parecchi traumi”. Poi si è parlato della scelta del protagonista, Frank Rogowski (Freaks Out), scelto dal regista non solo per la lingua (il film è parlato in tre lingue: italiano, dialetto jenisch e svizzero-tedesco), ma anche per la sua presenza filmica e soprattutto per “una particolarità nello sguardo molto intenso”.
La pellicola, avendo partecipato a diversi Festival, è stata anche a Zurigo ed ha riscontrato pareri del pubblico anche svizzero. Il regista, a questo proposito, sottolinea che “i giornali ne hanno un po’ parlato, però non è facile raccontare delle proprie malefatte”. Il caso presentato nel film, ad ogni modo, ha avuto un finale più o meno positivo: infatti, dopo l’iniziale inchiesta portata avanti negli anni ’70, si è arrivati al riconoscimento della tragedia perpetrata dalla Kinder ai danni dell’etnia jenisch: “dopo circa 15 anni hanno deciso di riconoscere anche il risarcimento alle famiglie dei casi accertati”. Ciò significa che il risarcimento è stato predisposto solo alle persone che sono riuscite a dimostrare di essere stati portati davvero nei collegi.
In ogni caso, tuttavia, Lubo rimane, un po’ come dice il regista “un viaggio nel tempo perché si sviluppa in un arco di quasi trent’anni; un viaggio nello spazio, nei luoghi e nelle emozioni”.
Mary e lo spirito di mezzanotte, un viaggio verso l’accettazione del lutto
Enzo D’Aló porta in scena un racconto che tratta con guanti di velluto la tematica della perdita e l’importanza delle donne in una breve saga familiare che è anche storia di crescita. Mary è un’insolente 11enne (o, forse, solamente sincera, come ci tiene a precisare lei più volte durante il film) con la passione per la cucina, il suo sogno è infatti quello di diventare una grande chef. La sua più grande sostenitrice è la nonna, Emer, mentre la madre Scarlett sembra volerle tarpare le ali. Certo è che, come ogni percorso di formazione che si rispetti, anche quello di Mary è frammentato da ostacoli. Uno di questi è rappresentato da un’improvvisa malattia della nonna che la porterà ad interfacciarsi con una strana giovane donna incontrata per caso, Anastasia.
La pellicola, nella sua semplicità, è in grado di emozionare a più riprese lo spettatore, così come ne è capace il libro da cui la storia è liberamente tratta. D’Aló si è infatti ispirato al romanzo di Roddy Doyle A Greyhound of a Girl (edito in italiano da Guanda con il titolo La gita di mezzanotte) che era stato descritto dal The Guardian come “una storia in cui amore e amicizia, allegria e serietà si fondono alla perfezione“. Il romanzo riporta in vita alcuni avvenimenti della vita dell’autore, che nel ‘900 perse la nonna durante l’epidemia di febbre spagnola.
La presentazione del lungometraggio ha avuto luogo al Cinema Astra, in una sala gremita di bimbi di tutte le età che hanno potuto domandare al regista stesso le proprie curiosità sulla pellicola. Anche in questo caso a moderare l’evento erano presenti i critici Filiberto Molossi e Benedetta Bragadini.
D’Aló afferma che come ogni sua opera questo film “nasce da un innamoramento“ e dalla collaborazione diretta con Doyle stesso, con il quale è poi nata un’amicizia sincera. Elementi molto importanti della storia, che rendono il film così tangibile e familiare, sono sicuramente la veridicità con cui l’Irlanda (che fa da sfondo a tutta la vicenda) è rappresentata e la quasi-inesistente misticizzazione della magia per gli irlandesi, anche questo elemento totalmente veritiero in quanto “il rapporto degli irlandesi con i fantasmi è abitudinario, è quasi una consuetudine avere un fantasma in cucina“. Ad esempio, D’Aló sottolinea come Roddy Doyle gli abbia chiesto, stupito, come sia stato possibile che la fattoria della nonna (“teachín, case tradizionali fatte con un tetto di paglia molto alto, con un grosso camino […] un grosso salone e due o tre stanze al piano superiore“) di Mary fosse così simile alla fattoria che la sua famiglia possedeva veramente sul territorio.
Il regista, rispondendo ad una domanda che chiedeva se Hayao Miyazaki fosse tra le sue fonti di ispirazione, ha risposto positivamente affermando che “i giapponesi fanno cinema, anche con i film d’animazione. Ciò che io volevo fare era proprio raccontare una (…) storia, quindi se si trovano analogie con [Miyazaki] sono, forse, piuttosto analogie narrative, perchè qui è la storia che deve condurre lo spettatore. (…) La gente non deve essere distratta da cose inutili, ma è la storia stessa che lo deve condurre ed emozionare“.
Il Parma Film Festival 2023, così come le precedenti, offre un programma denso di appuntamenti imperdibili tra premiazioni, presentazioni e anteprime. In particolare ricordiamo l’anteprima di Foglie al Vento di Aki Kaurismaki che si terrà mercoledì 15 novembre al Cinema D’Azeglio, quella di Coup de Chance di Woody Allen, giovedì 16 novembre al Cinema Astra e la consegna del Premio Maurizio Schiaretti a Linda Caridi con successiva proiezione di L’ultima notte d’amore, il prossimo sabato 18 novembre al Cinema D’Azeglio.
per maggiori informazioni, vi lasciamo il programma qui.
di Anastasia Agostini e Erika V. Lanthaler
crediti foto iniziale: unsplash, Jake Hills
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