Aemilia, la mafia è qui. Ma gli studenti non se ne accorgono

INFILTRAZIONI? NO, UN FENOMENO RADICATO CON NOMI E COGNOMI

Operazione AemiliaEra il 27 gennaio 2015 quando la Direzione Nazionale Antimafia ha dato inizio all’operazione Aemilia, la più importante contro i clan mafiosi calabresi nel nord Italia, in particolar modo in Emilia Romagna, con il suo carico di 117 (andate poi in crescendo) richieste  di custodia cautelare che hanno coinvolto mafiosi, imprenditori, politici, giornalisti, professionisti e anche personale delle Forze Armate. Con l’avvio di questa inchiesta è stata (ri)portata alla luce l’esistenza di un sistema criminale esteso al punto che, come ha affermato all’epoca dei fatti il Procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, “quella che una volta era orgogliosamente indicata come una regione costituente modello di sana amministrazione e invidiata per l’elevato livello medio di vita dei suoi abitanti, può ben definirsi ‘terra di mafia’ nel senso pieno della sua espressione”. La maxi operazione dei Carabinieri ha portato a più di 200 indagati, per la maggior parte in Emilia. I soggetti presi in custodia sono ritenuti responsabili a vario titolo di associazione di tipo mafioso, porto e detenzione illegali di armi, estorsione, usura, riciclaggio. Al centro dell’inchiesta c’è soprattutto il clan dei Grande Aracri di Cutro, che già da tempo opera nel territorio emiliano.

“La presenza di organizzazioni mafiose qui a Parma non deve essere vista come una novità ma anzi come una realtà che ormai non si può più ignorare – afferma Salvo Taranto di Libera Parma – il fatto che non ci siano ritrovamenti di cadaveri o quant’altro non vuol dire che la mafia non sia presente, anzi probabilmente vuol dire che gli affari vanno talmente bene che non c’è bisogno di gesti del genere. Il processo Aemilia è solo la dimostrazione che la modalità di azione delle cosche coinvolge ormai il mondo imprenditoriale, le forze dell’ordine, il giornalismo, e tra gli altri figura anche una fiscalista. Non è più il caso di parlare di infiltrazioni mafiose ma di vero e proprio radicamento“. Una rilevante parte dell’inchiesta ha come oggetto gli appalti della ricostruzione che seguì il terremoto del 2012 con riferimento ad alcuni imprenditori emiliani. Un particolare emerso nelle intercettazioni di una telefonata tra due indagati nell’ambito dell’inchiesta e riportato nell’ordinanza del gip del Tribunale di Bologna dimostra come sin da subito si siano verificate infiltrazioni nell’attività di ricostruzione post-terremoto: Gaetano Blasco e Antonio Valerio, il 29 maggio 2012, a sola qualche ora dalla scossa più forte delle 9, si dicono: “Ah…l’hai sentita l’altra scossa? A Carpi pure, pure fino a Cavezzo. Stanno facendo una proposta di fare tutto di legno ma dobbiamo preparare tutte le società, quattro società sicure. Secondo me dobbiamo iniziare a lavorare, già un paio di cutresi sono andati prima di noi eh. Che noi parliamo e quelli fanno. È caduto un capannone a Mirandola” – “Eh allora lavoriamo là” – risponde l’altro ridendo. Una situazione dunque molto simile a quella verificatasi nel 2009 all’Aquila.

