Luigi ‘Annibale’ Rastelli: “Ho visto i miei compagni cadere, ho visto i deportati. E ho cantato la libertà”

IL 94ENNE PARTIGIANO PARMENSE RACCONTA LA STORIA DELLA SUA RESISTENZA, I LUOGHI, I MOTIVI E LE PERSONE

rastelli.partigiano.1304156 Luigi Rastelli, 94 anni tra un mese. Gira in bici e ricorda lucidamente i giorni mai troppo lontani della Resistenza. ‘Annibale’ era il suo nome di battaglia. A pochi giorni di distanza dal 25 aprile racconta una storia di libertà, di quegli italiani che avevano scelto di opporsi all’invasione tedesca avallata dal fascismo. Le sue parole sono cariche di sentimento, il suo ricordo è appassionato, le immagini sono forti e non andrebbero dimenticate.

Quando ha deciso di entrare nelle file dei partigiani?

 “Ho iniziato la mia attività resistenziale subito dopo l’8 settembre 1943. Avevo 22 anni, ero già ufficiale dell’esercito. Militavo nei G.A.F. (Guardia alla frontiera, corpo militare del Regio Esercito fondato nel 1937 con compiti di difesa delle frontiere; n.d.r.). Mi trovavo nell’alto Friuli, al confine con la Slovenia. Mi sono immediatamente sottratto alla cattura da parte dei tedeschi a cui eravamo già stati consegnati dal nostro comandante, e insieme a un altro ufficiale, il tenente Spicci di Grosseto, abbiamo iniziato la fuga che ci ha portato subito alla stazione di Tarvisio dove abbiamo visto un convoglio carico di deportati per la Germania. Al loro interno le persone stipate e  controllate a vista dalle guardie tedesche gridavano “Acqua!” Fu lì che presi la mia decisione e la rivelai subito al mio compagno di fuga. A Parma avrei fatto il partigiano“.

Come è ritornato a Parma?

“Quello che vedemmo a Tarvisio confermò le numerose voci che ci erano pervenute all’orecchio sulle deportazioni di massa dei tedeschi. Bisognava scappare in fretta se non si voleva finire anche noi prigionieri e deportati chissà dove. Sempre di nascosto ci spostammo in un’altra stazione dove riuscimmo a prendere un treno. Durante il tragitto se il convoglio rallentava era il segnale che il macchinista ci dava per farci capire che eravamo incappati in un posto di blocco e così eravamo costretti a scappare ancora. Un po’ così, un po’ rimediando mezzi di fortuna, un po’ camminando per chilometri a piedi, siamo arrivati a Bologna dove ci siamo salutati. Il mio amico Spizzi ha proseguito verso la Toscana e io verso Parma.”

Perché contro e non con i tedeschi e Mussolini?

“Io neanche ci pensavo a Mussolini. Per me era finito il 25 luglio.  So solo che da quel momento lì io ero un partigiano; un uomo pronto a combattere contro un nemico che ci aveva invaso. I tedeschi non mi erano nemmeno mai piaciuti, ci consideravano gente inferiore. Per loro eravamo ufficiali di serie B a cui era proibito fare molte cose.

rastelli.partigiano.1304154,arCosa ha trovato a Parma quando è arrivato?

“A Parma per prima cosa ho raggiunto i miei che erano sfollati. La mia casa, che si trovava vicino alla ferrovia, non c’era più. Al suo posto c’era un enorme buco causato dai bombardamenti. La mia casa era un palazzo intero che era interamente scomparso. La mia famiglia era sfollata appena fuori Parma, nella zona di Cortile San Martino. Sono rimasto con  loro e poi sono uscito il giorno dopo, in borghese. Ormai eravamo alla fine di settembre. Attraverso una famiglia di amici antifascisti, i Mazzoni che avevano una trattoria, il ‘Gambrinus’, nella discesa della stazione, nei pressi di via Palermo: cercai dei contatti con qualche esponente dei partigiani. Mi presentarono il ragioniere Mario Dazzi. Lui era un membro del Partito d’Azione nel Cln (Comitato di Liberazione Nazionale) locale i quali avevano a loro interno un movimento clandestino che si chiamava Giustizia e Libertà. Ci vedevamo settimanalmente in una trattoria nei pressi della piazza per avere notizie. A casa avevo ripreso una certa vita civile ad esempio me ne andavo al bar. I fascisti, intanto, giravano e chiedevano i documenti ma io nel complesso me la cavavo sempre. Un giorno incontrai un mio amico che avevo conosciuto ad una festa di ballo che si chiamava Eugenio Giandebiaggi. Ci siamo raccontati le nostre vicende, abbiamo espresso i nostri pareri e le nostre idee. Gli dissi che se avessi saputo di partigiani che si organizzavano sarei andato con loro a combattere tedeschi e fascisti che nel frattempo erano diventati loro alleati. Di solito c’incontravamo sul lungo Parma. Nel frattempo Giandebiaggi prese delle informazioni su di me. Lui era entrato nell’organizzazione antifascista del Partito Comunista ed era il braccio destro di uno degli uomini più importanti di questa organizzazione: Bruno Longhi. Questi fu poi catturato dai tedeschi e morì sotto tortura. Insieme a lui fu catturato anche questo mio amico.

Come si può descrivere quel periodo di lotta? Lei ha mai partecipato a qualche azione armata?

