Laurea a Don Ciotti, testimone impegnato dei nostri tempi

ANDREI: "PER L'AFFERMAZIONE QUOTIDIANA, PERSEVERANTE, APPASSIONATA E IMPEGNATA DELLA DIGNITA' UMANA"


Il 23 novembre Parma si è stretta attorno a Don Luigi Ciotti, in occasione della laurea ad honorem in Psicologia dell’intervento clinico e sociale conferitagli dall’Università per il suo impegno civile e sociale. Nella mattina presso l’aula magna del Campus di Scienze e Tecnologie del dipartimento di Ingegneria,  si è concluso il ciclo di conferenze e incontri organizzati ad hoc per l’occasione,  con un ultimo appuntamento che ha coinvolto direttamente gli studenti delle scuole superiori e dell’università della città in un dialogo aperto con il sacerdote fondatore del Gruppo Abele e Libera. All’evento erano presenti  anche il rettore Paolo Andrei, il professore Matteo Truffelli, il vescovo di Parma Enrico Solmi, e diversi rappresentanti degli organi stampa. “Una laurea che considera con grande attenzione e riconoscenza tutto il lavoro fatto negli anni da Don Luigi Ciotti nell’affermare quotidianamente e con grande perseveranza, impegno e passione la dignità della persona umana”, ha dichiarato Andrei. Parole confermate poi da Truffelli il quale ha sottolineato come il gesto di conferire di una laurea di questo tipo “è riconoscere un impegno civile che è anche azione culturale poiché genera processi educativi, contribuisce alla costruzione di una coscienza civile, concorre alla formazione di un’opinione pubblica e soprattutto si prende carico della realtà concreta nella sua complessità”.

DUBBI GIOVANILI – Cosa può fare lo Stato per invogliare i cittadini a lottare contro l’illegalità e come possono essere gli studenti i primi a lottare contro questi fenomeni? Queste sono alcune delle domande che gli studenti hanno rivolto a Don Ciotti, mostrando i loro dubbi  in merito all’efficacia dell’azione dello Stato, l’istituzione che  in primis dovrebbe garantire un contesto democratico e corretto anche nell’affrontare tematiche delicate quanto mai attuali come immigrazione, sicurezza e criminalità organizzata.  Don Luigi tranquillizza: “I dubbi sono più sani delle certezze. Non abbiate timore di avere dei dubbi, ne ho avuti anche io, ma essi ci aiutano nella nostra vita“.

Le risposte ad alcuni di questi interrogativi  provengono dalle ricerche che Libera ha condotto sul territorio nazionale in questi anni, registrando un preoccupante allargamento del raggio d’influenza della criminalità organizzata, non escludendo ormai nessuna regione; in secondo luogo emerge che attraverso solide alleanze le mafie sono state in grado di creare una rete di influenza molto potente, che ancora oggi continua a evolversi inglobando al proprio interno sempre più professionisti del mercato italiano e dei vari settori imprenditoriali,  la cosiddetta area grigia, ovvero “la sfera di confine tra legalità e illegalità in cui la mafia si trova dentro.”

Dati preoccupanti sono anche quelli che emergono da un’altra ricerca di Libera, secondo la quale il 75% degli intervistati riconosce che la mafia sia un problema nazionale, ma solo l’8% è consapevole che si tratti di fenomeno che interessa economicamente tutte le regioni d’Italia.  E mentre  se solo il 23% di questi dichiara di ritenere l’illegalità una cosa normale,  quasi il 70% degli intervistati,  pur percependo la gravità della situazione, non denuncerebbe mai  un mafioso per paura, non fidandosi a tal punto delle istituzioni. Inoltre un altro dato significativo  che emerge è il fatto che  in una società digitalizzata come la nostra pochissime informazioni sull’argomento ci arrivino dai social network.  Il giornalismo d’inchiesta rimane la fonte di informazione principale, esponendo i giornalisti costantemente a situazioni di pericolo.

