Glutinefobia, tra suggestione e malattia

LE CONCLUSIONI DI UNO STUDIO: IN MOLTI CASI LA SENSIBILITÀ AL GLUTINE SAREBBE UN EFFETTO 'NOCEBO'

field-196173_640“Se vi trovate a portare in giro una pancia grossa e sgradevole, se cercate senza successo di strizzarvi dentro i pantaloni dell’anno scorso, se continuate a dire al vostro medico che no, non avete mangiato come dei porci ma comunque siete sovrappeso, prediabetici e avete la pressione e il colesterolo alti, prendete in considerazione l’ipotesi di dire addio al grano.” Scrive così, nel suo libro dall’inequivocabile titolo ‘Wheat Belly‘ (‘La dieta zero grano‘ in Italia),  il dottor William Davis, cardiologo americano recentemente salito alla ribalta per il suo controverso approccio al grano. Sono ormai diversi anni che il glutine è messo sotto processo e testi come quello del dr. Davis non aiutano certo a distendere il clima; ma tutto questo allarmismo sarà giustificato?

L’ACCUSA – Il glutine ha subito attacchi su diversi fronti, molti dei quali però si rivelano esagerati o addirittura infondati. Qualche anno fa la rete aveva fatto da cassa di risonanza per la minaccia dei ‘quattro veleni bianchi‘: latte, zucchero bianco raffinato, sale e farina. Quest’ultima era accusata di formare una specie di colla, una massa glutinosa che rallentava la digestione ed era causa di mal di testa, stanchezza, predisposizione a malattie e chi più ne ha più ne metta. Accuse che, pur mosse da fonti rinomate, per la scarsa affidabilità dei loro dati sono state ampiamente smentite dalla comunità scientifica. La ‘battaglia’ mossa dal dr Davis non sembra però così superficiale, considerando che il suo libro è diventato un best seller in grado di cambiare i consumi negli Stati Uniti e in Canada, eppure non sono mancate le critiche. In un articolo intitolato ‘Wheat Belly – An Analysis of Selected Statements and Basic Theses from the book’ e scritto da Julie Jones, dell’Università del Minnesota, vengono analizzati punto per punto alcuni passi del libro di Davis, confrontandoli con la letteratura scientifica, concludendo che molte delle tesi dell’autore sono infondate.

Secondo uno studio condotto in Italia da Gino Roberto Corazza, autore di oltre 400 studi internazionali e direttore della prima clinica medica del San Matteo di Pavia, in molti casi si tratterebbe di effetto ‘nocebo’. Negli Stati Uniti il fenomeno è molto diffuso, sono infatti 17 milioni gli americani che si ritengono sensibili al glutine e tra il 15 e il 25%vorrebbe alimenti ‘gluten free’, contro una statistica di malati che non supera l’1%.  In una intervista rilasciata a Repubblica, Corazza afferma: “entra in gioco non solo l’effetto placebo, che ha una durata limitata ma anche l’effetto nocebo, ovvero la reazione indesiderata e patologica che un soggetto prova nei confronti di una sostanza che ritiene sia dannosa. Dunque, se la sostanza viene esclusa dalla dieta, si sente – o crede di sentirsi – meglio“. Ma prescriversi da soli una dieta rischia di diventare un’arma a doppio taglio, ritardando le diagnosi dei casi di effettiva celiachia, una malattia autoimmune ben diversa dalla semplice intolleranza. 

L’IMPUTATO – Nei cereali sono presenti diverse proteine di discreta qualità e due in particolare, gliadina e glutenina, sono quelle che nel frumento, orzo, farro e segale costituiscono il glutine. Queste molecole  hanno bisogno di due fattori per formare la cosiddetta maglia glucidica: acqua e lavoro meccanico. E’ grazie a questa complessa struttura proteica, una sorta di ‘scheletro’, che il pane lievita sotto la spinta dei microorganismi produttori di anidride carbonica. Insomma, il glutine conferisce agli impasti proprietà fondamentali, tanto da renderlo un parametro indicativo della qualità della farina. Una volta consumato, il glutine raggiunge il nostro intestino e lì viene scomposto da enzimi specifici in peptidi, ‘mattoncini’ più piccoli, via via meglio assimilabili dall’organismo.

formazione-del-glutineLE VITTIME – Ed è proprio in questo passaggio che si nasconde il problema per i celiaci: uno degli enzimi che concorrono alla scomposizione di questa complessa molecola scatena una reazione autoimmune, spingendo alcuni linfociti del sistema immunitario ad attaccare lo stesso organismo e danneggiando l’intestino.
“Ho scoperto – di essere celiaco – quando avevo 14 anni. Da tempo manifestavo un ritardo nella crescita ma il mio pediatra non mi aveva mai fatto fare esami sulla celiachia, cosa che è avvenuta subito quando sono passato al medico di famiglia”: così racconta Luigi Vitale, studente dell’Università di Parma. La diagnosi consiste in un esame del sangue e, nel caso sia necessaria, si ricorre ad una biopsia intestinale, pratica rinomata per essere abbastanza spiacevole.

SPESA GLUTEN FREE – Determinata la malattia, il primo passo è il controllo della dieta ricorrendo alla gamma dei prodotti ‘gluten free’ ormai reperibili quasi ovunque. “Adesso non faccio assolutamente fatica, nel corso degli anni sono aumentati i marchi specializzati e anche qualche azienda conosciuta ha lanciato alcuni prodotti. Una volta – racconta Luigi – queste cose si trovavano solo nelle farmacie, che restano le più fornite, ma adesso quasi tutti i supermercati hanno un piccolo settore dedicato ai prodotti senza glutine”.
Un discorso a parte va fatto per i prezzi, decisamente cari a fronte di una materia prima non particolarmente ricercata, anche se comunque il servizio sanitario nazionale offre una soluzione con contributi di diverse fasce suddivise per età e sesso. “I buoni spesa che i celiaci possono utilizzare mensilmente in un negozio o farmacia arrivano sono di 140€ per gli uomini adulti come nel mio caso. Fanno in modo da non far pesare molto questa cosa, ma temo che le aziende specializzate ne approfittino.”

 

di Matteo Buonanno Seves

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