Marketing ed etica: l’equilibrio è possibile?

LA SPONSORIZZAZIONE DI PRODOTTI SUI SOCIAL APRE IL DIBATTITO SUL MARKETING ETICO

Today Testing / Wikipedia

Si chiama dirty marketing, quella strategia di marketing ingannevole a cui tante aziende sembrano non poter rinunciare. Emmanuele Macaluso, ideatore del Manifesto del Marketing Etico, si scaglia contro queste strategie affermando come “ci siano in campo abili strateghi che usano le più fini tecniche psicologiche e oggi, grazie all’apporto scientifico, anche quelle del neuromarketing, per confondere e convincere il consumatore”. Senza approfondire la psicologia delle scelte di consumo inconsapevoli, vi è un livello di analisi delle strategie di marketing più comprensibile e evidente. Quando si parla di marketing etico non ci si riferisce a dei valori insiti nell’idea stessa di prodotto o valori derivati dalla brand strategy, ma all’onestà della presentazione del prodotto. Una strategia che non usi escamotage, o una comunicazione manipolativa nei confronti dei consumatori, si può dire a tutti gli effetti etica e, sempre secondo Macaluso, favorisce lo stesso brand che acquista credibilità in lungo raggio.

Anche Giuseppe Morici, professore universitario e manager, è una delle figure che più si è esposta su questo argomento. Il suo ultimo libro ‘Fare marketing rimanendo brave persone‘ propone una nuova figura di manager, quello del manager-filosofo. La distinzione principale, attorno alla quale gravita l’etica del lavoro del manager secondo Morici, è quella tra consumatore e persona. Il nucleo del problema del cattivo marketing sta nel considerare le persone solamente come possibili consumatori, ricorrendo dunque a strategie di comunicazione fuorvianti e senza scrupoli. Il buon marketing esiste e, in un contesto consumista, si costruisce solo attraverso una comunicazione onesta ed esplicita. Mentre un cattivo marketing, oltre a danneggiare le aziende, non genera un futuro, valori o soddisfazione nei consumatori, ma soltanto un successo momentaneo e ingannevoli delle aziende che se ne servono.

RESPONSABILITÀ DEGLI INFLUENCER? – I canali privilegiati del dirty marketing sono i social media, tanto che da alcuni anni si è iniziato a parlare di ‘Instagram marketing‘. Ciò che rende Instagram il canale privilegiato per il marketing strategico è la presenza di influencer. L’influencer ha molta più autorevolezza di un classico testimonial perché circondato da una rete di persone interessate a priori al personaggio più che al prodotto. Il successo della promozione di un prodotto da parte di influencer di successo perciò si basa sulla credibilità e il seguito di chi lo promuove, più che sull’effettiva qualità di ciò che viene sponsorizzato. Le conseguenze, in alcuni casi, possono essere più gravi di quanto immaginiamo, soprattutto considerando che tra gli utenti di instagram ci sono una grande quantità di adolescenti, e che tra i prodotti sponsorizzati vi sono anche prodotti per la salute.

Proprio quest’ultimi sono al centro di un serio dibattito in materia di eticità del marketing nell’era dei social media. Negli ultimi anni, infatti, sono nati numerosi brand di prodotti ‘detox’, promossi come un’alternativa alle comuni diete. Tali aziende, in molti casi, affidano la sponsorizzazione di tali alimenti ad influencer con una rete di followers pronta a seguirli. Tuttavia, si tratta di personaggi che non hanno competenze in ambito nutrizionale e che spesso esasperano i reali benefici che tali prodotti promettono. Il rischio è dunque quello di trasmette l’idea fuorviante che una dieta detox sia sufficiente a garantire risultati che invece possono essere ottenuti soltanto con un duro e costante allenamento. Del resto, molti influencer conducono uno stile di vita votato alla cura del proprio aspetto fisico, ma nel promuovere il consumo di prodotti detox, spesso il messaggio che viene lanciato è: ‘posso concedermi qualche sfizio, tanto poi c’è la mia tisana depurativa che sistema tutto’.

Un esempio ce lo offre l’influencer Ludovica Valli, testimonial del marchio Fitvia, una linea di prodotti alimentari che dovrebbero aiutare a bruciare i grassi, favorire il metabolismo, purificare l’organismo, ecc. Si parla di alimenti – tè tisane,cereali, barrette – che non sono di per sé dannosi per la salute, ma nemmeno in grado di sostituire una dieta. Ciò nonostante, sul suo profilo Instagram, l’influencer impartisce delle vere e proprie lezioni nutrizionali sui prodotti, consigliando quelli indicati contro la sensazione di fame o quelli “perfetti” per drenare i liquidi in eccesso. In alcuni post, l’influencer arriva a suggerire la sostituzione di pasti con i prodotti del brand.  Inoltre, nei suoi scatti, la Valli appare spesso accanto al marchio. La strategia di marketing è però evidente: alcune foto sono davvero forzate e le didascalie che accompagnano le immagini ripropongono delle frasi da copione. Cosa manca? L’indicazione che si tratta di una pubblicità.

