A lezione di cyberbullismo: “In rete bullo anche chi non lo farebbe mai”

SFOGO DEI REPRESSI, COINVOLGE ANCHE GLI ADULTI

cyberbullismo“Educare i genitori ed educare i più piccoli all’utilizzo della rete. Parole e immagini possono far male.” È così che Fausto Pagnotta, docente di Storia dei diritti umani e Web society e coordinatore del seminario ‘Gli incontri di Diritti umani e Web society’, apre il dibattito educativo del 29 marzo ‘Conoscere e affrontare il cyber bullismo‘. Ad accompagnarlo è un’esperta di problemi di genere e dell’infanzia: Debora Veluti, responsabile del nucleo Anti-violenza della Polizia Municipale di Parma.

All’evento hanno partecipato molti docenti delle scuole secondarie, un grande passo avanti volto a creare consapevolezza sul mezzo d’informazione che oramai ha permeato la società in tutti i suoi strati. Il concetto alla base dell’incontro è “un’idea educativa – spiega Pagnotta – utile poiché per risolvere i problemi della rete c’è bisogno del contributo di tutti. Bisogna creare una sinergia tra il ruolo dei mass media, il nostro ruolo e il pubblico. Qua ci sono molti educatori, docenti, molti futuri assistenti sociali che sono sensibilizzati a farsi carico di questa responsabilità educativa”. Questa necessità nasce dalla consapevolezza che il web è un mezzo d’informazione che si è propagato senza troppa preparazione, infatti Pagnotta chiarisce: “Internet è uno dei pochi strumenti che è riuscito a diffondersi senza un’educazione preventiva“. Una delle lacune più evidenti è “l’assenza di spirito critico da parte dei giovani, che, a sua volta, è dato dalla mancanza di formazione con il mezzo” racconta Pagnotta. Secondo il professore è importante rivalutare i cosiddetti  “primitivi digitali”, ovvero tutta quelle persone che data l’età non hanno molta dimestichezza con i computer. Rivalutarli perché solo loro hanno assistito all’avvento e allo sviluppo di queste tecnologie.


CYBER-BULLISMO, DI CHI È LA COLPA?
– Quando scoppia il problema, che spesso si è sviluppato nel tempo e nel silenzio, si tende a cercare il capro espiatorio. Così i genitori puntano i forconi contro gli insegnanti, affermando che “non esiste più l’educazione di una volta”. E gli insegnanti che, dal canto loro, evidenziano la mancanza di una forte educazione familiare. Alla fine il punto d’incontro è nel far confluire le colpe sulle forze dell’ordine “poco presenti, impreparate, poco attente” e così via. Fausto Pagnotta non è particolarmente d’accordo con queste teorie e offre una soluzione differente “Dovrebbe essere un discorso educativo di sistema, dove il provveditorato, il Miur, decidono di fare delle reti obbligatorie per la formazione su queste tematiche”. La mera colpevolizzazione dei genitori non può risolvere la piaga del cyber bullismo, infatti Pagnotta spiega: “Da parte dei genitori c’è più paura che non capacità di prenderne consapevolezza. Perché? Non perché i genitori siano superficiali ma perché non ci si capacita del potere delle immagini e delle parole, del quale il cyber bullismo si nutre. Post contenenti falsità, immagini inappropriate che screditano una persona. Spesso gli adulti non danno peso a quelle che possono essere le conseguenze”. La soluzione è nelle mani di tutti e il professore suggerisce un punto di partenza: “Dobbiamo iniziare a sviluppare un approccio di ecologia della rete, ecologia delle nuove tecnologie digitali. Come avvenne con l’automobile. Una straordinaria scoperta che tutt’ora crea problemi: l’inquinamento. Lo stesso dobbiamo fare con il web: dobbiamo creare educazione e un sistema di utilizzo ecologico. Un bambino non dev’essere lasciato 24 h su 24 davanti alla tecnologia, neanche un adulto”.

