“Lo sviluppo sostenibile me lo mangio a colazione, pranzo e cena”

IL PRIMO DI QUATTRO APPROFONDIMENTI SUL CLIMATE CHANGE. LA SOSTENIBILITA' INIZIA DA QUELLO CHE METTIAMO NEL PIATTO

 

Senza lenire la sensibilità di nessuno, probabilmente quello che è mancato agli scorsi giorni di protesta organizzati dalle associazioni di Fridays For Future è stata un’informazione ordinata che guidasse la riflessione ancor prima delle urla. Una mancanza, per chi vuole cercare di capire il problema nella sua complessità, che è prima di tutto da attribuire alla stampa. Il cambiamento climatico non fa audience, non fa click e non fa neppure vendere copie di giornali. Purtroppo. La prova lampante la si ha se solo si prova a dare un veloce sguardo ai giornali dai giorni successivi al 15 marzo fino ad oggi. “Sostenibilità” e “Cambiamento climatico”: come gli argini di un fiume, questi due topoi si contendono l’alveo entro cui deve stare non solo la protesta, ma anche la comprensione e, per estensione, il futuro stesso della nostra specie.

COS’E’ LA SOSTENIBILITA’?-  Prima di tutto è una caratteristica. Un sistema si dice sostenibile quando risponde positivamente ai bisogni di sua competenza, oltre che nell’immediato, nel futuro. In ambito ambientale, la sostenibilità è quella caratteristica che consente al territorio di fornire risorse all’uomo, agli animali, agli esseri viventi tutti per continuare la propria esistenza sulla terra. Dalla metà del secolo scorso, quando l’uomo ha cominciato la sua espansione e invasione della terra e la rottura dei suoi equilibri, ha messo in discussione un bilancio che funzionava da milioni di anni. È una caratteristica, e noi umani non ce l’abbiamo. Le risorse messe a disposizione naturalmente dal pianeta per soddisfare i nostri bisogni terminano ogni anno più o meno nel mese di agosto. Si chiama Earth Overshoot Day ed è esattamente la data in cui la richiesta annuale di risorse da parte dell’uomo supera quella che gli ecosistemi terrestri sono in grado di produrre e rinnovare in quell’anno. Per il 2018 è stato il 1 agosto, mai così presto da quando si è cominciato a calcolarlo. Vuol dire che l’umanità  ha consumato un anno di cibo, acqua, fibre, terra e legname in appena 212 giorni. In pratica, l’uomo necessita delle risorse di 1,7 pianeta Terra per soddisfare i propri – eccessivi – bisogni. E’ qui che entra in gioco lo sviluppo sostenibile.

Quando parliamo di “sviluppo sostenibile” non dobbiamo pensare a qualcosa di numerico. Dobbiamo invece pensare a un concetto come la politica, una buona politica in cui si tende a convertire tutti i processi con una più attenta analisi all’ambiente e al futuro. Ogni volta che le politiche degli stati, dal livello internazionale a quello strettamente locale, non sono volte a rispondere al concetto di “sviluppo sostenibile”, su un’ipotetica linea del tempo viene tagliato un segmento di futuro

Si parla invece di impatto ambientale quando si mettono insieme le conseguenze delle scelte, azioni e pro-azioni, fatte dall’uomo e ne si valuta il loro impatto sull’ambiente. È necessario capire che queste scelte possono essere sia positive che negative, ed è solo quando queste sono tutte negative che si parla di “danno ambientale”. Questa precisazione è necessaria proprio perché la possibilità che queste scelte non siano tutte positive non è assurda, e che di conseguenza questo bilancio possa non essere tutto negativo, esiste.

“IO LO SVILUPPO SOSTENIBILE ME LO MANGIO A COLAZIONE”-  Uno dei principali esempi di insostenibilità nella nostra quotidianità, e di conseguenza di danno ambientale, lo mangiamo circa tre volte a settimana, ma anche di più. Parliamo della carne che tutti i giorni o quasi mettiamo in tavola sotto varie forme, dalla bistecca all’insaccato fino al brodo. Ora, ogni lettore che abbia avuto la pazienza di arrivare fino a questo punto, scocciato si chiederà: questo è il solito articolo contro la dieta a base di carne che la mediocre stampa italiana è in grado di fornirmi? Forse. Sarebbe bello poter dire: mangiate più carne, ma siate personalmente responsabili delle conseguenze così cominciamo a ridurre il numero di consumatori di risorse sul pianeta, ma non è possibile. E non è possibile perché questo difficilmente impedirebbe l’ascesa di quel trend di crescita demografica che investe il mondo e che entro il 2050 ci vedrà schiacciati come sardine in un numero di certo non inferiore ai 9,5 miliardi. Sarebbe bello poter dire che le nostre diete non influiscono sugli altri ma questo non è possibile. Per quale motivo proprio la carne che sta lì, in frigo, a farsi gli affari suoi in attesa di essere messa in pentola, dovrebbe essere legata alla sostenibilità ambientale?

