I Capannoni di Parma: storia e riflessioni su un simbolo sociale

Un libro dedicato ad una realtà importante che ha fatto parte della storia di Parma e dei parmigiani

Dal profilo di Parma sparita e da ricordare

 

Cosa sono i capannoni? Quando e dove nascono? Per volere di chi e per quale fine? Quali sono gli strascichi che lasciano sul presente di Parma? Queste sono le domande a cui il libro “I capannoni a Parma. Storie di persone e di città”, a cura di Margherita Becchetti e Paolo Giandebiaggi, edito dalla casa editrice Mup, vuole rispondere.

Un volume scritto a più mani e sul quale si iniziò a riflettere già nel 2014, spiegano gli autori al giornalista Gianluca Zurlini durante la sua presentazione online, visibile sul canale YouTube del Centro Studi Movimenti di Parma.

Un lavoro approfondito, che ha dato un significato a un pezzo importante della storia della città, scoprendone aspetti ancora non conosciuti, e che si propone di “tornare a interrogare Parma per capire quanta contemporaneità c’è dentro la storia che andiamo di volta in volta a riscoprire”, spiega l’assessore alla Cultura del Comune di Parma, Michele Guerra, nella sua introduzione alla presentazione del libro. Per questo, presentarlo a Parma Capitale della Cultura 2020 ha un grande significato. Infatti, afferma l’assessore, “il tema dei Capannoni è molto sentito in città, dalle persone che hanno vissuto quella realtà, dai loro eredi e dalle generazioni più giovani che vi trovano un tema sociale, urbanistico, politico ed economico di grande interesse e attualità”.

“Lo scopo dell’interazione con il Centro Studi Movimenti – qua rappresentato da Margherita Becchetti – era mettere insieme gli aspetti tecnici, architettonici e urbanistici con gli aspetti sociologici, cioè con le storie delle persone”, afferma Paolo Giandebiaggi, docente di Architettura all’Università di Parma.

Il libro ripercorre la storia urbanistica della città di Parma dagli ultimi anni dell’Ottocento alla fine del Novecento“Documentare dal prima al dopo incentrandosi sulla storia dei capannoni: questa è l’organizzazione del libro e questa doveva essere l’organizzazione della mostra, arricchita anche da arredi, elementi, strumenti e oggetti di quei tempi e luoghi”, spiega Giandebiaggi. A causa della pandemia da Covid-19, la mostra, che si sperava di poter inaugurare dal vivo negli spazi del Palazzo del Governatore, è stata rimandata al 2022, ed era prevista anche una ricostruzione concreta dei capannoni, con tanto di arredamento.

Dal profilo Facebook di Centro Studi Movimenti Parma

Come nascono i Capannoni

Nel 1885 la “legge di Napoli” sancisce il risanamento delle città a seguito di una devastante epidemia di colera, così anche a Parma l’amministrazione comunale di Mariotti decide di risanare quella “Parma vecchia” che era l’Oltretorrente. Perché Parma, da sempre, è divisa dall’acqua che le scorre in mezzo e genera due distinte realtà cittadine: una più borghese (di qua dall’acqua, come dicono i parmigiani), ricca e moderna, e una più popolare quale è appunto l’Oltretorrente, con le sue miserie e fatiche quotidiane. Con l’ascesa del regime fascista, i progetti di Mariotti si traducono in vere e proprie demolizioni di diversi borghi del quartiere

Ma questa pianificazione urbanistica era invece propagandata dal regime fascista come opera di “risanamento”, di bonifica, per “rendere più dignitosa la vita delle persone”. Ciò che aveva in mente il regime era una nuova idea di città, interclassista, unita, in cui le diverse classi sociali condividessero uno spazio sociale comune: aveva bisogno di una città pacificata, nella quale nessun conflitto potesse rischiare di mettere in discussione il regime stesso, una città che soffocasse l’autonomia e le rivendicazioni delle classi popolari. E così iniziano i lavori di demolizione dei vecchi edifici e si sfrattano intere famiglie. I nuovi edifici che sorgeranno sulle macerie delle demolizioni verranno occupati, ma da altre persone, famiglie più abbienti, in modo da creare una Parma unita di persone benestanti.

Gli sfollati verranno ricollocati in ‘asili per sfrattati’ (così si chiamavano ufficialmente): residenze provvisorie, edificate ai margini della città, alla quale spesso non erano nemmeno collegati con strade. Questi edifici erano i “Capannoni”. Erano quindi luoghi di profonda marginalità, recintati inoltre da reti metalliche. Erano come dei ghetti, in cui venivano smistate le comunità dei borghi dell’Oltretorrente con lo scopo di romperne i legami sociali.

Dal profilo Facebook di Parma e dintorni

Attenzione, però: il posto non c’è per tutti. Come spiega infatti un documento amministrativo di allora, riportato da Paolo Giandebiaggi nel corso della presentazione, la speranza è quella che alcune delle famiglie rimaste senza casa provvedano da sole a trovarsi una nuova abitazione. Spostare ma non ricollocare. Infatti, se i piani originali prevedevano di mobilitare 3.000 famiglie, la realtà avrà numeri nettamente inferiori. Non solo: le residenze messe a disposizione dal regime sono così volutamente poco confortevoli da far sì che i nuovi inquilini vi restino il minimo indispensabile e si trasferiscano altrove. 

