Informare ed informarsi: i primi passi per combattere la criminalità. Le testimonianze dei giornalisti Rossella Canadè e Nello Scavo

"È necessario rendersi conto che la mafia è qualcosa che ci tocca da vicino, che interferisce nella nostra vita sociale, nell’economia e nel sistema di relazioni delle nostre città. La ‘ndrangheta ha colonizzato, come dimostrato dal processo Emilia"

Nell’ambito del ciclo di incontri intitolato “Criminalità organizzata e attività di prevenzione e contrasto” che propone un approccio interdisciplinare alla materia, promosso dal Centro Studi in Affari Europei e Internazionali (CSEIA) e dall’Osservatorio Permanente per la Legalità dell’Ateneo, si è svolto il seminario “Combattere la criminalità con l’informazione”, moderato dal Professore Matteo Truffelli, docente di Storia delle idee politiche presso il dipartimento di Discipline Umanistiche, Sociali e delle Imprese Culturali dell’Università degli studi di Parma.

Relatori dell’incontro Rossella Canadè e Nello Scavo, due giornalisti che si occupano principalmente di inchieste legate alla criminalità organizzata e cronaca giudiziaria.

In apertura del seminario, il professor Truffelli mette in evidenza il problema centrale su cui ruota il ciclo di seminari, ovvero riconoscere la presenza della criminalità organizzata lontano dai luoghi in cui è nata e continua ad essere profondamente radicata: “Anche in terra emiliana la criminalità organizzata, in particolare la ‘ndrangheta, è presente da anni”.

Lo è in una forma ancora più fuggente, più nascosta di quanto non sia nelle regioni del sud Italia e per questo “è necessaria una coscienza civile informata e consapevole per combattere questo problema. – spiega Trufelli – L’informazione è l’esatto contrario dell’omertà, un modo per fare luce sulle trame nascoste della mafia. La consapevolezza e la conoscenza del fenomeno ci devono aiutare a non abbassare la guardia”.

Il primo intervento è quello di Rossella Canadè, giornalista della Gazzetta di Mantova e autrice di libri in cui denuncia la presenza della criminalità organizzata nella pianura padana come quello pubblicato nel 2017 intitolato “Fuoco Criminale: la ‘ndrangheta nelle terre del Po”.

La giornalista racconta la sua esperienza e le prime scoperte che l’hanno portata ad approfondire alcuni eventi che, dopo le ricerche della giornalista e quelle dei Carabinieri, si sono rivelati atti intimidatori mafiosi nei confronti di imprenditori e impresari cutresi residenti nel Mantovano, che hanno portato poi a scoprire una fitta presenza di ‘ndranghetisti proprio nelle zone circostanti la cittadina lombarda.

Anche Canadè mette subito in luce quanto sia difficile far capire ai cittadini, “ma spesso anche ai propri colleghi” che la mafia sia presente nella loro terra. “È necessario rendersi conto che la mafia è qualcosa che ci tocca da vicino, che interferisce nella nostra vita sociale, nell’economia e nel sistema di relazioni delle nostre città. La ‘ndrangheta ha colonizzato, come dimostrato dal processo Emilia e dal Processo Pesci (sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta nel mantovano), anche il nord Italia “ma farlo capire è estremamente difficile” spiega la giornalista. La mafia al nord è diversa sia per quanto riguarda i modi di agire sia per l’apparenza, si nasconde dietro giacca e cravatta e tende a non fare gesti eclatanti, per questo la sua presenza diventa ancora più difficile da dimostrare a coloro i quali non sono ancora convinti che sia reale.

“L’arma più grande che abbiamo contro la criminalità organizzata è quello di parlare e raccontare i fatti: la società vince nel momento in cui i fatti e le denunce vengono scritte e il problema affrontato e mostrato a tutti” afferma Canadè.

Nello Scavo, invece, racconta un tipo di criminalità diversa, ma altrettanto complessa, di cui l’inviato dell’Avvenire e corrispondente di alcuni dei più importanti giornali internazionali si è occupato nella sua carriera.

Viene ancora una volta messa in evidenza la difficoltà, ancora più amplificata all’estero, che incontrano i giornalisti nel diffondere il proprio messaggio che spesso, quando si parla di mafia, sembra non attecchire sui lettori che sentono la criminalità organizzata come un fenomeno lontano.

“Un’altra difficoltà per i giornalisti che vanno a toccare temi dolenti e complicati è quella di ritrovarsi ad affrontare una serie di querele che nella maggior parte dei casi non porteranno a nessuna incriminazione ma che costeranno caro sia in termini economici che di tempo agli stessi giornalisti e alle redazioni per cui lavorano” sostiene Scavo. E tale problema può portare al rinunciare ad affrontare temi inerenti alla criminalità organizzata per chi non può permettersi spese giudiziarie elevate.

Ed ancora, il rischio di perdere il committente pubblicitario che in qualche modo ha degli interessi economici che vengono messi in pericolo in un’inchiesta condotta da un giornalista.

Il giornalista Scavo racconta anche il sistema metodologico che lo ha portato a realizzare importanti inchieste in Libia e a Malta in merito alla tratta degli esseri umani e i problemi avuti nel farsi ascoltare dalle autorità giudiziarie competenti dei paesi coinvolti.

In conclusione, Scavo afferma che “nel giornalismo di oggi è fondamentale un approccio cooperativo: lavorare insieme e condividere le notizie per sentirsi più al sicuro”. Viene però anche evidenziato come spesso questo approccio risulta non applicabile e laddove non è possibile come nelle testate locali, si è messi davanti ad una scelta molto difficile da prendere: abbassare la testa o cercare di combattere la criminalità.

Il seminario “combattere la criminalità con l’informazione” vuole rispondere a questo dilemma evidenziando come ognuno di noi possa fare la differenza in una “guerra di tutti”.

La registrazione dell’incontro è disponibile sul canale YouTube dell’Ateneo.

di Matteo Obinu

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