Il difficile percorso per diventare adulti in Stranger Things

La quarta stagione ci ha tenuti incollati allo schermo forse più delle altre stagioni e ci lascia un profondo messaggio: come a volte sia necessario sacrificare tutti sé stessi pur di abbandonare l’adolescenza e come la maturità si raggiunga solo una volta accettata la morte e il dolore che ne segue

Ci sono delle scelte a cui ogni uomo è obbligato a rispondere, raggiunta la maggiore età. E come nella vita reale degli attori che impersonano da diversi anni i nostri beniamini, i personaggi di Stranger Things stanno crescendo, mutando, rimanendo incastrati in terribili complicazioni assimilabili al vortice di pulsioni che sembrano incombere su Hawkins a partire dalla prossima stagione: l’ultima.

Questa analisi, come la precedente su Vecna, non vuole essere una recensione ordinaria al finale della quarta stagione, né vuole essere un semplice commento agli accadimenti che avvengono nel corso delle due puntate. Sarà un’analisi, come sempre piena di spoiler, con l’intento di comprendere determinate dinamiche inerenti al gruppo di eroi protagonista della quarta stagione della serie Stranger Things, al fine di trarne un significato pedagogico. Già durante la visione dei primi sette episodi di questa stagione, i numeri record di spettatori in tutto il mondo ha permesso a Netflix di cambiare il panorama musicale nel web(quante volte avete sentito parlare o ascoltato direttamente la musica di Kate Bush durante queste settimane?), ma per il gran finale si prevede che la serie sarà vista per oltre 400 milioni di ore nel corso della prima settimana, divenendo la serie – non solo streaming – più vista della storia alla settimana del lancio.

Stranger Things in poche parole sta riportando nei nuovi anni ‘20 i gloriosi anni ‘80, influenzando con la sua musica, i personaggi, i costumi e le ambientazioni non solo i prodotti che tenteranno di replicarne il successo, ma anche la vita degli spettatori reali, tra cui soprattutto quei millennials che fino all’altro ieri guardavano al penultimo decennio del ventesimo secolo come un’epoca lontana e non influente ai tempi odierni.

Crescendo si invecchia e si è obbligati a maturare

È un tema cardine di questa quarta stagione di Stranger Things come del gossip che ha colpito buona parte delle critiche rivolte alla troppo mal celata “crescita” di molti dei protagonisti della serie. Per quanto infatti abbiano tentato di nasconderlo tramite vestiti vistosi o parrucche, bisogna dire che è vero: purtroppo iniziando questa quarta serie è difficile immaginare che sia passato solo un anno dagli avvenimenti trascorsi nella terza stagione. È davvero difficile pensare che Undi, Max, William e compagnia bella abbiano ancora quei 14/15 anni che televisivamente gli attori non dimostrano più di possedere.

Questo è uno dei problemi generali delle produzioni cinematografiche e televisive che coinvolgono giovani e in effetti i produttori della serie come Netflix, costretta dalla pandemia anche a prolungare i tempi di ripresa di questa quarta stagione, sembrano aver rinunciato a risolvere questo problema. Tra tutti i giovani protagonisti, Sadie Sink, l’attrice che interpreta Max, sembra essere l’unica anagraficamente ancora abbastanza giovane per interpretare una scapestrata ma sensibile studentessa quindicenne braccata dai mostri. Non se ne può fare però una colpa agli attori né alla produzione, se i rallentamenti alle riprese ci sono stati e se abbiano dovuto insabbiare questo (falso) problema, pensando anzi di inserirlo sottilmente all’interno della trama. Riflettendoci su, d’altronde chi è così folle da voler vivere e comportarsi da adolescente per tutto il resto della sua vita?

Ripercorrendo le vicissitudini di questa stagione, possiamo accorgerci come tutti i protagonisti principali di questa serie sono costretti a fare i conti con il trascorrere del tempo e con le sue implicazioni, tanto che i quattro battiti di un classico orologio a pendolo diventano il simbolo del pericolo che incombe. Facciamo qualche esempio.

