Dalla fotosintesi al laser: il progetto APACE parte da UniPR
Raccogliere energia solare direttamente nello spazio e trasferirla a terra è un progetto ambizioso ma dalle ricadute potenzialmente enormi. Un nuovo tipo di laser, basato su molecole derivate dalla fotosintesi, potrebbe contribuire in modo decisivo alla fattibilità del progetto.
Lo spazio, dove non esistono né la notte né le nuvole, è il luogo ideale dove raccogliere l’energia solare; non è un caso se oggi i pannelli fotovoltaici sono la normalità per alimentare le missioni spaziali, dai più piccoli cube-sat fino alla Stazione Spaziale Internazionale. Il problema, casomai, è trasportare questa energia fin sulla Terra.
Una delle possibilità considerate dagli scienziati è l’uso dei laser: nello spazio sono un’opzione eccellente per concentrare energia e trasmetterla in modo efficiente. Un paio di specchi e un laser potente a piacere possono riportare verso la Terra enormi quantità di energia, magari raccolte da centrali fotovoltaiche che orbitano lontane dal pianeta e dalla sua fastidiosa ombra. Le perdite di energia sarebbero limitate all’ultimo tratto del percorso, quando il laser deve attraversare l’atmosfera per raggiungere il ricevitore al suolo.
L’idea, concettualmente semplice, si scontra con i costi astronomici (letteralmente) delle installazioni spaziali: portare in orbita cose è costosissimo, e questi costi crescono molto in fretta con l’aumentare dei metri quadri di pannelli fotovoltaici necessari a raccogliere quantità significative di energia. Per non parlare del problema dello smaltimento dei materiali mandati in orbita, con la proliferazione dei detriti spaziali che diventa un problema sempre più pressante. Ogni contributo all’efficienza complessiva del sistema può fare la differenza, e trasformare un sogno fantascientifico in un progetto ingegneristico realizzabile.
Dalla fotosintesi a un laser innovativo
C’è una prima fonte macroscopica di inefficienza nel sistema: trasformare la luce solare in energia adatta ad alimentare un laser, per poi convertire l’energia luminosa del laser in energia elettrica quando arriva a terra. Idealmente, ogni conversione che può essere evitata permette di aumentare molto l’efficienza. A parità di energia raccolta e inviata a terra, servirebbero quindi molti meno pannelli solari, o equivalenti, e i costi dell’impianto scenderebbero di conseguenza.
La luce del sole e quella di un laser sono però molto diverse. «Il problema è che servono sorgenti di elevata intensità, mentre la luce solare è troppo “diluita”» spiegano le docenti dell’Ateneo di Parma coinvolte nel progetto APACE, Anna Painelli e Francesca Terenziani «È possibile utilizzare sistemi di specchi e lenti per concentrare la luce solare, ma si tratta di sistemi molto ingombranti e poco maneggevoli.»
La luce di un laser, con la sua coerenza e direzionalità, è decisamente più maneggiabile, ma resta il problema dell’efficienza. È proprio su questo punto che si inserisce il progetto APACE.
«Tutto è nato da un incontro, organizzato proprio a Parma nel novembre 2022, con Giuseppe Luca Celardo dell’Università di Firenze.» spiegano le docenti «Un brainstorming, durato un paio di giorni, ha fatto nascere l’idea centrale del progetto: la natura ha selezionato e perfezionato i sistemi fotosintetici come migliori sistemi per la raccolta di luce solare; prendendo a prestito tali strutture o mimandole con strutture sintetiche analoghe, abbiamo pensato di sviluppare nanoconcentratori utili a pompare laser innovativi». Inserendo queste strutture, più o meno sintetiche, all’interno di materiali adatti, è possibile ottenere un mezzo attivo in grado di convertire la luce solare direttamente in luce laser.
«Rispetto ai laser pompati dal sole attraverso i concentratori solari classici (specchi e lenti) abbiamo senz’altro il vantaggio di strutture efficienti ed estremamente più compatte, meno costose e molto più adatte all’utilizzo in ambito spaziale». Questo approccio ha anche altri vantaggi: incorporando tutta la complessità all’interno del materiale stesso, si possono progettare «strutture più semplici, economiche e incomparabilmente più sostenibili dal punto di vista ambientale». Una versione a bassa potenza può essere usata per le comunicazioni, non solo spaziali, come una sorta di fibra ottica ma senza la fibra. Quelle più potenti possono servire per il trasporto di energia. «La cosa più importante è che il laser che vogliamo costruire è caratterizzato da un design estremamente semplice e compatto, con elevata scalabilità e certamente con un impatto ambientale notevolmente ridotto».
