Siamo sempre più soli

Iperconnessi e isolati. Immersi nella rete e soli. A tutte le età, in ogni estrazione sociale, il dramma della solitudine sembra colpire molto più di prima

sempre più soli

La cronaca degli ultimi mesi restituisce uno scenario drammatico. L’anziana Marinella, trovata priva di vita nel suo appartamente 2 anni dopo la sua dipartita; giovani sempre più soli tra smartphone, lock down e social network: la solitudine sta prendendo la forma di un problema esteso, debilitante e in qualche modo trasversale. A differenza di molte altre criticità che colpiscono in maniera molto più specifica gruppi di individui, sentirsi soli non ha età o estrazione sociale. Ma com’è possibile? La domanda è tanto ingenua quanto provocatoria: in un momento storico in cui abbiamo tecnologie per comunicare all’istante, in cui i confini sono così labili e le distanze così brevi, come siamo riusciti ad essere più soli?

Datemi la mia bolla

Una veloce premessa. Se volete in rete si trovano molti studi che affrontano il tema della solitudine con la prospettiva di una problematica da risolvere: The clinical significance of loneliness: a literature review; Loneliness.; When One Is Company and Two Is a Crowd: Why Some Children Prefer Solitude. Esiste però una letteratura scientifica sempre più prolifica che affronta il tema della solitudine con un’accezione positiva, per esempio questo studio What Time Alone Offers: Narratives of Solitude From Adolescence to Older Adulthood.

Sottolineiamo questo punto perché la sensazione di essere soli è unica per ciascuno di noi, possiamo viverla come abilitante o debilitante, nessuna delle due prospettive è sbagliata. In questo editoriale ne affronteremo l’aspetto negativo del sentirsi soli, un aspetto strettamente legato al fatto che la solitudine, che tanti hanno provato e stanno provando, è imposta. 

Social come succedaneo di socialità

Ci siamo svegliati da un sogno fin troppo bello per essere vero: dopo una decade in cui i social network dovevano essere la panacea per ogni persona, comunità e nazione isolata del mondo, ci siamo accorti di ingombranti limiti. È di qualche mese fa lo scandalo, passato con molto meno rumore di quanto meriterebbe la gravità del fatto, che legava Facebook e sopratutto Instagram con un particolare malessere dei giovani. 

Ad essere maggiormente colpite le ragazze adolescenti, ma nessuno scampa dalla “ansia sociale” che certi social inducono: disordini alimentari, depressione, bassa autostima, problemi con l’immagine del nostro corpo, per fare alcuni esempi. Gli strumenti che ci avevano promesso agorà virtuali in cui le distanze erano ridotte a zero si sono trasformate in patiboli per il pubblico ludibrio.

Non aiutano fenomeni di cyberbullismo o dinamiche come la cancel culture: masse più o meno numerose acquisiscono un potere devastante in piattaforme “democratiche” come twitter, e persone finire schiacciate in un tritacarne psicologico per i più disparati motivi. Anche la giustizia di frontiera torna in auge, la bussola morale come giustificazione ultima. Così diventa spaventosamente facile chiudersi, tagliare ponti, fare pulizia contatti, in un cortocircuito di opinioni altrui dolorose e una silenziosa solitudine, il cui conforto è anche trappola. 

L’inesorabile solitudine dell’età

Se il problema della solitudine sembra colpire i giovani, va tenuto presente che sono gli anziani a dichiararsi più soli, un dato che viene ribadito in diversi studi. Anche qui però è doveroso fare un appunto: gli anziani, in diversi studi, hanno avuto più probabilità di dichiararsi a proprio agio nella solitudine e hanno descritto la loro connessione sociale e alienazione meno frequentemente.

Detto questo, una minor propensione per gli spostamenti, la dispersione dei nuclei familiari e la recente pandemia hanno minato la vita sociale di molte persone anziane, particolarmente vulnerabili. Così, per rimanere nella cronaca recente, a Moncalieri una donna di 53 anni muore in casa e il corpo viene scoperto dopo 6 mesi; a Ortona un anziano viene trovato morto in casa dopo 20 giorni; a Sanremo una donna di 50 anni muore in casa e il cadavere viene scoperto solo dopo due mesi. E infine c’è Marinella, il cui corpo è stato scoperto a due anni dal decesso.

Il tessuto sociale delle nostre comunità sta cambiando, così come il nostro modo di vedere i nostri parenti più in là con l’età. La figura dell’anziano sta cambiando con l’evolversi dell’idea di famiglia, e in un momento in cui il mondo si precipita attraverso tecnologie, strumenti e idee è difficile ricordarsi della pazienza come virtù. 

Non dimentichiamo comunque il punto di questa riflessione: la solitudine è impietosamente universale nel colpire negativamente le persone, ce lo ricorderemo ancora meglio appena usciti dal regime emergenziale che ha caratterizzato questi anni. Quando vedremo le conseguenze delle sacrosante misure anti pandemia potremmo dover affrontare di nuovo questo discorso, questa volta con dati molto più drammatici. 

di Matteo Buonanno Seves

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