UN RACCONTO AUTOBIOGRAFICO -“Quando l’obbiettivo è sano e positivo, vi auguro della testardaggine”, Don Ciotti racconta così i gli  inizi del suo impegno in campo sociale, quando in un’Italia in cui parlare di droghe era ancora un tabù,  se uno studente raccontava al proprio medico la dipendenza le uniche soluzioni erano il carcere o l’ospedale psichiatrico. Proprio in quel contesto, sembrava necessario  trovare nuovi percorsi di riabilitazione attraverso la creazione di nuove comunità di aiuto.
Ricorda il suo primo incontro con Giovanni Falcone a Gorizia per un corso di formazione per carabinieri e le conversazioni con l’attuale pontefice Papa Francesco. Racconta di come Libera, sin dalla sua istituzione 26 anni fa, abbia costruito una rete solida per opporsi alle ingerenze mafiosa, e infine spiega ai ragazzi il significato della Giornata della memoria, il 21 marzo, il cui significato vuole ricordare a tutti le vittime della mafia e celebrare il loro diritto ad essere chiamate per nome.

LA SOLIDARIETA’ – “Oggi abbiamo tutti idea chiara di ciò che non va.  La società è debole e la democrazia è fragile ma l’educazione deve anche far scoprire le cose positive”  risponde così Don Luigi Ciotti,  con ottimismo alle ultime domande poste dai ragazzi. “In ogni realtà ci sono cose belle che non fanno notizia, non fanno chiasso ma ci sono. “Menziona per esempio l’azione di Libera, impegnata da anni nell’assistere le donne che decidono di  abbandonare  i contesti di criminalità organizzata per amore verso i figli, la collaborazione da decennale  con il Ministero della giustizia per  la creazione di percorsi che accompagnano i ragazzi  provenienti dall’ambino mafioso, nonostante i loro errori, a conoscere nuove realtà. L’aiuto offerto non scade mai nel sentimentalismo, ma mira a responsabilizzare le coscienze dei giovani. “Non ho mai creduto in quelli che dicono: ‘Poverini, sarà colpa del sistema!’Ognuno di noi è un atto d’amore, deve essere inchiodato alle proprie responsabilità: solo così aiuti una persona a guardarsi dentro e attorno, a prendere coscienza degli errori che ha fatto e da lì ripartire“. Don Ciotti conclude l’intervento del mattino e congeda con un invito i ragazzi: “Non abbiate paura di essere fragili, fa parte della natura umana ed è saperlo che ci rende forti“.

LA LECTIO DOCTORALIS: LA STRADA, L’AMBIENTE E LA VITA – Alla cerimonia del pomeriggio, solenne quasi quanto quella di una funzione religiosa, hanno partecipato i più importanti rappresentanti dei diversi dipartimenti dell’Università di Parma, numerose autorità tra cui il sindaco Federico Pizzarotti e diversi rappresentanti dell’associazioni Libera e Gruppo Abele tra docenti, studenti e cittadini. Tutti hanno ascoltano con attenzione Don Ciotti mentre esponeva la sua lectio doctoralis, ‘Le persone, la strada, l’ambiente e la vita: l’intervento sociale come etica della responsabilità’.

Non si è trattato di partecipare passivamente ad un evento istituzionale, ma di ascoltare una lezione ricca di vita, di esperienze e storie preziose che hanno dimostrano la profonda comprensione della natura umana che Don Ciotti ha maturato lavorando per decenni in prima persona sul fronte sociale e umanitario. Don Ciotti considera ammalata quella democrazia che seguendo la logica del capro espiatorio nasconde le proprie paure criminalizzando gli ultimi, e che solo attraverso uno sguardo coraggioso all’interno delle proprie insicurezze è possibile riuscire ad accogliere e comprendere quelle degli altri.  “La società forte è quella che accoglie”, afferma con convinzione.