Il progetto APACE
Coordinato dal Professor Giuseppe Luca Celardo dell’Università di Firenze, il progetto APACE coinvolge un team internazionale composto da ricercatori delle Università di Firenze, Bari, Varsavia, Karlsruhe, Monaco, Edimburgo e Parma, e il CNR. Finanziato dal programma europeo EIC Pathfinder Challenges 2023, APACE ha come obiettivo proprio la creazione di un laser innovativo grazie ad alcune molecole (i cromatofori) “prese in prestito” da alcuni batteri fotosintetici (i batteri porpora). Questo laser può essere alimentato direttamente dalla luce solare, senza bisogno di ricorrere a specchi o lenti, pesanti, goffi e ingombranti.
UniParma è coinvolta attraverso il Dipartimento di Scienze Chimiche, della Vita e della Sostenibilità Ambientale (SCVSA), e in particolare con le Professoresse Anna Painelli e Francesca Terenziani. Non è tutto: «Nei primi mesi del 2025 verrà aperta nel nostro gruppo una posizione RTD-A [Ricercatore a Tempo Determinato con contratto prorogabile]» che si aggiungerà al gruppo di lavoro dell’Ateneo.
Immaginare di costruire un materiale complesso è una cosa, costruirlo davvero, e proprio con le caratteristiche desiderate, è un’altra. «Oltre allo studio sperimentale, metteremo a disposizione le competenze del gruppo di ricerca nella modellizzazione teorica di processi e proprietà spettroscopiche». Il contributo dell’Università di Parma consiste proprio nell’assicurarsi che il materiale abbia le caratteristiche necessarie, sia in fase di progettazione, sia analizzando ciò che è stato effettivamente realizzato.
I primi incontri informali inizieranno già a maggio, mentre «il progetto partirà formalmente nell’ottobre prossimo, per la durata di 4 anni». L’idea è decisamente innovativa. «La sfida è proprio quella di prendere spunto dai sistemi fotosintetici naturali per mimare il loro comportamento ed usarlo a nostro vantaggio». Progetto ambizioso, che può aprire la porta a una serie di possibilità applicative importanti. «La Commissione Europea ha ritenuto il progetto credibile […] e lo ha finanziato come un progetto “high risk – high gain”».
Una centrale energetica orbitante rimane un obiettivo lontano, ma quattro anni non sono tanti per passare da un’idea a un vero e proprio prototipo. «Il prototipo di laser a pompaggio solare diretto avrà un’efficienza complessiva compresa fra l’1 e il 10%», che può sembrare molto poco, ma si tratta solo di un prototipo il cui obiettivo principale è “solo” dimostrare la fattibilità tecnica dell’idea. «L’efficienza potrà solo aumentare con studi ulteriori».
Per sapere se i tempi sono maturi per far uscire dalla fantascienza le centrali energetiche spaziali c’è solo una strada: provarci.
di Giovanni Perini
Fonti:
Comunicato UniPR: https://www.unipr.it/notizie/laser-pompa-solare-applicazioni-spaziali-finanziato-il-progetto-internazionale-apace
Progetto APACE: https://scvsa-servizi.campusnet.unipr.it/do/progetti.pl/Show?_id=rsat
https://www.icho.edu.pl/en/european-consortium-grant-for-prof-daniel-gryko-3/
Fondo europeo EIC Pathfinder Challenges 2023: https://eic.ec.europa.eu/news/eic-pathfinder-challenges-2023-results-over-eu150-million-support-cutting-edge-research-projects-key-2024-03-14_en
Caratterizzazione spettroscopica: https://scvsa-servizi.campusnet.unipr.it/do/gruppi.pl/Show?_id=6z0o
L’articolo del 2021 a firma Prof. Giuseppe Luca Celardo dove si descrive la tecnologia di base del progetto: https://iopscience.iop.org/article/10.1088/1367-2630/ac2852
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