Mobilità elettrica: tra pro e contro, a che punto siamo?

UN INCONTRO TRA PRODUTTORI, POTENZIALI CONSUMATORI ED ESPERTI PER FAR LUCE SULLA MOBILITÀ DEL DOMANI

mobilità elettrica

 

Di auto elettriche se ne parla sempre di più, però mentre degli aspetti negativi si sa tutto, del suo potenziale si conosce ancora troppo poco. Per questo, l’associazione studentesca Energia e Mobilità Sostenibile (Ems), in collaborazione con eV-Now, ha organizzato giovedì 22 novembre l’evento ‘Mobilità elettrica, il futuro è oggi!’: un momento di incontro tra produttori, esperti e possibili consumatori per confrontarsi ed esaminare le criticità quanto gli aspetti innovativi delle Bev (acronimo utilizzato per indicare le macchine elettriche). Sfatando allo stesso tempo qualche falso mito. 

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AUTONOMIA E DISTANZA – Uno tra i più comuni pregiudizi è che la macchina elettrica abbia poca autonomia. Ma non è affatto così: la Nissan Leaf, uno dei modelli Bev più venduti in Italia, ha attualmente un’autonomia di 378 km. Se in Italia esistesse una rete nazionale di colonnine per la ricarica, anche i viaggi più lunghi potrebbero essere svolti tranquillamente. Oltretutto, vi sono diversi gruppi di ricerca nel mondo che stanno sperimentando delle corsie da ricarica ad induzione, in modo tale che le macchine si ricarichino mentre viaggiano. Questa ipotesi, unita alla tecnica di frenata rigenerativa (la trasformazione dell’energia della frenata in energia elettrica), potrebbero aumentare l’autonomia della BEV o diminuire i tempi di ricarica. Ad oggi, la ricarica veloce dura in media 20 minuti. Il rischio quindi non è più tanto quello di rimanere a piedi ma, come ironicamente dice il giornalista Paolo Attivissimo, moderatore dell’incontro, quello di ingrassare mangiando tra una ricarica e l’altra.

VELOCE COME LA LUCE – Secondo luogo comune: le macchine elettriche sono più lente delle macchine normali. Assolutamente falso: “La Rimac Concept Two ha 1.940 cavalli e uno scatto di 0-100 in 1,97 secondi”, spiega il professore Carlo Concari. Prestazioni superiori anche alla stessa Tesla Roadster. Inoltre, è la dimostrazione del fatto che le BEV possono occupare ogni settore automobilistico, non solo quello delle utilitarie per famiglie. La Jaguar, ad esempio, ha da poco dato vita all’I-PACE, la prima macchina sportiva elettrica al 100%. Non solo, l’azienda ha creato anche un modello che entrerà a far parte della Formula E, il campionato di macchine da corsa dedicato esclusivamente alle BEV. Un segnale per far capire anche ai più affezionati dello sport che l’auto elettrica non è una rinuncia, ma anzi un modo per avere macchine sempre più veloci e performanti. L’unica differenza tra vecchi e nuovi modelli sarà l’assenza di rumore del motore.

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LE BATTERIE – Le BEV riducono l’inquinamento ambientale tanto quanto quello acustico. Questo fatto è poco sottolineato quando si parla di macchine elettriche, ma in effetti è uno dei fattori più concreti del passaggio dal motore a scoppio all’uso di batterie. E proprio quest’ultime sono il cuore e allo stesso tempo il tendine d’Achille di questa nuova tecnologia. Le batterie non hanno ancora le stesse performance della benzina: per creare l’ energia prodotta da 35 litri di benzina bisognerebbe utilizzare 3 tonnellate di batterie in litio cariche. L’uso del lito è poi una novità delle BEV di seconda generazione: le prime batterie erano in piombo e, oltre ad essere molto più dannose, non permettevano delle cariche parziali. Resta il problema della smaltimento: la vita media di una batteria è di circa otto anni e, come hanno fatto notare molti ecologisti e anche qualche sostenitore del gasolio, dopo questo periodo le batterie risulterebbero inutilizzabili. Secondo il direttore dei veicoli elettrici della Nissan, Paolo Matteucci, non stanno proprio così le cose: “Molti studi si stanno concentrando su una seconda e una terza vita della batteria; in questo modo il ciclo di una batteria si allunga a circa 30 anni“. Le batterie ‘vecchie’ non possono fornire più le giuste performance ad un macchina, ma possono, ad esempio, essere riutilizzate come accumulatori domestici di energia nelle case che hanno un impianto fotovoltaico. In aggiunta, potrebbero essere usate negli impianti di stabilizzazione per fornire energia in modo continuo sulla rete nazionale, anche in un momento di calo elettrico. All’estero l’utilizzo di batterie di seconda vita è già realtà: lo stadio Amsterdam Energy Arena, composto da batterie di seconda vita, stabilizza la corrente dell’intero quartiere attorno allo stadio.

