Chiara Ferragni: cosa resta di (un)posted?

Cedere alle lusinghe di un pubblico che ti adora è una tentazione troppo ghiotta, è umano, ma fino a che punto siamo disposti a farci governare nel nostro privato pur di ottenerli?

In una delle prime scene del documentario Chiara Ferragni Unposted (2019), Ferragni è sdraiata sul lettino di un piercer e, spaventata dal dolore, si fa coraggio ripetendosi che i follower sarebbero stati fieri di lei. In quel tentativo di rincuorarsi era già ovvio il convincimento che i suoi fan la guardassero con genuina benevolenza e che davvero avrebbero accolto con entusiasmo la notizia del suo piercing all’ombelico, in uno scollamento dalla realtà che avrebbe fatto male nel momento in cui quel sostegno sarebbe mancato. Quel momento, sembra, è arrivato.

Quando cinque anni dopo, con il suo impero in declino, Ferragni decide di concedere un’intervista a Che tempo che fa di Fabio Fazio – noto per la caratura dei suoi ospiti, ma non certo per le domande graffianti – racconta di avere costruito la sua carriera raccontando di sé, della sua quotidianità, i suoi sogni, rinunciando a una parte della sua privacy in favore del suo racconto personale, che in tutti questi anni non è mai cambiato. 

Sulla narrazione di sé Ferragni ha davvero creato un impero: dapprima con il blog di moda The Blonde Salad, poi con la carriera da influencer e imprenditrice digitale fino alla creazione di Chiara Ferragni Brand e TBS Crew.

Ma nonostante un documentario dedicato, due stagioni di The Ferragnez e ore intere di storie IG quotidiane, non è facile dire cosa (o sarebbe meglio dire chi) davvero Ferragni abbia condiviso con i suoi follower. Anche se è sui social da quando aveva quindici anni è solo da pochissimo che ha cominciato a prendere posizioni su questioni politiche e sociali e a coltivare la sua immagine di ‘filantropa’. Difficile dire se questo cambiamento di approccio ai social sia da imputare alla volontà di rendere pubblico ciò che fino a quel momento semplicemente non aveva voluto condividere, se sia dovuto a una rinnovata coscienza morale, o se sia una strategia per attrarre la fetta più woke dei millenials e della gen z.

Ferragni ripete di essere autentica, di essere sempre stata sé stessa e che i suoi follower, che negli anni hanno imparato a conoscerla, possono confermarlo. Ma quei follower verosimilmente, persino quelli più affezionati disposti a comprare bottigliette d’acqua e pandori brandizzati, sono persone che fruiscono dei suoi contenuti scrollando Instagram mentre sono in coda alla posta o aspettano il tempo di cottura della pasta.

Ed è a chi occupa quei tempi morti consumando questi contenuti che Ferragni mette a disposizione i video della sua terapia di coppia, dei momenti di festa della sua famiglia e di quelli di malattia, per un ritorno economico, in favore di un pubblico che li guarda a volte con commozione, tenerezza e empatia, a volte solo con odio. E se la rinuncia alla privacy da parte degli adulti può essere ponderata e consapevole, lo stesso non si può dire dei bambini, ripresi in momenti di svago, ma anche di frustrazione o di sofferenza. 

Quando la carriera si fonda sulla condivisione di ciò che è personale si finisce per sovrapporre in modo inscindibile la dimensione lavorativa con quella intima e a quel punto viene da chiedersi cosa e quanto resti di Chiara Ferragni al di fuori dell’esposizione social, soprattutto in un momento in cui chiunque sembra pronto a scagliarsi contro di lei. E quanto deve essere difficile riuscire a non farsi abbattere da chi ti critica mirando alla giugulare, quando fino al giorno prima le lusinghe e l’approvazione di quelle stesse persone ti avevano travolto e gratificato?

È lei stessa a dirlo: i social media sono fantastici quando le cose vanno bene, quando tutti ti osannano ti senti invincibile, ma quando le cose vanno male diventano un incubo e tutto si fa più complesso.

Cedere alle lusinghe di un pubblico che ti adora è una tentazione troppo ghiotta, è umano. A tutti farebbe piacere avere il consenso e l’ammirazione di un pubblico così vasto, ma fino a che punto siamo disposti a indossare una maschera e rinunciare alla nostra spontaneità pur di ottenerli…

E se può avere un senso per chiara Ferragni, che grazie all’approvazione e alla curiosità dei follower vive e guadagna, forse dovremmo chiederci, noi utenti normali dei social: quante delle pose e dei comportamenti che adottiamo sono mossi dall’idea che vogliamo dare di noi a un pubblico indefinito e, a volte, inesistente?

Il suo sogno, dice Ferragni, è raccontarsi, ma il racconto che fa di sé si riduce all’espressione di questo desiderio, in un diorama luminoso e colorato pieno di comparse messe lì per risaltare la sua immagine, ma senza alcuna profondità. 
“La Chiara che vorrei” è il mantra che ripete e, alla fine, è anche l’unica Chiara che ha permesso al suo pubblico di conoscere.

di Marta Montana

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