Steve è il personaggio che in maniera più chiara mostra allo spettatore la sua progressiva maturazione in un uomo adulto. A differenza degli altri ragazzi protagonisti della banda, lui è già maggiorenne, ma per quanto abbia raggiunto una età al limite fra il mondo degli adulti e quello meno sofisticato della pubertà, in quest’ultima stagione, già memore delle avventure affrontate nelle annate passate, accetta il suo ruolo di leader e per quanto mal sopporti fare da balia a dei ragazzini, questa volta lo fa con una rinnovata consapevolezza che rischia quasi di ucciderlo, per quanto ormai abbia incarnato in sé il ruolo di protettore… o meglio di fratello maggiore. È la stessa Nancy a dirlo durante l’ultima puntata parlando con Jonathan –  Non hai idea quanto maturo sia divenuto Steve” – ed è sempre Steve che dimostra allo spettatore di avere ormai sogni tipici di un adulto, ovvero quel desiderio della paternità che finora ha sublimato proteggendo la banda di “sei ragazzini” che si cacciano nei guai. Ed anche Nancy e Jonathan sembrano essere maturati da quel punto di vista, desiderando entrambi un rapporto più adulto e maturo, che li spinga a condividere non più semplicemente un affetto, ma anche una casa, una famiglia, degli obiettivi. Jonathan inoltre sembra provare vergogna per essersi isolato durante l’anno precedente e per aver trascurato il fratello, che sembra soffrire terribilmente il suo essere diverso ed omosessuale, cercando alla fine di redimersi con una promessa vincolante che sa tanto di un rapporto molto più complesso della semplice complicità fra giovani fratelli.

I personaggi che dimostrano di voler cambiare e di voler passare ad una fase più adulta della propria vita però non si riducono a quelli che hanno raggiunto la maturità anagrafica. Anche Undici, Mike, Will, Max e Lucas dimostrano di essere molto più consapevoli delle loro pulsioni e delle loro necessità. Per quanto tutti adolescenti sui quindici/sedici anni di età, ognuno di loro vuole provare e donare amore. Vuole difendere la visione che hanno della loro vita e personalità e soprattutto – come visto per Max e Lucas – c’è un totale rigetto degli errori compiuti in passato. Processo importante, affinché i personaggi possano superare le loro peggiori paure e passare ad un altro livello della loro relazione e della loro vita. Max infatti fa i conti con il suo desiderio impulsivo di farsi del male, per aver desiderato di vedere morire il fratello. E Lucas si rende conto che il desiderio di essere amato dalla massa e di divenire il nuovo idolo della scuola si scontra con il suo vero essere e con la sua “origine da nerd”.

Paradossalmente anche gli adulti, come Jim Hooper, Joyce Byers o il dottor Brenner, sembrano compiere dei passi in avanti verso una maturazione della loro caratterizzazione che li rende ancora più consapevoli di loro stessi e del mondo che li circonda, ma mentre Jim e Joyce sembrano compiere questo passo per superare antichi dolori e iniziare una nuova vita insieme, il dottor Brenner invece sembra ricadere sempre nei medesimi errori dovuti al suo bisogno impulsivo di controllo. Per quanto consapevole di aver fatto del male a Undici e a Vecna/Henry/001 e di voler recuperare gli affetti con la figlia, cercando di risolvere il conflitto scatenato con entrambi, cerca di nuovo disperatamente di tenere sotto controllo la sua prole, dischiudendo di fatto una voragine insanabile fra lei e Undici che lo condannerà a morte.

Maturare infatti non è sinonimo di miglioramento obbligato. E in effetti è possibile impantanarsi in scelte sbagliate, guidate dal disprezzo, come Vecna, o dalla paura, come in Brenner, qualora si viva costretti a compiere scelte da soli o si è indotti a farlo, poiché incapaci di esprimere a parole e con i gesti l’amore necessario per redimersi e cambiare.

All’interno di Stranger Things c’è però qualcuno che invero non desidera per niente al mondo cambiare. C’è qualcuno che ha paura dell’età adulta e del mutamento che essa comporta. C’è qualcuno che è così assuefatto alla propria adolescenza da volersi circondare da giovani per vivere assieme a loro prima che si realizzano avventure immaginarie, tentando di stringere a sé il potere dello stupore insito nell’innocenza delle menti sbarazzine. Quel personaggio, forse il più importante introdotto da Stranger Things in questa stagione, è Eddie Munson, che a partire dalla sua prima apparizione sullo schermo tramite la sua folta chioma comunica inconsciamente allo spettatore una cosa: “Io sono gli anni Ottanta. E sì, il mio vero nome è Peter Pan!

