Abbiamo il diritto di “restare indietro”, anche all’università

Aspettative, giudizio e pressioni sociali: studente UniBo si toglie la vita, ma non è l'università che uccide

Anxiety

“Aveva finto di aver sostenuto tutti gli esami e di dover solo discutere la tesi di laurea. Invece era rimasto indietro e aveva mentito per anni ai propri genitori. La bugia era andata avanti così a lungo che il giovane era arrivato a organizzare una festa di laurea. Alla fine, schiacciato dal peso delle proprie bugie e dalla vergogna, ha deciso di uccidersi”.

Questo è un esempio delle prime parole che si leggono su numerose testate giornalistiche riguardo la terribile tragedia che ha, nuovamente, colpito l’Università di Bologna a distanza di poco meno di un anno da un altro episodio simile. Uno studente di Giurisprudenza si è suicidato nella notte tra il 6 e il 7 ottobre scorso.

Quello che si nota fin da subito è la NON attenzione data al gesto estremo del ragazzo: l’accento viene posto sugli esami non passati, “era rimasto indietro” si legge, come se non aver passato o fatto degli esami debba significare fallimento.

Nessuno parla della sensazione che il ragazzo potesse provare, come si potesse sentire e del fallimento personale che può aver patito. Perché di questo si tratta, di fallimento personale, di una sensazione strettamente personale…non della famiglia o degli amici.

Anche quando si parla di aspettative a chi ci si riferisce? A quelle della persona o quelle della famiglia e della società? Una società che continua ad affermare che noi ragazzi non abbiamo voglia di fare niente, che siamo una generazione che non prende decisioni, troppo fragile per “stare al mondo” dimentica – troppo spesso – che siamo frutto della loro generazione.

Vuol dire che loro hanno fallito? No, la fragilità è un punto fondamentale nella vita, ma significa anche che nessuno è autorizzato a farci sentire costantemente incapaci e inadeguati. Quando qualcuno si sente continuamente dire che non vale niente, a un certo punto se ne convince davvero… e come dargli torto.

Gli articoli parlano anche di obiettivi troppo lontani da raggiungere, ma in che senso? Nessun obiettivo è troppo lontano, niente è irraggiungibile.

Tutti trovano ostacoli sul cammino che, in un modo o nell’altro, si superano. Prima o dopo. Come si può parlare di obiettivo irraggiungibile a un ragazzo e aspettarsi che sicuramente non rinuncerà? Non tutti possono prendere queste affermazioni come una forza in più, qualcosa che spinge ad andare avanti. C’è chi lo intende come un non essere all’altezza o il non essere capace.

“Sentimento più o meno profondo di turbamento e di disagio suscitato dalla coscienza o dal timore della riprovazione e della condanna (morale o sociale) di altri per un’azione, un comportamento o una situazione, che siano o possano essere oggetto di un giudizio sfavorevole, di disprezzo o di discredito”. Questa è la definizione che si trova sul dizionario Treccani; si parla e si legge spesso di vergogna in questi casi: ma sono effettivamente queste le cose di cui bisogna vergognarsi?

Proprio questo dovrebbe far riflettere. Si parla di condanna morale o sociale. Avere esami indietro non è una vergogna, come nemmeno andare fuori corso all’università. Ci sono mille motivi per i quali questo può succedere: problemi a casa, in famiglia, nel corso di studi o anche momenti di sconforto della persona stessa. “Hai indietro un esame, vedi di non andare fuori corso” o “Ma ti svegli a dare gli esami? A quest’ora avresti dovuto darli quasi tutti”, o banalmente “Ormai sei al terzo anno, quando ti laurei?” sono frasi che possono mettere ansia e pressione ai ragazzi.

Ansia sociale

Quando si parla di università si dice sempre che si è scelto di fare qualcosa che piace e interessa, ma questo non implica che sia facile, non significa che non si possa sentire la pressione addosso o non si possa provare un senso di inadeguatezza e ansia.

Sostenere un esame non è facile e l’ansia ce si prova non riguarda solo la prova in sé, ma anche la necessità di soddisfare delle aspettative, molto spesso non proprie.

Tutti hanno il diritto di “restare indietro” e -soprattutto – nessuno ha il diritto di farci sentire in colpa o inadeguati per questo.

di Marika Parise

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