Un’altra questione legata al fenomeno dell’influencer marketing è infatti l’assenza di alcun avvertimento circa la natura commerciale del contenuto pubblicizzato sui social. Spesso, infatti, l’utilizzo di un prodotto non è ‘volontario’, ma legato ad una collaborazione economica con un’azienda. Non a caso, l’hashtag e il tag alla pagina Instagram del brand pubblicizzato sono sempre presenti. Non solo, i testimonial forniscono codici sconto con cui i followers possono acquistare i vari prodotti ad prezzo ridotto. Ciò che manca, tuttavia, è un qualsiasi riferimento alla collaborazione esistente tra chi pubblicizza il marchio e il marchio stesso.

LA QUESTIONE LEGALE – Il fenomeno dell’influencer marketing negli ultimi anni è finito nel mirino dell’Unione Nazionale dei Consumatori. L’associazione lavora in prima linea per la regolamentazione della pubblicità occulta sui social network, chiedendo che questa lacuna legislativa venga presto sanata. Sostiene l’UNC: “Da nessuna parte, soprattutto sul social Instagram, compare l’indicazione che non si tratta di consigli “spontanei”, diciamo così, ma di vera e propria pubblicità”. Grazie all’interesse dimostrato, l’associazione ha ottenuto l’attenzione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, a cui ha presentato negli ultimi anni alcune denunce proprio in merito alla questione dell’influencer marketing. Nell’aprile 2017 l’Antitrust era intervenuta per la prima volta attraverso un’azione di moral suasion, ossia invitando alcune aziende ed influencer a riconsiderare determinate scelte di marketing e comunicazione. Una seconda moral suasion è stata poi presentata nell’agosto 2018, con cui l’Autorità ha chiesto una maggiore trasparenza della pubblicità, attraverso l’uso di hashtag come #sponsorizzato o #ad. In questo modo vengono chiarite le finalità promozionali dietro la diffusione di un prodotto sui social. Sulla questione è intervenuto anche l’Istituto dell’Autodisciplina pubblicitaria che nel 2016 aveva varato una Digital Chart  (negli anni ampliata), ossia un documento in cui vengono chiarite le linee guida di una corretta comunicazione commerciale.

Le misure finora adottate dall’Antitrust e dallo IAP non hanno però sortito un reale effetto sul fenomeno. La speranza dell’UNC è dunque quella che in futuro si possa garantire una maggiore tutela del consumatore, attraverso interventi più stringenti contro l’influencer marketing.

COSA DICONO GLI ESPERTI –  Le reazioni a questo fenomeno di cattivo marketing sui social sono state varie.  Alcuni imprenditori del settore, come Estetista Cinica, hanno adottato una strategia antitetica, basando la comunicazione sui social sull’argomentazione scientifica. L’obiettivo di questi imprenditori è stato quello di smentire le false nozioni di certi influencer e, allo stesso tempo, spiegare dal punto di vista scientifico perchè determinati prodotti sarebbero utili e come utilizzarli nello specifico. Anche se con una finalità commerciale di fondo, Estetista Cinica ha lanciato una vera campagna a colpi di hashtag contro coloro che, da tempo, illudono i propri seguaci lasciando credere che, ad esempio, per combattere la cellulite bastino prodotti detox, come gli infusi. La strategia commerciale di Estetista Cinica si è rivelata particolarmente efficace anche grazie allo “spiegone”, ovvero un momento in cui vengono spiegati dal punto di vista chimico i prodotti venduti.

La moda del detox sui social ha attirato l’attenzione anche della comunità scientifica che, di fronte alla divulgazione di nozioni ambigue e approssimative, ha cercato di contrastare il fenomeno. La replica ha seguito due linee: una esterna al mondo social, attraverso la pubblicazione di ricerche scientifiche sull’efficacia delle diete detox come quella del dottor Dresser, professore della Western’s Schulich School of Medicine & Dentistry e una interna, il cui esempio più significativo è la campagna di informazione del chimico e professore all’Università dell’Insubria, Dario Bressanini. Considerando che il bacino di utenti fan delle influencer che promuovono prodotti detox è forse poco avvezzo alla lettura di articoli scientifici, la strategia divulgativa di Bressanini, proprio perchè sviluppata attraverso canali come Youtube, Instagram e in un blog personale, è molto indicata e persuasiva.

Nei suoi video, che hanno come oggetto le principali bufale del web a tema alimentazione, espone la sua opinione di docente sull’argomento, facendo riferimento a nozioni scientifiche come i principi della termodinamica, ma con un linguaggio semplice che le rende facilmente fruibili anche dai non esperti.

Ciò che ne possiamo dedurre infine è che, in canali come quello di Instagram, in cui l’autorità è misurata in numero di followers, almeno in tema di salute, a farne le spese sono i soggetti più deboli come gli adolescenti o più ingenui perché completamente estranei all’argomento. Sfruttare l’assenza di una precisa regolamentazione dell’advertisment su Instagram a discapito di queste due categorie da parte delle aziende è immorale e potenzialmente pericoloso soprattutto se si tratta di salute. I tentativi della comunità scientifica di andare in controtendenza rispetto a questo fenomeno, per quanto nobili, non bastano ma potrebbero essere un campanello d’allarme per esigere un’accurata regolamentazione della pubblicità nel mondo social.

di Melissa Marchi e Martina Santi

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