Le mille anoressie: tra perfezionismo e insicurezza, prove e ambulatori

TERAPIA, CURE E ORIGINI DELLA MALATTIA "FOTOGRAFIA DELLA SOCIETA'"

l'anoressia oltre lo scheletro pp“Parlando di anoressia, spesso tendiamo a riferirci all’anoressia nervosa, che utilizza il controllo del corpo per avvicinarsi ad un ideale di perfezione. Questo conduce ad un rifiuto delle cosiddette situazioni a rischio, come una semplice pizza tra amici, che può tradursi nell’isolamento dalle persone anche più vicine”. La professoressa Anna Maria Gibin, responsabile del progetto per i disturbi del comportamento alimentare (Dca) dell’Ausl di Parma racconta che nell’ambito del progetto sono 227 le persone prese in cura per anoressia.
I moventi della malattia, i fattori di rischi specifici, dipendono dalla storia personale di ogni paziente: relazioni disfunzionali in famiglia, un passato segnato dall’obesità, un ambiente sportivo rigido che prevede il mantenimento di un range di peso. “Nel caso in cui l’attività fisica sia quotidiana – spiega il dottor Marwan El Ghoch, specializzato in Scienze dell’Alimentazione e attivo al centro Ada (Associazione per i disturbi dell’alimentazione) di Verona – contattiamo la famiglia sportiva dell’atleta ed educhiamo istruttori e coach ad un problema di cui spesso non sono a conoscenza”.
Nel caso di discipline come la danza ad alto livello però, in cui può avvenire che l’impegno per il mantenimento di un sottopeso sia promosso come pratica quotidiana, il disturbo alimentare può venire ignorato, tollerato o addirittura assecondato, come racconta Cecilia (“Ho deciso di diventare anoressica per farla stare zitta“).

 

PROGETTO DCA, TERAPIA E SOSTEGNO – Il progetto Dca, istituito dal 2000 per la presa in cura dell’anoressia, agisce in collaborazione con l’Azienda Ospedaliera Universitaria, che opera attraverso endocrinologi, dietisti e internisti. “Noi invece – spiega Anna Maria Gibin – lavoriamo sulle relazioni e sui comportamenti con tre livelli di intervento: uno ambulatoriale, che è quello preferenziale, utilizzato dal 70% dei pazienti; trattamenti riabilitativi intensivi svolti presso la casa di cura di Villa Maria Luigia a Monticelli Terme; trattamenti socio riabilitativi presso la residenza ‘In volo’ di Pellegrino Parmense”.
In strutture specializzate come Villa Maria Luigia, Villa Garda a Verona e Villa Pini a Chieti, nell’arco di qualche mese ci si propone, attraverso sedute più frequenti e il confronto con altri pazienti, di ridurre i fattori di mantenimento come l’ assunzione impropria di diuretici e di lassativi, vomito autoindotto e check del corpo.
Il ricovero ospedaliero è una misura presa anche dai centri Ada, solo nel caso in cui pazienti fortemente ambivalenti, cioè profondamente combattuti fra la voglia di mangiare e la paura d’ingrassare, non siano riusciti a migliorare nelle fasi precedenti della terapia. Solo se, cioè, agli incontri settimanali con un dietista e uno psicologo con il supporto di un diario alimentare e all’alimentazione assistita, il paziente non risponde positivamente.
Il dottor El Ghoch spiega che cardine della terapia è la scelta del paziente ad ogni passo.”Non mi piace chiamarla visita. Quando una persona entra è un incontro, uno scambio di informazioni: si ascolta, non c’è giudizio, né prescrizione. Raccolgo una storia e alla fine do qualcosa da leggere, un capitolo di solito”.
La decisione di tornare è tutta della paziente, come la scelta dell’alimentazione assistita, che il dottor Massimiliano Sartirana, psicologo allo stesso centro, assicura non essere una punizione “ma un modo perché la paziente non affronti l’ostacolo del pasto da sola”.
Motivo di sollievo, l’esito auspicato non è il decorso della malattia ma la guarigione, intesa dai medici come la riduzione della preoccupazione per peso e forme a livello della popolazione: “Significa che potrà rimanere un tallone d’Achille, ma non per forza un disturbo alimentare”. A questo risultato possono contribuire tutti, per questo viene coinvolta anche la famiglia attraverso un’educazione ‘all’emotività espressa’ che non giudichi, critichi o colpevolizzi.