In un’analisi costi/benefici di immediata lettura e che saprebbe leggere anche un ministro dei trasporti, la carne ci costa molto più di quanto non ci faccia bene. La sua produzione comporta troppa più acqua e troppe più sostanze nutritive rispetto a quelle che, sotto forma di prodotto finito, fornisce. E soprattutto, qualcuno ha idea dei problemi che creano le scoregge delle mucche? Agli allevamenti intensivi è imputabile il 18% dell’emissioni di gas serra nel mondo, confrontato con il solo 13% prodotto dall’intero sistema di trasporti mondiale. Cioè l’industria di trasformazione, dal macello alla carne in macelleria, sommata agli escrementi e alle deiezioni degli animali producono più gas serra di tutti i mezzi di trasporto del mondo. E li produce perché la richiesta di carne – che non corrisponde al suo reale consumo – è così alta da far sì che gli allevamenti intensivi siano la norma di consumo rispetto a quelli estensivi. È dalle elementari che ci fanno una testa a palla con i trasporti pubblici, con lo smog e la pollution, ma nessuno ci ha mai detto che bastava smettere di mangiare carne un giorno sì e uno no.

La soluzione è diventare tutti vegetariani? No, non è l’unica soluzione. Gli abitanti del XX secolo, europei ed occidentali, non erano vegetariani, solo più poveri, consumavano circa il 500% di carne in meno rispetto a quello che i nostri tempi di benessere ci consentano. A ben vedere, infatti, alla base del cambiamento climatico e dell’insostenibilità ambientale del nostro tempo, il benessere economico ha la sua bella fetta di responsabilità. Dalla seconda metà del ‘900 ad oggi il consumo di carne globale si è quintuplicato. Mangiamo 5 volte più carne rispetto a quanta ne mangiassero i nostri nonni. Nei paesi sviluppati, quindi in America, in Europa e nell’occidente ricco del mondo, si consumano in media 85 kg di carne a testa in un anno. Tenendo conto delle fortissime diseguaglianze economiche del pianeta, la media mondiale di carne mangiata in un anno a testa è pari a 43.1 kg a testa.

Questo vuol dire che se ne producono in totale una cosa come 308.2 tonnellate in tutto il mondo. Ma questo passa in secondo piano nel discorso della sostenibilità. Perché? Limitare il consumatore vuol dire limitare il produttore e farlo guadagnare di meno riducendo la forbice tra ricchezza e povertà. E non sono solo numeri: queste sono risorse sprecate. Prima di essere una fetta di carne, quello era un pezzo di un muscolo di un animale vivo, in sovrappeso, che mangiava, beveva e cagava. E voi direte: “Il problema è l’anatomia della mucca? No, non è quello il problema. La mucca o bovino è il primo animale per numero di capi allevati, 1 miliardo e 300 milioni in tutto il mondo. Per rendere meglio l’idea, fisicamente occupano uno spazio pari a 1\4 della superficie terrestre calpestabile. In Australia ‘l’invasione delle mucche’ corrisponde a una popolazione bovina del 40% superiore a quella umana. Questi dati, che potrebbero far ridere o quantomeno sorridere, restituiscono solo parzialmente la gravità del problema. Ci sono infatti altri fattori di cui è necessario tenere conto.

LO SPRECO IDRICO NON CE LO POSSIAMO PERMETTERE- Quanti litri di acqua sono necessari per produrre 1kg di carne? 15.000. Per produrre 1kg di carne di manzo finito nella filiera di produzione, dal bovino vivo al pezzo di carne che finisce in macelleria, servono 15.000 litri di acqua. Produrre 1 hamburger equivale a due mesi di docce. Ma per anni la soluzione allo spreco che ci è stata propagandata era al livello del “chiudere il rubinetto del lavandino quando ci laviamo i denti”. Si chiama impronta idrica ed è un indicatore del volume totale di risorse idriche utilizzate da un paese per produrre i beni e i servizi consumati dagli abitanti della nazione stessa.

Le Nazioni Unite affermano che “la produzione animale intensiva è probabilmente la fonte principale di inquinamento idrico”, poco meno del 90% del consumo d’acqua mondiale. 1kg di carne di manzo da allevamento intensivo consuma il 97% di acque preziose in più rispetto allo stesso kg di carne proveniente da animali allevati al pascolo.

In ultimo, è necessario parlare del problema della deforestazione. Ogni secondo si tagliano circa 2 acri di Foresta Pluviale per fare spazio alle colture dei mangimi destinati agli animali. La Foresta Amazzonica, uno e forse l’ultimo polmone verde della Terra, diminuisce la sua superficie sempre di più. Forse una bistecca in meno alla settimana non è poi così grande sforzo se si guarda oltre al proprio giardino.

C’è un concetto che dovrebbe far riflettere tutti nella propria quotidianità, e fa più o meno così: “Voti ogni volta che vai a fare la spesa”. Chi ha inventato questa frase, probabilmente non aveva ancora visto gli studenti in marcia per i Fridays For Future, ma già ci stava dando un elemento utile alla comprensione. Quando chiediamo ai politici di intercedere per il nostro futuro, troppo spesso rimandiamo la necessità di affrontare un problema “alle prossime elezioni”. La realtà, invece, vuole che le cose non stiano esattamente così. Accade piuttosto che riducendo il consumo – e quindi l’acquisto – di carne sulle nostre tavole, rispondendo così alla arcinota “dieta combinata”, la nostra impronta idrica sulla terra verrebbe praticamente dimezzata e il nostro impatto ambientale decisamente migliorato. E, ad essere sinceri, questo risulta davvero un sacrificio? Per una volta, in un tempo fatto di esagerazioni, si tratterebbe solamente di ridurre l’eccesso alla normalità, consapevoli però del fatto che così facendo si riuscirebbe davvero a credere un po’ di più nell’esistenza di un futuro.

di Pasquale Ancona

Scrivi un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*