“La nostra lotta cominciava già nelle città, già con Giandebiaggi eravamo a tutti gli effetti attivi anche se non utilizzando armi. Sono andato più volte a portare dei volantini nei bar: entravo, poi mi dirigevo nel bagno e li lasciavo lì, per non farmi notare dalle gente. In città non ci sono mai state azioni armate. In montagna, invece, siamo andati ad attaccare qualche caserma nemica. Oppure sulla nazionale Parma-La Spezia attaccavamo i convogli in transito dei mezzi motorizzati. Feci parte delle prime bande organi, nella località di montagna e partecipai personalmente alla costituzione di una di queste bande. Fu una iniziativa del Partito Comunista. Era il ’43 nella zona di Bardi, a Osacca, nella località di Gravago. Fu qui che nacque questo distaccamento (Distaccamento Picelli, n.d.r.). Uso la parola ‘distaccamento’ perché questo eravamo. Il nostro comandante che, se non ricordo male si chiamava Gino Guraldi, fu ucciso dai fascisti”.

Rosetta Solari con la bandiera

Rosetta Solari con la bandiera

Da chi erano costituite queste bande?

“C’erano giovani del Fronte della Gioventù: un’organizzazione clandestina promossa dal Partito Comunista ma che al suo interno comprendeva giovani di tutti i partiti antifascisti. I più appariscenti erano  i comunisti ma c’erano anche cattolici. C’erano anche donne combattenti come la borgotarese Rosetta Solari. Era una professoressa. Io non ho mai personalmente partecipato ad azioni partigiane con lei ma l’ho conosciuta ad una riunione di comandanti a Bardi. Lei era una comandante ed era a capo di un gruppo partigiano dove c’erano anche uomini. Era una donna in gamba. Il fattore culturale contava. Emergeva la persona più colta, più preparata, abituata a ragionare e a riflettere. Rosetta Solari dopo la guerra sposò un ufficiale inglese e andò a vivere in Inghilterra. Aveva due fratelli partigiani della prima ora, entrambi organizzatori della Resistenza borgotarese. Ho incontrato altre donne che hanno partecipato indirettamente alle azioni offrendo un contributo prezioso ad esempio facendo le infermiere in un ospedale che costruimmo appositamente a Bardi per accogliere i feriti. Mi ricordo che era diretto dal dottor Bruno Casa”.

Si è mai trovato in pericolo di vita?

“In alcune situazioni mi sono trovato in pericolo di vita, ho visto i miei compagni cadere sotto colpi che solo per pochi centimetri avrebbero potuto colpire me. Ma, d’altra parte, cosa si poteva fare? Si era in guerra. Mi è anche capitato di uccidere ma non l’ho fatto in maniera gratuita. L’ho fatto per legittima difesa“.

Cos’è la violenza secondo lei?

“Io ho commesso atti di giustizia non di violenza. A volte bisogna essere violenti per reprimere comportamenti violenti; vince il più forte, il più pronto e il più intelligente. Io ho sicuramente ucciso qualche tedesco ma non per violenza: se non lo avessi fatto io, lui avrebbe sicuramente ucciso me. Dovevo difendere gli ideali in cui credevo: libertà e uguaglianza“.

Quest’anno si festeggiano i settant’anni dalla Liberazione del ’45: ma cosa è cambiato? Tanta acqua è passata sotto i ponti ma ci si chiede se un rigurgito in chiave autoritaria assimilabile all’ideologia nazifascista non sia poi una realtà troppo lontana da noi.  Cosa ne pensa Rastelli?

“Il fascismo è un’idea assolutamente contraria all’idea per cui io ho combattuto. La mia idea era quella di libertà. Il fascismo è dittatura, è imposizione della propria volontà. Il nostro faro era, ed è, la libertà. Con quest’ultima si combatte per la pace, per la giustizia sociale, per la fratellanza, per l’uguaglianza. Nient’altro che gli ideali della Rivoluzione Francese che avevamo fatti nostri, con la libertà davanti a tutto. Avevamo dei canti partigiani, ricordo che uno di quelli che mi piaceva di più era: “Avanti siam ribelli, combattiamo, ma al mondo siam tutti fratelli, siam ribelli e uguaglianza e giustizia vogliamo”. Erano le nostre parole d’ordine, la nostra ispirazione. Un fascista è uno che impone la propria idea agli altri, è uno che non vede che il mondo, la società, è dei vivi, di persone uguali che rispettano ognuno le idee e il modo di sentire dell’altro”.

Quale messaggio si sente di dire a tutti coloro che anche quest’anno festeggiano la ricorrenza della Liberazione?

“A tutti coloro che anche quest’anno  festeggiano il 25 aprile mi sento di dire: ispiratevi agli ideali della Resistenza. Improntate la vostra vita all’amore per la pace, l’uguaglianza, la fratellanza. Erano cose che cantavamo anche: “giustizia, eguaglianza vogliamo, al mondo siam tutti fratelli, noi siamo le schiere ribelli, insorgiamo che giunta è la fin”. Direi ai giovani: ispiratevi a questi principi, e se ci fosse qualcuno che volesse imporvi idee contrarie agli ideali a cui aspirate, ribellatevi”.

 

di Michele Panariello, Luca Mautone

1 Commento su Luigi ‘Annibale’ Rastelli: “Ho visto i miei compagni cadere, ho visto i deportati. E ho cantato la libertà”

  1. Michela perini // 18 giugno 2016 a 13:17 // Rispondi

    Bellissimo emozionante grazie di cuore per questa testimonianza anche io nipote di partigiano sono felice che abbiate intevistato la coscienza d’Italia cioè i nostri partigiani. W la libertà w i partigiani w chi lì ricorda e chi ha con se i loro valori

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