Bar e ristoranti pagano il prezzo del dpcm. Manifestanti in piazza

RABBIA E DELUSIONE INVADONO GLI ANIMI DEI GESTORI DI BAR E LOCALI, CHE ANCORA UNA VOLTA SENTONO SULLE PROPRIE SPALLE IL GRANDE PESO DELLE NUOVE DECISIONI DEL GOVERNO

A seguito del Dpcm datato 24 ottobre 2020, le nuove restrizioni anti Covid19 hanno colpito i proprietari di bar e ristoranti, obbligati a chiudere i loro locali alle 18. Una misura necessaria? Quali difficoltà stanno affrontando questi piccoli imprenditori? Lo abbiamo chiesto ad alcuni dei principali interessati nella zona di Parma.

Dalle loro dichiarazioni emergono sicuramente malcontento e amarezza, causati dalle limitazioni viste come un colpo basso nei confronti di un settore già in crisi e profondamente danneggiato dal precedente lockdown. É indubbio che tutti loro abbiano subito un ingente danno dal punto di vista economico e c’è chi come Sonny, direttore di un ristorante nel cuore di Parma, riporta una perdita di circa il 70% del fatturato, poiché la consumazione nel suo locale avveniva principalmente nelle ore serali, motivo per cui sono ricorsi, già da marzo, alle consegne a domicilio. Soluzione che tuttavia non basta a far fronte a tutte le spese fisse e di gestione.

L’ipotesi di una seconda chiusura o l’attuazione di norme che ostacolano il regolare esercizio dei locali – quali ristoranti, bar, piscine, discoteche, teatri, palestre e così via – ha scatenato una dura reazione. In tutta Italia, infatti, hanno avuto luogo, nei giorni successivi all’emanazione del decreto, alcune manifestazioni contro il coprifuoco e la chiusura anticipata delle attività. In alcuni casi le proteste sono sfociate in atti vandalici e violenti come a Napoli, Roma e Torino, luoghi in cui i cortei sono degenerati e si sono trasformati in scene di violenza non giustificata, con danni alle vetrine dei negozi, cassonetti incendiati, auto danneggiate e risse. Mentre in altre città si sono svolte in modo pacifico, com’è avvenuto a Parma.

Alla manifestazione di Parma hanno preso parte oltre 2mila persone, in piazzale della Pace. Dopo un primo momento in cui si sono alternate le testimonianze degli esercenti e le urla di solidarietà, il corteo si è spostato in Piazza Garibaldi. La folla ha esultato al grido di “Libertà, Libertà, Libertà”, un diritto che pensano sia stato loro negato, così come la possibilità di lavorare. Al contempo, ci sono stati anche slogan e striscioni che ironicamente hanno preso di mira i leader politici.

Andrea Nizzi, presidente del Consorzio Parma Quality Restaurants sostiene si tratti di “una chiusura velata di tutti i locali. E’ stata messa in atto in maniera non corretta perché le regole venivano e vengono tutt’ora rispettate nei nostri ristoranti. Anzi, essi sono più sicuri delle case”. Con la chiusura anticipata, da un lato le attività non possono ricorrere a tutti i fondi a cui avrebbero diritto in caso di chiusura totale, dall’altra, limitando l’orario di lavoro, il ricavo non riesce a coprire le singole spese e tanto meno gli aiuti stanziati dallo Stato risultano sufficienti, al momento. Giovanni, pasticcere, spiega che con l’apertura parziale i guadagni sono calati, “dopo il Dpcm sono diminuiti tantissimo i clienti, hanno tutti paura di spendere soldi. É una situazione di incertezza totale. Cali del 70/80% perché la nostra clientela è rappresentata in gran parte dai lavoratori che adesso sono tutti in smart working e restano a casa”

Tra rabbia e rassegnazione

Tra i partecipanti emergono pensieri differenti in merito all’efficacia della manifestazione. Alcuni sono presenti perché convinti del diritto di far valere la propria opinione, altri invece vi prendono parte ma con rassegnazione, consapevoli del fatto che le decisioni sono ormai state prese.