Alla società digitale, caratterizzata dalle comunità virtuali in cui le relazioni umane vengono state sostituite da contatti, Don Ciotti contrappone la strada come luogo di relazione dove “gli individui depongono le maschere e i loro atteggiamenti posticci”,  le realtà vissute sono autentiche e  “l’astrattezza delle teorie si misura con la concretezza della vita”. Per superare le conseguenze di un individualismo senza limiti, e di un forte senso dell’io, Don Ciotti propone il ritrovamento di una nuova dimensione di relazione, perché solo passando attraverso l’unione e la collaborazione di tutti diventa possibile generare una forza sociale capace di ottenere cambiamenti sociali duraturi. “Tutto quello che ho potuto costruire l’ho fatto insieme ad altri, con cui ho condiviso tante gioie, tante fatiche, ma anche tanto fango. La laurea che oggi mi viene assegnata va condivisa con i tanti che mi hanno sostenuto”.

Emergono l’umiltà, la semplicità e  l’autenticità di un Don Ciotti che durante l’esposizione esita a rivolgersi al rettore e ai docenti chiamandoli ‘colleghi’:  “Posso chiamarvi colleghi, io?” domanda. Con ironia racconta di essere laureato in ‘scienze della confusione’, di considerarsi da sempre “un allievo con tanti limiti e molti vuoti da colmare” e non un maestro, attribuendo il merito della sua esperienza non a se stesso, ma alla strada e alle persone che gli ha permesso di incontrare. E infine, un Don Ciotti che ricorda con affetto anche i suoi genitori: “Eravamo immigrati a Torino, mio padre aveva trovato lavoro, ma non la casa. Il padrone ci ha permesso di vivere nella sua baracca, ma per questo venivamo giudicati e criticati. Mia madre spesso andava a prendere i vestiti usati, quelli destinati per i poveri, ma li lavava sempre e li stirava benissimo. Eravamo sì poveri, ma dignitosi“.

“L’accoglienza – secondo Don Ciotti – è la base della vita, della civiltà e parte sempre dalla relazione”. In una società nella quale le persone hanno fame di relazioni autentiche, e soffrono un profondo senso di solitudine che permane anche all’interno delle mura domestiche, la comprensione dell’altro passa attraverso l’ascolto empatico e sincero dei suoi bisogni. “Di relazioni utilitaristiche ne esistono troppe – riconosce Don Ciotti – per questo motivo preferisco si possa parlare non di etica della professione, ma di etica come professione, restituendo l’economia alla vita, allo sviluppo sano della società”.

Non manca di menzionare anche le problematiche ambientali affermando che “l’urlo dell’ambiente è anche l’urlo dei poveri”, e anche in questo senso il compito della scuola e dell’università diventa non solo quello di formare dei professionisti, ma di educare dei cittadini che faranno dell’impegno sociale e della partecipazione civica una priorità. In una democrazia malata “gli argini di una legalità formale, scritta nei codici ma non nelle coscienze”, non bastano più. Don Ciotti invita pertanto tutti ad un’assunzione di responsabilità individuale, che considera  come “la spina dorsale della democrazia”,  dimostrando di essere non “cittadini a intermittenza, che si mostrano sensibili solamente sulla scia emotiva di qualche tragedia”, ma  divenendo “coscienze inquiete sempre aperte al dubbio e alla ricerca di verità.”

L’intervento si è concluso con l’invito a “diffidare dai navigatori solitari” che propongono ricette facili e in un “mondo così difficile e complesso dicono di aver capito tutto”. E sulla questione immigrati Don Ciotti non ha dubbi: “I confini rigidi esistono nella testa delle persone e non nella natura. La povertà è un crimine di civiltà. I migranti che cercano la speranza non commettono reato.

 

Di Laura Storchi e Matteo Cultrera

Video di Lara Boreri, Matteo Cultrera, Fabio Manis

 

 

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