L’ingrato compito di diventare un eroe

Siamo sinceri. La stragrande maggioranza degli spettatori, dei fan e dei creatori di Stranger Things vorrebbero che gli anni ‘80 non fossero finiti mai. Sarà perché è stata un’epoca di relativo benessere economico e di rinnovata creatività culturale. Sarà perché gran parte della popolazione mondiale che oggi usa Internet è nata in quei anni o ne ha subito l’influsso, come tutti coloro che sono cresciuti a cavallo degli anni Novanta o dei primi anni Duemila. Sarà che gli effetti di luce dei titoli della serie o la storia raccontata dagli sceneggiatori ricordano tantissime altre storie in cui gli spettatori si sono immersi in altre occasioni durante l’arco della loro vita. Sta di fatto che oggi Stranger Things sta avendo lo stesso effetto che ebbe Ritorno al futuro per gli anni Cinquanta proprio negli anni Ottanta e sono in moltissimi a pensare che mediaticamente la serie Netflix sia il prodotto perfetto – potremmo definire la summa – che racchiude gli stilemi di quel periodo.

Per quanto farcita di effetti digitali moderni e della regia contemporanea di una serie tv, Stranger Things rimane un enorme omaggio ad un periodo nostalgicamente rimpianto da molti. Forse anche da coloro che non lo conoscono sufficientemente per ragioni anagrafiche o culturali. All’epoca il mondo infatti appariva più semplice. C’erano dei cattivi ben definiti. Il mondo era ancora suddiviso in due e si aveva la tranquillità – quantomeno per la gran parte delle nazioni occidentali – di potere possedere una casa, un lavoro onesto e di farti una famiglia senza avere mille complicazioni. Oggi di certo il mondo si presenta in maniera molto più variopinta e sfaccettata, per chiunque almeno sia desideroso nell’affrontare la vita anche con un po’ di approfondimento: ed è proprio dalla differenza che è possibile riscontrare fra il mondo di oggi e quello degli anni Ottanta che la serie prende buona parte del suo carisma e della sua caratterizzazione.

Negli anni Ottanta Internet era una cosa per nerd. I videogiochi erano pochi. Le riviste cartacee avevano ancora un grande potere e i giocatori di alcuni giochi erano trattati come invasati – o peggio ancora, erano considerati satanisti – come visto durante la prima parte di questa stagione. Dichiarare inoltre di essere omosessuale era ancora un tabù, come narrato tramite la vicenda di Will. E la musica hard rock non veniva considerata neppure musica.

Come riportare e mostrare dunque queste differenze fra le epoche nella mente sempre desiderosa di dettagli degli spettatori? Ok sì, tramite il citazionismo già conosciuto all’interno della serie, ma proprio per far rivivere alla meglio gli anni Ottanta questa volta gli sceneggiatori hanno introdotto un protagonista che riassume in sé buona parte degli stereotipi legati ai giovani di quel periodo, ovvero il già citato Eddie Munson che ha anche lo scopo di far immedesimare quegli spettatori che come lui hanno vissuto la fine della loro adolescenza durante la seconda metà del decennio in questione.

Eddie lo potremmo definire come il classico ragazzone, senza capo né coda, pieno di passioni e privo di qualsiasi idea, neppure una, quale strada far percorrere alla sua vita. Nella serie è uno spacciatore, ma in verità non ha nulla di che spartire con l’idea attuale che abbiamo degli spacciatori al giorno d’oggi. È solo una vittima degli eventi, un giovane che non vuole allontanarsi più di tanto dalle sue passioni – la musica, gli amici, i giochi di ruolo – ed appena entra in scena lo spettatore sa, o meglio si rende conto, di come Eddie sia in realtà una persona buona, che non vuole cambiare e che vede al passaggio con la vita adulta (l’ultimo anno del liceo) come una fase traumatica. Un processo di annichilazione del proprio io che lo terrorizza e a cui si prepara da tempo, del tutto consapevole di non essere in grado di affrontare le sfide che la maturità gli offrirà e lo scenario di una società molto diversa dal contesto scolastico, che per quanto oppressivo è un luogo protetto. Un luogo in cui lui può essere tranquillamente Eddie Munson, senza alcuna vergogna e con il diritto di vivere le proprie passioni adolescenziali.

