Vecchia e nuova immigrazione, tra differenze e mal di pancia xenofobi

ACCOGLIENZA, INTEGRAZIONE, INCENDIO A LESIGNANO: LA PAROLA AL VICEPRESIDENTE DELLA CONSULTA STRANIERI

Venerdì 3 novembre a Lesignano l’ex caseificio di San Michele Cavana, destinato all’accoglienza di 8 richiedenti asilo, viene incendiato. Unanime la condanna da parte dei soggetti protagonisti del progetto d’accoglienza ai migranti cui l’edificio era destinato. “Basta alla retorica del noi e loro” è l’appello del Ciac. Secondo il Centro Immigrazione Asilo e Cooperazione Internazionale “l’accoglienza è un dovere etico e un diritto sancito dalla Costituzione Italiana” che un simile atto mette chiaramente in discussione.
Ma alla luce di un fenomeno che vede crescere anche in Italia atteggiamenti xenofobi, come leggere questo episodio e come portare avanti l’integrazione? A rispondere è Erion Begaj, vicepresidente della Consulta Stranieri Provinciale che commenta i fatti di Lesignano esprimendo solidarietà verso le parti danneggiate e parlando “non di un gesto folle ma programmato, con forti connotazioni politiche”. “E’ un segnale forte che le istituzioni devono ricevere. Venti anni fa non succedevano queste cose in modo così aperto. Saranno gli organi competenti ad indagare – prosegue – e spero che arrivino presto a una risposta. Mi auguro che chi ha compiuto questo gesto sia pentito, perché non ha cambiato niente, nemmeno in termini di accoglienza. Bruciando quel caseificio gli immigrati non scapperanno. È il costo che stiamo pagando per avere un’Italia diversa nel futuro.”

Erion BegajPIU’ ACCOGLIENZA, MENO INTEGRAZIONE? – L’Italia è da anni divenuta porto migratorio per eccellenza. Nonostante “si continui a parlare di emergenza profughi, in realtà è una situazione ormai strutturale”.
Arrivato in Italia dall’Albania da quasi vent’anni, nel 2002, Erion ha frequentato Scienze Politiche e oggi è cittadino italiano. Ma come è cambiata in questo periodo la prospettiva di chi arriva e di chi è chiamato ad accogliere? Secondo Begaj alcuni anni fa era forse più semplice integrarsi grazie alla migliore situazione economica ma, certamente, i processi di identificazione eseguiti erano più lunghi e complessi. “All’inizio in Italia c’era una forte diffidenza nei confronti degli stranieri, non era preparata tecnicamente, economicamente o logisticamente ad accogliere i flussi degli anni ’90. Il nuovo ciclo economico ha facilitato l’inserimento degli albanesi nel tessuto sociale. Dal punto di vista burocratico oggi lo stato è molto più preparato ad accogliere”. Se da una parte, dunque, l’Italia è in prima linea nel gestire situazioni di emergenza, dall’altra l’accoglienza diventa sempre più difficile da realizzare a causa del già complicato contesto economico e politico interno in cui la “tensione è accentuata da alcune forze politiche per motivi elettorali”, aggiunge il vicepresidente della Consulta Stranieri.

A Parma la comunità albanese è tra quelle straniere più numerose e dal 2015 conta già 2661 cittadini divenuti residenti, mentre gli albanesi in tutta la provincia sono circa 8600. Sono stati tre i flussi migratori albanesi approdati in Italia negli ultimi decenni: uno nel 1991, quando 20.000 albanesi sono stati accolti nel Paese; uno nel ‘97 dopo il crollo delle piramidi finanziarie e la caduta del regime che hanno messo in fuga la popolazione; e uno nel ‘99 con l’avvento della guerra del Kosovo e il conseguente esodo scaturito. Nel mezzo i flussi clandestini: ondate di veri e propri invisibili privi della propria identità, hanno raggiunto l’Italia per lavorare e vivere in nero, senza alcun diritto o sicurezza. Ma se il traguardo per i flussi migratori degli anni novanta era proprio l’Italia, con volontà di costruire qui il proprio futuro, oggi invece rappresenta una tappa obbligata nel viaggio per la salvezza, per il riscatto, che però non è qui. Gli albanesi, nonostante le costrizioni del Paese che spinsero allo spostamento, sceglievano di venire in Italia per legami culturali e storici. Il nuovo flusso di migrati che oggi giunge in Italia, invece, spesso arriva con l’intenzione di andare altrove. Approdano a Lampedusa, a Pozzallo, a Ragusa ma hanno altri progetti. Tra il loro progetto e la realtà c’è però di mezzo il Regolamento di Dublino che ancora impone che il migrante debba rimanere nel Paese dove vengono espletate le procedure di identificazione. Un aspetto fortemente criticato e definito da diversi addetti ai lavori sintomo di una “miopia burocratica” ancora persistente alla base dei sistemi di accoglienza.