A Parma un grande sostegno per il fenomeno dell’anoressia nasce anche dall’associazione ’Sulle ali delle menti’, formata 15 anni fa da persone che hanno affrontato e superato questo problema. Grazie a questi volontari si può prendere parte a gruppi di aiuto che permettono, anche a chi fa fatica ad accedere alle cure specialistiche, di ricevere consigli e aiuto da chi ci è già passato. “E’ il miglior approccio possibile – specifica Anna Maria Gibin – essendo molto diffidente chi si approccia alle cure. Ed è il modello che usiamo anche per la nostra linea telefonica ‘Filo diretto Ab’. ‘Scegli uno pseudonimo e chiama’ è lo slogan che abbiamo scelto per tutelare la privacy sia degli operatori dell’associazione sia di chi chiama. Il centralino è attivo il mercoledì dalle 18 alle 20 e il sabato dalle 10 alle 20. Nell’ arco degli altri giorni si possono lasciare messaggi in segreteria e si verrà ricontattati”.
Tra i progetti di prevenzione in attivo a Parma nell’ambito del programma Dca c’è anche ‘Scegli con gusto per la salute – cibo, corpo, media’ che “mira alla promozione della salute tramite un lavoro con i ragazzi perché acquisiscano capacità critica rispetto ai modelli di identità promossi dai media”.

 

NARCISISMO DI MASSA, SPECCHIO DELLA NOSTRA SOCIETA’ – A proposito della società e dell’ambiente in cui questo fenomeno dilaga, lo sguardo sociologico di Sergio Manghi sottolinea il legame imprescindibile fra lo studio del contesto e del problema stesso.
“Credo che il compito principale della sociologia- spiega il professore dell’Università di Parma – sia quello di lavorare sull’immaginario collettivo, di spostare lo sguardo di chi guarda all’anoressia, che è uno sguardo magnetizzato, affascinato dal ‘fenomeno’,  e di promuoverne uno più ampio, nel quale l’anoressia appaia una fotografia della società “.
La nostra è ‘l’epoca delle passioni tristi’, come direbbero due psichiatri autori dell’omonimo libro. La nostra è l’epoca che racchiude in sé i germi di un male che prima di essere individuale è sociale.
Perché oggi l’anoressia si diffonde così tanto? “La nostra è una società dell’individualismo egolatrico, dove il meglio che si prospetta alle persone è di autocontrollarsi, ‘fare da sé’ il proprio destino ‘facendo a meno’ degli altri e però attirando ‘narcisisticamente’ la loro attenzione. L’anoressica traduce, porta all’estremo una norma che è quella più comune e considerata ‘buona’: essere magri per apparire ‘vincenti’.  Invece di concentrarsi sull’aspetto ‘patologico’, bisognerebbe quindi concentrarsi su quella che è in un certo senso la sua genialità, il suo ‘fiuto sociologico’: l’anoressica sa perfettamente (anche se inconsciamente) che attira lo sguardo degli altri perché tutti desiderano quello: autocontrollarsi, autoperfezionarsi ‘da sé’; salvo rimanere drammaticamente intrappolata nella sua ebbrezza autoperfezionista”. L’alternativa alla mitologia dell’autocontrollo rimane dunque la medicina più antica: l’amore, “il prendersi cura dell’altro prima che di sé, il valore attribuito alla relazione prima che all’ego”.

 

di Andrea Bernardi, Andrea Francesca Franzini, Francesca Gatti

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