image (1)Il 23 marzo di quest’anno è iniziato il vero e proprio (maxi-)processo all’interno dell’aula bunker costruita proprio per l’occasione e in tempi brevissimi nel cortile del tribunale di Reggio Emilia: qui gli imputati sono chiamati a difendersi dalle accuse della Direzione distrettuale antimafia di Bologna che variano dall’associazione a delinquere alla truffa, ai reati ambientali.  Altri 70 hanno scelto il rito abbreviato che si sta ancora celebrando a Bologna. Tra questi proprio i maggiori indagati e boss di rilievo, su tutti Giuseppe Giglio: ritenuto l”addetto alle infrastrutture’ dell’associazione, ha deciso di collaborare con gli inquirenti. Nei confronti dell’imprenditore, che risiede a Montecchio Emilia e che da oltre un anno è al 41 bis, è stato quindi attivato un dispositivo di alta protezione solitamente previsto per i pentiti. I boss, da quanto emerge dalle prime indagini, avevano ottimi legami anche con giornalisti e politici. Tra gli arrestati, infatti, si può leggere il nome del giornalista reggiano Marco Gibertini, già in manette nei mesi scorsi per l’importante inchiesta Octopus sempre riguardante mafie e fatturazioni false. Gibertini è stato accusato di concorso esterno in associazione mafiosa: il giornalista avrebbe messo infatti a disposizione di alcuni boss mafiosi della zona i suoi rapporti con i politici, con l’imprenditoria e con il mondo della stampa, pilotando interviste in tv e su un quotidiano, in modo da cercare di influenzare l’opinione pubblica. Risulta inoltre accusato di associazione a delinquere di stampo mafioso, di minacce alla giornalista Sabrina Pignedoli del Resto del Carlino e di accesso abusivo alle banche dati della polizia, Domenico Mesiano, poliziotto della Questura di Reggio. Tra gli indagati del processo Aemilia, anche l’ex assessore comunale Pdl del Comune di Parma, Giovanni Paolo Bernini, accusato inizialmente di concorso esterno in associazione mafiosa. Al centro dell’inchiesta, le elezioni comunali di qualche anno fa: secondo l’accusa, Bernini avrebbe pagato denaro agli uomini legati alle cosche in cambio di voti per le elezioni amministrative del 2007. “Nel suo caso l’accusa – spiega il giornalista Marco Balestrazzi – ha chiesto poi la riqualificazione del reato contestato in ‘voto di scambio politico mafioso’”. Bernini si è avvalso del rito abbreviato che gli garantirà lo sconto di un terzo dell’eventuale pena. Intercettazioni telefoniche e pagine di accuse anche per Michele Bolognino, originario di Locri (RC) e rinchiuso nel carcere de L’Aquila perché coinvolto nel primo maxi filone di ‘Aemilia’ come uomo di punta della cosca di Parma. Bolognino si definiva “un free-lance”, spaziando dall’edilizia ai trasporti, da Parma al Reggiano – pur mantenendo i rapporti con il suo paese di origine – ma per lui la Procura ha trovato una definizione diversa: “Stratega delle intestazioni fittizie” accusandolo di associazione mafiosa, reimpiego di soldi provenienti della cosca ed estorsione. Come emerge dalle indagini e da varie testate giornalistiche “aveva messo le mani su discoteche, bar e night club: sarebbe stato lui il vero titolare dell’ex Astrolabio di Parma, della Para di Baganzola e dell’Ariete di via Milano, prima del passaggio ai nuovi proprietari”. ok libera-2

PERCEZIONE DEL FENOMENO – Ma all’interno dell’Ateneo, cosa si sa del processo Aemilia? Qual è la consapevolezza del fenomeno? Alcuni studenti hanno partecipato allo spettacolo teatrale prodotto dallo Spi Cgil, in collaborazione  con Libera e Udu e con il patrocinio della Regione Emilia-Romagna, Radio Aemilia’: ricalcando l’idea di Radio Aut di Peppino Impastato, si immagina una radio libera e che vuole rompere il silenzio, parlare del ruolo della politica e delle imprese in Emilia Romagna. Ma non c’è sempre questo coinvolgimento. Anzi, spesso è il caso di parlare di silenzio e disinformazione. E’ triste ma è anche la dura realtà: la maggior parte degli studenti non sa cosa sia e di cosa si occupi il ‘processo Aemilia’, qualcuno si è limitato a dire che “tanto la mafia esiste dovunque e sradicarla è impossibile, quindi tanto vale abituarcisi“. “Non so cosa sia il processo Aemilia, non ne ho sentito parlare ma probabilmente dipende dal fatto che non guardo molta tv né leggo i giornali – dice Pietro, studente di Economia -. Forse però, la mafia è uno di quegli argomenti di cui è meglio non parlare affatto, per non rischiare, ecco.” “So dell’esistenza del processo Aemilia, ma non so come si è sviluppato e non so chi siano gli indagati. Io che vengo da una città come Palermo – dice Simona, 23 anni – in cui si è sempre parlato di mafia, mi accorgo che al nord invece si tende a nascondere”. E viene il dubbio se più che nel nascondere, il problema non stia nell’incapacità di informarsi.  

di Fiorella Di Cillo, Ilenia Vannutelli

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