Migrants crowd the deck of their wooden boat off the coast of LibyaFARE I CONTI CON LA MULTICULTURALITA’ – In Europa la popolazione è di circa 740 milioni, in Africa 1 miliardo e 400 milioni, secondo le stime della scienza demografica, di gran lunga più precisa delle scienze economiche, nei prossimi 40 anni gli africani saranno circa 4 miliardi e gli europei continueranno a decrescere. Vi è quindi una massa enorme di persone che premono ai nostri confini per le ragioni più varie: per sfuggire agli orrori della guerra, per fattori di mutamento climatico e delle risorse. Il dato più duro che sembra porsi è quindi che la civiltà europea, per come siamo abituati a conoscerla, non esisterà più. “Nel 2050 un terzo degli italiani sarà di origine straniera ma più le generazioni andranno avanti, più diventeranno italiane – commenta Erion Begaj -. Condivideranno l’idea di vivere in un paese con delle regole, dei simboli, che accomunano tutti, che siano di origine albanese, sub sahariana o latina.” Non sarà più possibile raccontarci che il tramandarsi della nostra civiltà, come avvenuto nell’ultimo secolo, manterrà lo stesso flusso, perché sarà naturale confrontarsi con questa enormità di culture e sensibilità nuove che contamineranno i territori. Occorrerà quindi riconoscere i pilastri culturali costruiti e capire che accogliere la diversità non significa piegarsi ad altri valori.

L’INTEGRAZIONE POSSIBILE – L’incendio a Lesignano, pur non considerato “sintomo di un senso maggioritario tra i cittadini”, denota un atteggiamento che si scatena con violenza in gesti intimidatori e che si ripercuote sulla percezione del fenomeno dell’immigrazione, osteggiato come una violazione e un’invasione di spazi pubblici. Alla luce di questo, le organizzazioni di assistenza necessitano di supporto a livello locale per passare da una buona accoglienza a processi d’integrazione mirati, capaci di avviare un ripensamento culturale dove preservare il valore della propria cultura non significhi respingere il diverso. Occorrerebbe certamente riaprire un cantiere sociale che metta insieme le persone che vivono nelle comunità e faccia convivere stranieri e italiani attraverso progetti basati sull’ascolto, sulla conoscenza e sul rispetto reciproco. A Parma, città “multietnica e accogliente” secondo Erion, ci sono tanti esempi positivi di esperienze nate anche grazie all’azione della Consulta provinciale degli stranieri per favorire l’integrazione. Come? Attraverso piccoli gesti quotidiani. Uno fra i tanti progetti che il vice presidente racconta, ad esempio, è quello di un orto coltivato volontariamente dagli immigrati i cui prodotti vengono donati gratuitamente alle famiglie in difficoltà economica. Erion è il primo a sottolineare che questo gesto “non salverà la città o il Paese dalla crisi”, ma è un’azione che va a creare un’interazione tra le identità affinché disegnino insieme un terreno d’intesa in grado di contenere le proprie originalità.
Solo grazie alla volontà delle due parti – italiani e stranieri- si potrà approdare quindi a un’integrazione più solida e profonda e a Parma, dove continuano a crescere i residenti di origine straniera, le occasioni non mancano grazie a numerose associazioni e istituzioni che si impegnano con iniziative sportive e culturali per abbattere le barriere della multiculturalità: dal 9 al 28 novembre si tiene, ad esempio, la Settimana della cultura albanese organizzata dall’associazione Scanderbeg. Incontri, conoscenza, confronti: da qui passa l’integrazione, ma anche il futuro del nostro Paese.

 

di Vittoria Fonzo, Laura Storchi, Valeria Milenati

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