Nel corso di questa stagione vediamo Eddie braccato dalla comunità di Hawkins, che lo crede il leader di un gruppo satanista, colpevole di aver maledetto le vittime di Vecna, ma tramite la sua fuga e il suo costante bisogno di nascondersi e di proteggersi intravediamo anche il suo bisogno di fermare il tempo. Di arrestare quel processo che lo porta a doversi assumere delle responsabilità, come affrontare le proprie paure indotte dall’omicidio di Crissie e testimoniare riguardo al suo caso.

Se già a partire dalla sequenza di Dungeons and Dragons possiamo riconoscere in Eddie caratteristiche infantili della sua personalità (circondarsi da amici molto più giovani, sfruttare il potere dell’immaginazione ed esaltarsi in maniera sproporzionata durante la partita), è proprio grazie ai luoghi e a quello che fa durante la fuga che possiamo riconoscere in lui un rifiuto categorico del cambiamento.

A differenza degli altri personaggi della serie, Eddie infatti non accetta se non alla fine il cambiamento, quasi ricadendo nella sindrome di Peter Pan, che come descrivono gli esperti è un disturbo in cui ricadono coloro che si rifiutano di crescere, di assumersi responsabilità e di fare delle scelte importanti per la loro vita e quella degli altri. Durante il primo atto di questa stagione possiamo dire che l’unica scelta che compie Eddie è quella di scappare, di mettersi in fuga rispetto alla minaccia e alle richieste di responsabilità che richiede la maturità che sta avanzando. Essendo però lui il classico esempio di un adolescente che non vuole crescere e il personaggio in cui ricadano tutti gli stereotipi tipici degli anni ‘80 di coloro che vogliono rivivere quell’epoca, Eddie è condannato, come i suoi spettatori, a cadere vittima delle sue stesse paure. Ed è taumaturgico per Eddie come per gli spettatori osservare il suo cambiamento, la sua metamorfosi improntata sulla responsabilità, durante il combattimento finale con le creature alate del mondo del Sottosopra.

Al termine di quello scontro, schiacciato dalla pressante preoccupazione di venire ricordato per sempre come il ragazzo che fugge o il responsabile di un omicidio, Eddie affronta le proprie paure e rispecchiandosi negli occhi del suo più grande amico, più piccolo di lui, Dustin, assume su di sé la maturità che gli è necessaria in quel momento, per ottenere un po’ di tempo, salvare l’amico da una fine orribile e affrontare il destino come un moderno spartano, simbolo di virilità nel mondo greco, dotato della sua lancia e del suo scudo.

Come diventare adulti

Qualcuno potrebbe pensare che alla fine, durante il combattimento, Eddie compia comunque una fuga nei confronti delle creature alate, quando scappa dalla roulotte salendo in sella ad una bici. Questa riflessione comunque non è corretta, poiché tale fuga è completamente diversa rispetto alle fughe che hanno interessato il personaggio nel resto della stagione.

Qui Eddie fa da esca (addirittura due volte!) e la sua fuga è temporanea e serve solo per riprendere posizione lontano dall’unica via di accesso verso Hawkins che i pipistrelli potrebbero usare per entrare nel nostro mondo e assalire Dustin. Questa differenza è fondamentale.

Eddie fugge in questo caso consapevole di morire e che alla fine i suoi inseguitori lo braccheranno. Anzi, sarà egli stesso a essere costretto a rallentare la sua corsa e a fronteggiare le sue più grandi paure, pur di salvare Dustin, i suoi amici e – forse – il mondo intero.

Da seguace di Peter Pan diventa il protagonista di una delle sue avventure inventate a D&D. Non come Dungeon Master, ma come eroe a tutto tondo che aggredisce le sue debolezze e affronta l’ignoto. Morendo Eddie uccide tutte le idee che la società si è fatta nei suoi confronti e mostra agli spettatori che la nostalgia è finita. Gli anni ‘80 sono finiti da un pezzo. Il mondo è andato avanti e i ragazzi cresciuti all’epoca hanno dovuto affrontare molte sfide, che li hanno portati a morire o a divenire gli uomini di oggi. Storicamente i ragazzi cresciuti in quegli anni sono stati per esempio coloro che si sono ritrovati ad affrontare la guerra in Iraq, Afghanistan e ora in Europa e stanno perdendo del tutto l’innocenza di quei anni in cui si ascoltavano gli Iron Maiden nella propria cameretta.

