Un ghetto padrone della città

A CATANIA IL QUARTIERE DIVENTA CONTENITORE A-SOCIALE

Il quartiere nasce e sopravvive nell’indifferenza di chi ci vive e di chi vi rifugge. Si tratta di un vero e proprio processo di ghettizzazione ma anche di autosegregazione da parte e per parte della comunità.

benedettini-745x400Via Plebiscito, nota ai più per la carne di cavallo e la prossimità con il monastero dei Benedettini, esimia sede universitaria, racchiude tra i suoi vicoli i giovani diseredati della città. ‘Inconsapevole’ di questo confine invisibile la città si guarda bene dal coinvolgere o ‘stuzzicare ’gli abitanti del quartiere, dove all’interno si celano i panni sporchi della città.

Dato il processo di confino che la città impone ai ragazzi di quartiere e quindi privati di un luogo di appartenenza che li accolga e li guidi, i giovani si riversano sulla strada nidificando un territorio che sentono di occupare di diritto.

Molti dei genitori coinvolti nell’associazione Cappuccini dichiarano che l’incolmabilità delle distanze sia una delle cause principali dell’assenza scolastica dei più giovani. Il quartiere risulta infatti distante da qualsiasi centro educativo. Marginale appare il valore di questo spazio urbano, isolato dal resto della città; ne consegue un tasso di alfabetizzazione che è il più basso d’Italia. Catania con l’8,4% è la più grande città analfabeta d’Italia seguita da Palermo (7,4), Bari (6,7) e Napoli (6,2).

Via Plebiscito diventa così una zona da evitare. Un’area di delinquenti che non si riconosce essere semplici bambini. La criminalità non sempre si rivela malvagia e in questo caso è la mancanza di assistenza il primo male da debellare.

Questa tendenza al pregiudizio e all’allontanamento si verifica da parte di entrambi i poli. Gli abitanti del quartiere, difatti, fortificano i propri confini tanto da renderli invalicabili per coloro che non sono della zona. Né approcci di integrazione, né di interazione sono stati tentati in alcun modo.

Piazza-Dante-CataniaIl paesaggio del quartiere sembra superare i confini della città e si propone come identità a sé stante e autonoma. La strada si trasforma così in uno spazio di quarantena per chi non intende entrare in contatto con l’esterno e per chi non vuole, e non può, entrarvi.

Attraverso questo sistema si creano segregazioni involontarie e non. I minori del quartiere svicolano dai propri contenitori sociali e si riversano sulle strade liberamente.  Gli anziani popolano via Plebiscito, seduti tra i banchetti fuori le porte a giocare a carte, mentre i giovani giocano per le strade con petardi e motorini. Sembrano immersi in una dimensione anacronistica e in questo modo il quartiere diventa un luogo di pericolo. Nella città dove si va sempre più privatizzando la dimensione autentica della vita domestica, una volta molto più condivisa, il quartiere tutela ancora quel senso di collettività e identità perduto.

Il prezzo della congregazione di quartiere è, tuttavia, l’isolamento. Una reclusione sociale e culturale che riporta alla questione minorile.

Questi minori sono confinati alla strada e da essa, inevitabilmente, apprendono. Il quartiere come contenitore a-sociale, laddove sociale designa la tendenza a vivere in società, racchiude i giovani ed esilia la città in quanto nemico. Negli ultimi 25 anni il fenomeno di delinquenza minorile non è stato dissipato ma la città è progredita e cambiata profondamente. Il quartiere, rimasto immutato nel tempo, non si è adattato al nuovo assetto della modernità ed è stata la sua non-trasmutazione ad averne snaturato le peculiarità, imponendo nuove regole e nuovi tragitti alla città per cui è reietta.

via plebiscitoPochi metri possono fare la differenza, un solo tratto di strada sancisce l’inizio e la fine di un mondo fatto di miseria e disperazione. Questa dimensione, ben circoscritta e taciuta, si appropria dello spazio che trova e la città assiste e si modella attorno ad essa, pur di rimanere estranea al proprio vicino. Il traffico si adatta e si sposta, mentre via Plebiscito arretra all’interno di una città che avanza senza mai voltarsi indietro.

Risulta impellente, pertanto, non solo il recupero di una cultura solidale ed educativa, ma il discernimento di una comunità che auspichi uno sviluppo libero da precetti culturali ed economici che possa riconsegnare al singolo le redini della propria esistenza.

di Vittoria Fonzo

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