Scrive parole d’amore a se stesso sui muri: se le relazioni cedono posto all’apparenza

IN UNA SOCIETÀ SEMPRE PIÙ INTERCONNESSA NON RESTA IL CORAGGIO E LO SPAZIO PER IL CONTATTO UMANO

Il modello Batia Hasan (27 anni), soprannominato dai giornali ‘writer narciso’, è stato arrestato a Reggio Emilia 16 marzo 2018. Il reato? Aver imbrattato decine di muri nel centro della città con frasi d’amore a lui stesso indirizzate. Un’operazione di marketing sentimentale volta a generare scalpore e gelosia tra i suoi 165mila followers Instagram. L’episodio insolito, e al contempo spassoso, genera però più di una semplice risata. C’è da chiedersi cosa spinga una persona a compiere un gesto, semplice quanto estremo, di questa portata.

Ad ogni condizione esistenziale o stato antropologico spetta una definizione, una parola che ne colga il senso e ne denunci il patimento. Reinterpretando Sciascia, oggi la dimensione dei social e l’iper-interattività globale potrebbero prendere il nome di ‘socialitudine‘. Il neologismo nativo rivendica una specificità propria della cultura isolana che non si discosta poi di molto dalle piattaforme social di oggi.

L’isola dei social raccoglie al suo interno milioni di utenti che, nonostante la prossimità virtuale, soffrono di un eccessivo bisogno di corrispondenza. Per chi c’è nato, nel mondo dei social, dura poco la parvenza di comunità che le piattaforme promuovono. Alla soddisfazione generata dall’approvazione virtuale dei propri followers, subentra presto la sofferenza di non saper ricavare da mille account e foto leziose un senso di appagamento autentico che sfami il nostro bisogno naturale di contatto umano.

Il social si trasforma quindi da, inefficace, finestra sul mondo a solido palcoscenico per il proprio ego. L’orgogliosa coscienza di sé si amplifica grazie a likes e retweet, relegando l’utente a una solitudine fatta di specchi. La superbia e l’ostentazione vengono premiati ed emulati nel tentativo di conquistare consensi. E ancora c’è da chiedersi: perché questo bisogno spasmodico di assenso?

Siamo cresciuti all’ombra di un’illusione che appariva a portata di click. La promessa di una rete di comunicazione più facile e immediata ha portato con sé la convinzione che ‘contattarsi’ basti per conoscersi. Gli abbaglianti filtri Instagram hanno offuscato la visione della realtà e restituito una vetrina dell’artificiosità.

Scriversi ‘Ti amo’ su un muro per attirare l’attenzione, per conquistare notorietà, è insieme sia una richiesta di aiuto che sintomo di un ignaro malessere. Indaffarati a proiettare un’immagine di sé ideale, si dimentica lo scopo stesso di tanto disturbo: apparire come si vorrebbe, o si crede di dover essere, per ottenere l’ammirazione di altri. Eppure anche il profilo satollo di ‘mi piace’ e commenti non riesce a scalzare quella scomoda esigenza di affetto (‘reale’) propria dell’animale sociale (e non social) che è l’uomo. Spogliato dei suoi filtri e privo di connessione, il profilo si svuota di ogni compiacimento e ci abbandona a noi stessi, riflessi malconci della realtà virtuale.

La solitudine non è certo una condizione estranea all’uomo, ma credevamo di poterci ritrarre da essa attraverso l’iscrizione a Facebook. Abbiamo ottenuto i mezzi più sofisticati per appagare i nostri vizi e quietare i bisogni.

In un sistema che remunera il ‘selfish’ e che è pungolo di se stesso, rimane ancora spazio per il contatto umano?  Ci siamo illusi che la rete dei social potesse facilitarci la vita. Facile diventa, così, attributo imprescindibile dei mezzi che siamo disposti a usare per ottenere ciò che vogliamo. Sui social basta poco per partecipare e interagire. Socializzare invece è difficile e richiede coraggio, strumento ormai destituito dal tempo.

Forse è proprio la mancanza di coraggio del nostro agire ad avallare la vacuità dei gesti virtuali. Forse è più facile fingere di aver ricevuto frasi d’amore piuttosto che avere il coraggio di dedicarle a qualcuno. Forse non vogliamo destarci dall’intontimento dei social nonostante la nostra insoddisfazione perché è più facile subire pavidi i bisogni piuttosto che risvegliarci arditi in una realtà che non riconosceremmo più.

di Vittoria Fonzo

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