Vittime mai, il primo romanzo di Valeria Fonte

Il primo romanzo dell'autrice siciliana, un inno alla vendetta contro la violenza di genere

Un testo misandrico e tutt’altro che conciliante, “Vittime mai” di Valeria Fonte. Dopo l’esordio con “Ne uccide più la lingua”, manuale di retorica volto a smontare e decostruire la violenza di genere espressa tramite le parole, l’autrice siciliana si misura per la prima volta con un testo di narrativa.

E di nuovo, la violenza è il tema principale del romanzo: quella che Valerie, protagonista del racconto, subisce in famiglia, quella sessuale, quella simbolica della condivisione non consensuale di materiale intimo, quella della comunità di un paese omertoso e patriarcale che la costringe al silenzio e all’inoffensività. Infine, quella esercitata, quando Valerie decide di non volere essere una vittima, non più, e di non lasciare nessuna donna invendicata e nessun uomo impunito.

Tanto la Valerie del racconto quanto la sua madre letteraria, Valeria Fonte, potrebbero benissimo essere quelle che Michela Murgia definisce “Morgane” nella intro dell’omonimo podcast: “quelle che nella percezione comune sono strane, pericolose, esagerate, stronze, a modo loro tutte diverse e difficili da collocare […] Forse sono donne che non sposereste o non vorreste come amiche, però mettetevi l’anima in pace: non sono mai stati questi i loro obiettivi. Vogliono piacersi, non compiacere”.

Fonte ha una scrittura rapida, tagliente, che ben si adatta alla storia che racconta, cruda e disturbante. Quando le chiedono cosa c’è di autobiografico nel racconto, risponde “tanto”. L’autrice, attivista transfemminista, non ha mai fatto segreto di essere stata vittima della condivisione non consensuale di immagini sessualmente esplicite, la pratica comunemente nota come “revenge porn”.

 Quella violenza però non l’ha domata, tutt’altro: in un Italia così profondamente permeata dal cattolicesimo, con la sua retorica fatta di perdono, sensi di colpa e buoni sentimenti, Fonte ha scritto un romanzo pieno di odio, un odio profondo e rivendicato con orgoglio. Basta porgere le altre guance: l’invito di Fonte, nella prefazione del libro, è quello di rispondere alla violenza con la violenza.

Come scrive nell’introduzione del libro:

Ci sono delle cose che ho fatto e non confesserò mai, ma ci sono anche delle cose che qualcuno mi ha fatto e non confesserà mai. […] Perché dobbiamo dircela tutta: se un uomo muore, se l’è cercata. Se un uomo muore, c’è una puttana che non doveva fare incazzare e che un giorno ha smesso di dilettarsi con gli auguri di morte ed è passata alla pratica, giocando a fare l’assassina.
La pace è per chi non ha niente per cui combattere.
Chi lotta, sa che “pace” significa scendere a compromessi. E noi non vogliamo. Non più. Desideriamo rompere il sistema e riformularlo: è un dovere politico. Siamo donne disperate, ma lo sconforto ci ha dato meno di quanto ci abbia dato la rabbia.
Se ogni donna puntasse a farsi temere, se ogni donna reagisse, se ogni donna instillasse nel suo seviziatore il dubbio che non la passerà liscia, allora argineremmo il problema del patriarcato, fino a distruggerlo.
Queste righe sono per le donne vive, semi-vive e morte: che nessuna rimanga invendicata. Un giorno creperò anch’io. È inevitabile. Se dovesse accadere per mano di un uomo, uccidetelo per me. Ditegli da parte mia “Mi hai uccisa prima tu
”.

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