A un anno dal processo, il punto su Aemilia

IN CORSO L'APPELLO A BOLOGNA, AL VAGLIO LE PAROLE DEL PRIMO PENTITO

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di Mattia Celio |

Un anno difficile, pieno di tensioni all’interno dell’aula-bunker a Reggio Emilia dove si stanno svolgendo le numerose udienze del primo “storico” maxi processo di mafia in Emilia Romagna. Un anno che non è certo volato via, anzi. La mastodontica macchina della giustizia messa in piedi, con imponenti misure di sicurezza, ha costretto ad uno sforzo non indifferente per entrare nel vivo di un procedimento in cui la parola ’ndrangheta risuona cupa ad ogni tappa, tra rivelazioni di teste minacciati da calabresi e rumorose proteste dei detenuti in aula. Prima tra tutte quella degli imputati di avere un processo a porte chiuse per evitare il linciaggio mediatico. Richiesta respinta dal giudice Caruso che ha citato la Costituzione sulla libertà d’informazione, ricordando dall’altra parte la presunzione di non colpevolezza fino alla sentenza.

Avviato la mattina del 23 marzo 2016, nell’aula costruita appositamente al Palazzo di Giustizia di Reggio Emilia, il processo dibattimentale in corso vede 147 imputati. Nella fitta trama di rapporti e infiltrazioni della cosca cutrese Grande Aracri, tra i reati contestati si parla di associazione di tipo mafioso, estorsione, usura, detenzione illegale di armi. Dal lato opposto della sbarra le parti civili, tra cui tante amministrazioni locali che si sono costituite in giudizio, come il Comune di Parma, rappresentato dall’avvocato Stefano Sarchi del foro di Piacenza.

Giuseppe Giglio, il primo pentito del processo Aemilia, è stato chiamato a testimoniare in aula, così come richiesto dai pubblici ministeri Marco Mescolini e Beatrice Ronchi. Lo hanno deciso i giudici Francesco Maria Caruso, Cristina Beretti e Andrea Rat. “La testimonianza può e deve essere ammessa”, ha detto il presidente Caruso, respingendo le eccezioni presentate dagli avvocati difensori contro l’audizione dell’imprenditore cutrese residente a Montecchio. Giglio è uno dei condannati a 12 anni e mezzo in primo grado nel rito abbreviato di Aemilia, conclusosi nell’aprile 2016 con 58 condanne, 17 patteggiamenti e 12 assoluzioni.
imageTestimoniando in aula ha parlato dell’inchiesta Aemilia dando forza all’impianto accusatorio dei pm della Direzione distrettuale antimafia di Bologna. Parole che a loro volta andranno verificate ma che si stanno dimostrando di grande aiuto agli inquirenti per definire meglio alcune figure degli imputati, come quella di Michele Bolognino, definito dal suo avvocato un “free lance”, considerato invece dai magistrati il luogotenente nel Parmense della ’ndrangheta emiliana e in particolare del boss Nicolino Grande Aracri. Secondo l’accusa sarebbe lui uno dei principali organizzatori dell’associazione mafiosa colpita dai 160 arresti del 28 gennaio 2015. Al momento sono tanti i vertici segreti ai quali i due avrebbero partecipato. Giglio ha raccontato ai magistrati che molti locali di Parma erano in mano alle cosche, come il ristorante ‘L’Ariete’ in via Milano, adesso passato ad un’altra proprietà completamente estranea alla vicenda. Locale che Alfonso Diletto, ritenuto il tesoriere della cosca cutrese, aveva ceduto a Michele Bolognino, secondo gli investigatori, per la simbolica cifra di 1000 euro. Si dice che Diletto e Bolognino si sarebbero passati la gestione del Night Club Habana, che lo stesso Bolognino sarebbe stato il socio occulto della ‘Para’ di Baganzola, che avrebbe intestato ad un prestanome, ovvero al 40enne parmigiano Loris Tonelli, conosciuto bene da Giglio. Secondo il pentito, Tonelli, tra gli indagati del secondo filone dell’inchiesta, ora attivo in Centro-America, era una persona alquanto fidata. Così Giglio conferma la tesi dell’inchiesta Aemilia, ovvero che Tonelli fosse in affari con il boss Bolognino sulla gestione dei locali ‘Gatto Azzurro’ e ‘Night Club’ di strada Argini.
Giglio, inoltre, ha affermato di conoscere Catianna e Domenico, figli di Michele Bolognino, svelando che il padre ha intestato loro un bar di Parma, coinvolgendo anche il fratello della compagna rumena dello stesso Bolognino. Sarebbe stato lui a gestire le ragazze del night club per poi fare riferimento al capo. Nella vicenda sarebbe coinvolta anche la misteriosa figura di una donna che avrebbe fatto da prestanome a Bolognino nella Camper Leasing, una società tedesca di noleggio auto alla quale sarebbe stato intestato anche un bar a Parma.

1934232_10154009104262090_6951967526887412182_nMentre le udienze si susseguono a Reggio Emilia, a Parma il processo Aemilia è stato al centro della fiaccolata annuale commemorativa in onore di tutte le vittime della mafia che l’associazione Libera, costituita parte civile al processo, ha organizzato il 19 marzo. A seguito del corteo, i fatti di Aemilia sono stati ripercorsi grazie all’iniziativa di quattro studenti del Liceo scientifico Ulivi che hanno tenuto una lezione sul processo in Emilia durante la quale hanno ricordato quanto sia importante combattere la mafia: “La mafia non è una realtà distante da noi. La viviamo in Emilia, la viviamo a Parma, la viviamo nel nord Italia. E’ importante conoscere per poterla combattere ponendo fine all’omertà”.

A un anno dalla fine del primo filone del processo, il 28 aprile alla Corte di Bologna è iniziato il rito d’appello che proseguirà fino a settembre con 50 udienze fissate per i 60 imputati del rito abbreviato. Tra loro sette sono i parmigiani coinvolti tra cui Alfonso Diletto, uno dei capoclan attivo nell’edilizia che gestiva un consistente giro d’affari a Parma, condannato in primo grado a 14 anni di reclusione; Giuseppe Pallone, condannato a 5 anni e 10 mesi e ritenuto un braccio operativo delle cosche con un ruolo di spicco nell’affare immobiliare della costruzione di un complesso residenziale a Sorbolo. Alfonso Martino, di Salsomaggiore, era stato condannato a 9 anni di reclusione: secondo le accuse avrebbe manovrato consensi alle elezioni comunali a Salsomaggiore nel 2006, a Sala Baganza nel 2011 e avrebbe tentato di influenzare le elezioni amministrative del 2012 a Parma, raccogliendo voti per il consigliere comunale del Pd Pierpaolo Scarpino, non coinvolto nell’inchiesta. I pm Ronchi e Mescolini hanno chiesto di ascoltare come testimoni alcuni ufficiali di polizia giudiziaria impegnati nelle indagini per cercare riscontri a quanto raccontato da Giglio, che nel frattempo spera che la pena a 12 anni e sei mesi di reclusione venga ridotta. Nell’udienza del 6 maggio il pentito Giglio è stato ascoltato anche in riferimento a Giovanni Paolo Bernini.  Nell’appello l’accusa ha infatti impugnato il proscioglimento in primo grado dell’ex assessore Pdl di Parma per la prescrizione della corruzione elettorale che lo vedeva coinvolto in una compravendita di voti con alcuni esponenti delle cosche in occasione delle amministrative del 2007.

 

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