Condanniamo la guerra, non la cultura: il caso Dostoevskij

A pochi giorni dallo scoppio del conflitto, arriva la prima notizia di tentata censura verso la cultura russa e viene da una delle istituzioni accademiche più prestigiose d'Italia

statua di Dostoevskij di fronte alla biblioteca Lenin

2 Marzo 2022. A una settimana dall’invasione russa del territorio ucraino e dallo scoppio del conflitto, è arrivato quella che sembra di fatto il primo di una (probabile) lunga serie di episodi ai danni della cultura russa.

Lo scrittore Paolo Nori ha annunciato tramite una diretta sulla sua pagina Instagram, di aver ricevuto una mail dall’Università Bicocca che comunicava l’intenzione della Rettrice di rimandare a tempi migliori il corso che avrebbe dovuto tenere proprio in questi giorni sullo scrittore Fëdor Dostoevskij, per evitare ogni forma di polemica dato il momento di forte tensione attuale”.

L’Italia ha quindi deciso di adeguarsi a quello che sta diventando una vera e propria la linea generale: punire le azioni dell’invasore Putin e colleghi cercando di silenziare tutto ciò che è russo negli altri Paesi. Oltre che a Milano, due episodi simili sono avvenuti a Reggio Emilia e Trieste, dove rispettivamente un fotografo russo, Alexander Gronsky – che per ironia della sorte è stato arrestato qualche giorno fa per aver manifestato contro la guerra – è stato escluso dal festival di Fotografia Europea e la mostra Emigrazione in stile russo di Lisa Dakkar è stata rinviata “in considerazione del delicato momento”.

Come spesso accade, a dare inizio a questa sorta di ‘caccia alle streghe’ mista a cancel culture sono  stati gli Stati Uniti, territorio protagonista di un immediato boicottaggio di prodotti russi nei supermercati, attacchi a piccole attività, fino ad arrivare ad episodi tragicomici che riducono un conflitto di portata mondiale a una mera questione di nomi: è il caso dell’abolizione del Moscow mule a favore del Kiev mule nei bar o dei giorni contati dell’insalata russa.

La Russia con il passare dei giorni è sempre più isolata, dall’esclusione alle competizioni internazionali fino all’annullamento dei passaporti. Le imprese multinazionali nella nazione hanno chiuso i battenti e interrotto ogni rapporto, da Netflix fino a IKEA. Per quanto da un lato, certe azioni siano più che giustificate dal tentativo di controllare e chetare il potere e l’influenza economica dello stato russo, vista la crisi economica dei semiconduttori che è in atto in questo periodo e aggrava maggiormente le tensioni europee e mondiali, dall’altro è totalmente infondato e privo di insegnamento il tentativo di recidere ogni legame con una terra e la sua cultura: “Non solo essere un russo vivente è una colpa oggi in Italia, ma lo è anche essere morto“, ha commentato il professor Nori nel video.

video della registrazione della diretta di Paolo Nori

Tutto ciò è ancora più assurdo quando si pensa all’autore che la Bicocca vuoleva censurare, un uomo che nelle sue opere fondamentali come Delitto e Castigo o L’idiota ha denunciato le contraddizioni e i drammi della sua società e che fu arrestato e mandato ai lavori forzati per aver partecipato all’attività di una società segreta con scopi sovversivi dello stato – la bellezza di 170 anni fa circa.

L’incoerenza di questa decisione è risultata evidente a tutti e ha suscitato numerose polemiche sui social, tra gli accademici e alcuni politici, tanto che l’Università ha dovuto repentinamente fare retro front sulla questione, mentre il professore ha deciso di approfittare del dissenso generale e di portare Dostoevskij e le sue “lezioni” tra università e librerie in tour per l’Italia.

A peggiorare la situazione c’è stata poi l’offerta di tenere il corso a patto di inserire degli autori ucraini, cosa che in un insegnamento dedicato al (forse) più grande autore straniero dell’800, ha dato il via a una sorta di “quota ucraina” per attuare una giusta dose di politically correct. Come a dire: da oggi non può esistere la celebrazione di uno senza inserire l’altro.

D’altronde la guerra è anche questo. Creatrice di spirali inaccettabili di odio e condanna di un popolo – passato e presente – chiamato a dover fare le veci di chi è veramente colpevole.

La Russia non è solo Putin, ferocia spietata, censura e la deriva nazionalista di un ideale sovietico che non vuole essere dimenticato. È gli uomini e le donne, gli anziani e i bambini che scendono per le strade cittadine chiedendo di fermare la guerra; i personaggi pubblici, gli sportivi che con non poco timore invocano la pace e man mano vengono esclusi dal panorama internazionale.

La Russia è la sua letteratura, Cechov, la danza bolsoj, la cultura che abbiamo ereditato e che non possiamo dimenticare. Abbassarsi a questa forma di proibizionismo di un passato che non ha colpe, al solo scopo di evitare probabili polemiche, sarebbe solo l’inizio di una serie di esclusioni culturali e politiche, che potrebbero sfociare in atti sempre più pericolosi.

Non saranno i libri di Dostoevskij a ispirare regimi autocratici, anzi. Non c’è una sola pagina dell’autore che possa creare fraintendimenti. Al contrario lui o il pacifista Tolstoj, con il loro particolare rilievo nello spirito nazionale, possono solo intimorire Putin e alleati, che di sicuro non ispirano i loro ideali da questi autori. Vi è molta superficialità a stigmatizzare un popolo intero, coinvolgendo persone ben lontane, nel tempo e nel pensiero, alla terribile situazione che stiamo vivendo e vivremo, in questo ‘castigo’.

di Giulia Padova

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