Eddie ha completato il suo passaggio, divenendo un eroe. E come gli altri protagonisti della stagione lo fa affrontando il nemico più grande che ci sia, ovvero la morte.

Come già sostenuto dalla Rowling nel corso dei sette romanzi di Harry Potter, la maturità infatti la si ottiene esclusivamente accettando la propria mortalità e il dolore che ne compete. Se nella saga del maghetto infatti il protagonista diventava in una qualche maniera “adulto” successivamente alla morte del preside e all’accettazione de facto del suo sacrificio (per chi non conoscesse la saga, sappiate che Harry Potter affronta diverse volte la morte, ma le due principali sono all’inizio della sua vita e poi al termine del conflitto dell’ultimo romanzo, quando si consegna al suo acerrimo nemico), in Stranger Things in quest’ultima stagione tutti i protagonisti, anche per le ragioni anagrafiche di cui abbiamo parlato sopra, compiono il passo decisivo verso la maturità affrontando le conseguenze delle loro azioni e della morte.

Eddie per affrontare le sue paure viene ferito a morte, ma così non rivive l’orribile visione di un amico che gli muore davanti (come Crissie). Undici affronta Vecna, per salvare Max, ma nel farlo scopre di essere troppo debole per salvare la vita all’amica, se non dopo che è successo l’irreparabile. Lucas addirittura si trova fra le braccia la ragazza di cui è innamorato mentre il suo corpo si spacca e sprizza sangue, impotente come qualsiasi uomo che si ritrova a vedere la propria amata morire per una ingerenza del destino.

Dustin invece si ritrova davanti l’amico morente e si trova su di sé la responsabilità di guidare l’Hellfire club direttamente dalla bocca del suo precedente leader. Anche Will e Mike si ritrovano ad affrontare la maturità, osservando direttamente dalla sofferenza di Undici dentro la vasca il dolore che comporta la vasca e l’angoscia seguente alla visione della Morte, mentre gli adulti in Russia combattono contro le creature provenienti dal mondo del Sottosopra come moderni cavalieri, ammantati di coraggio, fiducia e amore, uniche armi nei confronti dei mostri che tengono in scacco la prigione dopo la loro fuga e la morte dei secondini.

Si può perciò dire che nel mondo di Stranger Things, come un po’ nel mondo reale, il modo migliore di crescere è affrontare la paura nei confronti del dolore e della morte e che tutti, anche i più irresponsabili Peter Pan, saranno costretti, chi prima chi dopo, nell’affrontare il passaggio all’età adulta. Si spera solo che non per tutti tale passaggio sia segnato da una così elevata lista di orrori come quelli vissuti dai nostri beniamini. Bisogna però ricordare che per quanto romanzi, serie tv e altre produzioni siano opere di intrattenimento, spesso queste opere hanno una valenza di formazione che è spendibile nella vita reale. E purtroppo bisogna rendersi anche conto come nel nostro mondo sia possibile osservare conflitti e azioni eroiche che coinvolgono minorenni, ragazzini e uomini comuni. Le nostre storie attingono non solo dalle nostre paure e dai nostri desideri, ma anche dalle vicende reali che sconquassano le nostre società il più delle volte in maniera bellicosa.

Per questo se dovessimo trovare un senso dal cuore di queste storie che la tv ci propone sarebbe opportuno ricordare quanto vicini siano gli eroi di queste serie con le vittime dei conflitti che attualmente osserviamo sul nostro pianeta. Da qualche parte ci sarà sicuramente un ragazzino simile a Will, Dustin o a Max che si trova coinvolto in un problema più grande di lui. E forse sarebbe nostro compito aiutarli, se ne fossimo in grado, come ha fatto Eddie nei confronti dei suoi piccoli amici, pur di non vederli morire.

di Aurelio Sanguinetti

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