CybertassonomiaDISTINGUERE PER COMBATTERE – Varie le sfaccettature del bullismo online, ma prima di tutto: perché distinguerle? “Conoscere e distinguere è un aiuto, soprattutto per la vittima. Talvolta la stessa non capisce in quale situazione si ritrova, a noi operatori capita di riscontrare un certo tipo di fenomeno che può essere diverso da ciò che si era pensato all’inizio; distinguere è un modo per inquadrare il problema.
E distinguere ‘aiuta’ anche a contrastare il fenomeno: “Chi mette in atto questa tipologia di comportamento spesso non sa che tale azione può essere configurabile come reato.” A volta ancora più oppressivo che nella realtà: “Se uno stalker importuna un individuo il reato si manifesta nella sola realtà, in modo classico. Ma immaginiamo un cyber stalker: la situazione si manifesterebbe 24 ore su 24”. Semplificare la questione rinchiudendola nel termine ‘cyber-bullismo’ è uno degli ostacoli principali.
Distinzione anche nelle pratiche che possono variare dal semplice ‘trolling’, chi interagisce con gli altri tramite messaggi provocatori, al più grave ‘Revenge porn’, ossia la pubblicazione di materiale intimo e privato allo scopo di umiliare, e ognuna di loro presenta soluzioni e caratteristiche proprie. Tra queste anche l’identikit del bullo: “Sono perlopiù gli uomini ad agire in questo modo. Infatti manifestazioni come il ‘Revenge porn’ e simili sono tipicamente maschili. Per le donne possiamo vedere perlopiù offese e intimidazioni via web, ma non vanno oltre questo. È più probabile trovare un uomo che fa uso del porno e non viceversa. Per quanto riguarda l’età parliamo di adolescenti e preadolescenti, ma se pensiamo a problemi come la pedopornografica e al grooming’ parliamo di fenomeni prettamente maschili.”
“Il cyber bullismo – continua Pagnotta – ricopre varie fasce d’età. Possono avvenire episodi nelle scuole elementari come nelle scuole secondarie di primo grado o di liceo. Nel mondo adulto non si parla di cyber bullismo ma cyber diffamazione, cyber stalking, proprio come Tiziana Cantone, con le immagini che hanno girato il mondo e a un certo punto si è suicidata. Il cyber bullismo ha quelle fasce di età che variano nel modo della scuola e che ora si stanno assottigliando verso il basso”

cyberbullismoC’è poi un altro grande dubbio: la rete incentiva il fenomeno del bullismo? L’esperta commenta: “Dal mio punto di vista la rete amplifica il numero dei bulli e ne incentiva l’azione, questo perché può diventare bullo anche chi, nella vita reale, non lo farebbe mai. Addirittura, in Gran Bretagna, sono stati fatti degli studi che dimostrano che, talvolta, chi ha subito un atteggiamento simile nella vita reale è a sua volta diventato bullo. Hanno trovato nella rete un canale in cui sfogare tutto ciò che hanno represso nella vita reale. Potenzialmente può essere un volano per l’apparizione di nuovi bulli, soprattutto grazie all’illusione dell’anonimato. Ovviamente non bisogna demonizzare la rete. È uno strumento molto utile ed è in grado di informare; il problema sta nell’educazione all’utilizzo del mezzo”.

In qualità di responsabile del nucleo Anti-violenza della Polizia Municipale, la dottoressa chiarisce la funzione dei tutori della legge: “Devono trovarsi pronti e preparati in modo da poter agire prontamente. Le forze dell’ordine hanno lo scopo di non farsi superare dalle tecnologie e prevenire i reati” e conclude “il tutore dell’a pubblica sicurezza, se informato a dovere, riconosce e agisce prontamente. La questione è prendere il reato in sé e per sé e vedere come si traduce nella realtà”. Le lamentele riguardanti le istituzioni come spesso accade sono eccesive, ma qualcosa di vero c’è: la norma riguarda solo i minori di 14 anni ed è ancora in fase di progettazione. La Veluti incalza: “Istituzioni politiche? Siamo un po’ in ritardo. A livello statale mi aspetterei una legge ben fatta e approvata subito. Sia per la cittadinanza sia per noi operatori. Ad esempio: la Regione Lombardia ha approvato una legge contro il bullismo, ma i suoi effetti sono ovviamente limitati. Quando una legge che comprenda tutte le regioni?”.

di Fabio Manis

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