Sonny, direttore di un ristorante in centro città, si stava occupando delle consegne a domicilio: “Non ero alla manifestazione perché ritengo sia opportuno manifestare in maniera civile”.

Marco, proprietario di un bar in via d’Azeglio avviato da anni, ha una posizione che va controcorrente rispetto a tutte le altre. Nonostante le norme vadano a suo discapito e lui ammetta di non condividere gli ideali politici di chi sta al potere, riconosce l’urgenza di mettere in atto tali restrizioni in esercizi come il suo: “Se la chiusura potesse salvare anche solo mezza vita io sono disponibile a chiudere”.

Stefano Cantoni, responsabile del settore esercizi pubblici e turistici in Confesercenti, manifesta invece tutta la sua preoccupazione: “Le attività, le piccole medie imprese, vengono già da una crisi strutturale che si era innescata prima che entrassimo in questo ciclo pandemico. A gennaio del 2020 le attività non erano floride, c’erano tante difficoltà. Una buona percentuale di queste è ancora in attività ma continuano perché non hanno alternative, hanno impegni finanziari. I giovani, soprattutto, sono molto esposti e stanno andando avanti per pagare le spese”. Tra i soci di Confesercenti nessuno al momento avrebbe dichiarato fallimento, ma “non nascondo che se la situazione non migliorerà, chiuderanno in molti entro la fine dell’anno”.

“Gli aiuti del Governo non bastano, sono dei palliativi, non sono necessari nemmeno per pagare le spese. – aggiunge Cantoni – L’ultimo provvedimento è stato vissuto molto male perché i supporti economici messi a disposizione sono insufficienti. I ristoratori avrebbero tollerato meglio, forse, una chiusura alle 21 o alle 22.Sarebbero riusciti a far fronte agli impegni con il loro lavoro senza ricorrere ai sussidi. La reazione sfocia nella rabbia, nelle manifestazioni. Si sono tutti adeguati alle misure, hanno fatto delle spese, investito soldi e non c’è la percezione di essere degli untori, c’è sempre stata una certa cura, una certa attenzione”.

Per cercare di salvare tante Partite Iva, Cantoni riferisce che Confesercenti ha richiesto indennizzi e sgravi importanti di tutti i tributi locali per l’anno a venire. Una prima risposta a questa richiesta è stata ottenuta con la cassa integrazione di novembre: si tratta di una “cassa integrazione attiva” nel senso che il personale delle attività pagherà solo la retribuzione, mentre i contributi previdenziali saranno messi in carico all’Inps.

Nonostante il profondo scoraggiamento, l’amarezza e la grande paura, Cantoni invita ad essere fiduciosi: “Cerchiamo di essere ottimisti, guardando con positività al 2021”.

Sabato 30 ottobre ha avuto luogo un’altra manifestazione con il sostegno del Comune di Parma e dell’assessore Cristiano Casa che ha dichiarato in un post su Facebook il suo appoggio ai titolari e dipendenti di bar, pub e ristoranti: “A loro ho espresso la vicinanza dell’amministrazione comunale. Ho dato la disponibilità ad incontrarci subito da lunedì per capire ciò che potrà fare il Comune per loro e farci interpreti delle loro legittime richieste ai livelli istituzionali superiori.”

Non resta, quindi, che aspettare il giorno in cui torneranno le tavolate da venti persone al ristorante, gli aperitivi con gli amici senza distanziamento, le notti passate a ballare, le strette di mano e gli abbracci. Solo allora potremo nuovamente vedere il sorriso della gente per strada e nella nostra vita tornerà a far parte quella vicinanza che davamo per scontata, ma che ora tanto ci manca.

di Elda Napoli e Micol Maccario 

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