Le nuove “case” infatti sono di 23 metri quadrati occupati da un’intera famiglia. Una stanza grande, per intenderci. Le latrine e il lavello sono in uso comune per circa una ventina di alloggi. E la forma architettonica delle costruzioni ricorda quella delle capanne: questo spiega l’origine del termine “Capannoni”.

Le ghettizzazione dei “capannoni”

A chi veniva trasferito, la vita cambiava totalmente. Non c’è nulla se non la miseria che queste comunità vivono da sempre” afferma Becchetti. Niente più vita sociale, niente più osterie né botteghe, nessun servizio, solo miseria. Il “risanamento” aveva perciò condotto ad una ghettizzazione del ceto sociale più debole della città. “Una vera e propria espulsione etnica dell’Oltretorrente” conclude Giandebiaggi.

Il Capannone non è più solo una struttura, presto diventa anche identificazione di una persona: capannoni sono quelli che vivono nei capannoni. Essere un “capannone” presto divenne uno stigma, un segno, che generava nelle altre persone una sorta di diffidenza: nel sentire diffuso della città benpensante i capannoni erano dei sovversivi, erano rozzi e primitivi, delinquenti e analfabeti. Con questo stigma era difficile farsi accettare dalla società.

Poi però, con il tempo, molti abitanti dei Capannoni si ammantarono del loro stigma, ne fecero un segno di alterità sociale rispetto alla società benpensante, che rivendicavano quasi con orgoglio. Questo avviene a partire dalla fine del regime fascista, dagli anni del boom economico. La loro alterità, la loro identità, si fece sempre più evidente. Oggi, le persone più anziane, che hanno vissuto nei capannoni, e i loro figli, sono orgogliosamente legati al loro passato.

Ma ancora oggi, in dialetto parmigiano, si dice “capannone” di una persona grezza, un po’ casinista, rozza. 

Foto di Marcello Pisseri concessa da Giovanni Ferraguti

Foto di Marcello Pisseri concessa da Giovanni Ferraguti

I Capannoni nel dopoguerra

“Nemmeno i Capannoni conoscono la loro storia: ognuno di loro conosce soltanto la propria” afferma Giandebiaggi. Dopo la guerra era molto difficile pianificare, demolire e costruire. Queste “residenze temporanee” già nel 1940 erano pressoché inabitabili: insalubri, fatiscenti e inadeguate. Del resto erano state edificate con l’idea che servissero soltanto per poco tempo. Eppure i lavori di demolizione iniziano solo a partire dal 1957 (i primi sono quelli di via Verona) e si concluderanno nel 1970. Nei luoghi dei capannoni si costruisce altro: zone industriali, infrastrutture o altri edifici.

Tra i primi interventi della Parma democratica, vennero recuperati edifici e condomini per dare una prima risposta alle richieste abitative. Fu un grande salto della qualità di vita: in queste nuove case popolari c’erano sicuramente più servizi, come frigorifero e vasca da bagno, ma questo non era sufficiente: non risolvono la marginalità; questi quartieri erano infatti composti da persone disagiate, della stessa estrazione sociale. Si tratta sempre di comunità più povere raggruppate ed isolate.

E quando i Capannoni non sono più adatti ai parmigiani, ecco che a occuparne gli spazi sono i “nuovi” emarginati. Mentre i parmigiani cominciano a uscire dai capannoni e iniziano ad andare nelle case popolari, i primi vengono vengono occupati dall’immigrazione meridionale: “C’è sempre un ultimo che prende il peggio” fa notare Giandebiaggi.

capannoni di parma in demolizione foto di Giovanni Ferraguti

I Capannoni in demolizione negli anni’70. Foto di Giovanni Ferraguti

E oggi?

Com’è cambiata la situazione oggi? Becchetti invita alla riflessione sul presente. “Quando uno storico – o una storica – sceglie di studiare una particolare vicenda del passato, lo fa in nome di cose che gli interessano nel presente: è il presente a chiedere alla storia delle chiavi di lettura. Così anche noi, quando iniziammo a interessarci alla storia dei capannoni, eravamo interessati a capire una cosa che ci sta molto a cuore nel nostro tempo: cioè in che modo le classi dirigenti si occupano dei più deboli, degli svantaggiati, in che modo tentano (o non tentano) di ridurre le disuguaglianze sociali. Ci interessava questo, ma ci interessava al di là della propaganda, con cui spesso le forze politiche velano i propri obiettivi reali”.

Quali sono, oggi, le pianificazioni urbanistiche che il potere mette in campo e che misure sociali adotta per diminuire le disuguaglianze? La situazione è cambiata, o si tende sempre ad isolare, anche per mezzo dell’edilizia, i più disagiati? Quella “modernizzazione pubblica” promossa in anni più recenti sarà il medesimo “risanamento” del fascismo? Dove sorgono oggi gli alloggi popolari, per i senzatetto o per gli immigrati? Si trovano in luoghi facilmente accessibili oppure ai margini delle città? In un certo senso, afferma Becchetti, “i capannoni esistono ancora oggi nella società, anche se non hanno la forma di capanna”. Ecco che la storia, come suo consueto, si riflette sul presente e ci insegna come interpretarlo.

di Alessandro Volpari e Chiara Paletti

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