mobilità elettricaVEHICLE TO GRID, GRID TO VEHICLE – Gestione, immagazzinaggio e distribuzione dell’energia non sono una prerogativa delle batterie di seconda mano. Il sistema vehicle to grid (V2G) permette lo scambio dell’energia dalla rete alla macchina, e viceversa. Considerando che le macchine passano l’80% del loro ciclo vitale ferme, l’energia da usare nel tragitto casa-lavoro è minima; quella restante potrebbe essere tranquillamente reimmessa nella rete nazionale, lasciando però sempre una parte della ricarica disponibile per gli spostamenti necessari. Ma avere una macchina connessa significa molto di più. Stefano Sordelli, Future Mobility Manager della Volkswagen, ha presentato un sistema di triangolazione tra rete, macchina e cellulare, in modo tale che da remoto si possano fare acquisti online, per poi farceli recapitare direttamente in macchina. La mobilità elettrica non propone quindi un modo di muoversi, bensì vero e proprio lifestyle.

L’ENERGIA IN POLITICA – Verrebbe da chiedersi cosa aspetti il nostro governo a favorire il mercato delle BEV, dal momento che vengono considerate quasi universalmente le macchine del futuro: a gennaio Marchionne aveva affermato che “la metà delle auto prodotte nel mondo entro il 2025 sarà ibrida, elettrica o a celle di combustibile”. L’Italia però al momento ha bloccato gli incentivi statali e c’è di più: non solo non si investe sulla mobilità elettrica ma, come spiega Francesco Naso dell’associazione Motus-E, circa 11,5 miliardi di euro dei contribuenti vengono impiegati in Sussidi Ambientalmente Dannosi (SAD). Tra questi vanno considerate anche le basse accise sul gasolio, il motivo principale per cui non c’è stata ancora una conversione totale alla mobilità elettrica. Mentre a livello statale le politiche mancano di visione, le regioni hanno le idee un po’ più chiare: a Parma è stato formulato il nuovo PUMS (Piano Urbano della Mobilità Sostenibile), che tra i tanti punti prevede l’introduzione di 37 colonnine di ricarica e la realizzazione di una linea urbana completamente elettrica. Tutti questi progetti, per quanto eco sostenibili e auspicabili, hanno in sé una problematica che non si può risolvere a livello locale.

Una cosa che forse non si è sottolineato abbastanza durante il convegno è che utilizzare una macchina senza motore non significa che le emissioni scompaiano del tutto. Attualmente le BEV si ricaricano collegandosi alla rete nazionale energetica, che è quella che in ultima analisi inquina l’Italia perchè produce energia principalmente bruciando gas naturale. Bisognerebbe quindi prima di tutto modificare il mix energetico utilizzato nel nostro Paese a favore delle energie rinnovabili, creando allo stesso tempo un piano per incentivare l’uso di queste nuove tecnologie sostenibili. Solo così potremmo davvero avvicinarci ad un livello zero di emissioni.

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Colonnine al Campus Unipr, foto di Ems

SVILUPPI FUTURI – Per quanto il convegno abbia avuto il merito di far luce su un campo ancora poco conosciuto, i progetti di Ems guardano ancora più lontano. O meglio, più vicino: al Campus sono presenti delle colonnine per la ricarica elettrica, attualmente inutilizzate. Per usufruirne, servirebbe una tessera che le attivi. Card che, dall’installazione nel 2015, non sono state mai distribuite. Al momento gli unici ad usufruirne sono coloro che hanno un permesso speciale, come appunto il gruppo Ems. Ma il progetto potrebbe non limitarsi esclusivamente all’ambiente universitario: si potrebbe aprire l’uso delle colonnine al pubblico, diventando una possibile entrata economica per l’università. L’unico problema è la tipologia delle colonnine: un tipo 2, a ricarica lenta (3kW), sicuramente non adatte a chi ha bisogno di una ricarica veloce.

 

di Gloria Falorni

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