“Dove va l’Europa?”: la lectio di Massimo Cacciari all’Università di Parma

Il filosofo e politico pone diversi interrogativi al suo pubblico rispetto al futuro dell’Europa, portando spunti di riflessione sulla storia politica e culturale europea

Il 20 aprile, nell’Aula Magna dell’Università di Parma, il professor Massimo Cacciari, filosofo, saggista e politico, ha esposto la sua lectio magistralis “Dove va l’Europa?“, affrontando alcuni punti cruciali inerenti al ruolo dell’Europa nei confronti della crisi geopolitica in atto, mettendola a confronto con quelle avvenute in passato.

“Vorrei tracciare alcune linee di una certa profondità storica e culturale, così da poterci aiutare a capire dove siamo, poiché dove andiamo dipenderà solo dalle scelte che faremo, e le scelte che si fanno dipendono anche dalla memoria storica che si ha del passato” spiega Cacciari.

A fare i saluti istituzionali erano presenti il vicesindaco Lorenzo Lavagetto, il professor Giovanni Francesco Basini e il professor Diego Saglia, direttori dei dipartimenti dell’università, rispettivamente del Dipartimento di Giurisprudenza, Studi Politici e Internazionali e del Dipartimento di Discipline Umanistiche, Sociali e delle Imprese Culturali, i quali hanno patrocinato l’evento.

A moderare e introdurre l’incontro è presente anche Fausto Pagnotta, professore in Storia del pensiero politico dell’Unipr, il quale apre l’evento facendo una riflessione sulla tradizione storica, culturale, politica ed economica della città di Parma, “che è da sempre inserita all’interno dell’orizzonte europeo”, per poi parlare dell’Università di Parma, la quale “lavora in strette collaborazioni accademiche con altre realtà europee, anche grazie ai risultati del progetto Erasmus e alla presenza di enti e istituzioni che hanno proprio nell’Unione Europea il loro riferimento, come il Centro Studi in Affari Europei e Internazionali (CSEIA)”.

Il professor Pagnotta prosegue l’introduzione alla lectio del professor Cacciari, spiegando come “la storia di oggi ha bisogno di uomini e donne animati dal sogno di un’Europa unita al servizio della pace”, e di come questa sfida sia molto complessa, perché “i paesi dell’Unione Europea sono coinvolti in molteplici alleanze, interessi e strategie: una serie di forze che è difficile far convergere in un unico progetto”.

“Tuttavia, – conclude il professore – vi è un principio che dovrebbe essere condiviso da tutti con chiarezza e determinazione: la guerra non può e non deve più essere considerata come una soluzione dei conflitti”, per poi passare la parola all’ospite.

“Questa è l’Europa che vogliamo?”

Cacciari apre la sua riflessione facendo una premessa: “l’Europa ‘è stata ed è ancora’, e ci sono sempre stati momenti di crisi per i quali è stato necessario giudicare; niente di catastrofico o apocalittico, ma ritengo sia vitale giudicare laddove il ‘noi’ è critico”.

Con questa nota introduttiva il professore ci pone tre diverse questioni storiche, partendo dalle “due grandi tendenze che ci sono sempre state nello spirito d’Europa: una tendenza egemonica, intrinseca nella cultura occidentale poiché l’Europa è la patria della scienza, della tecnica e della straordinaria potenza che queste esprimono”.

“Una seconda tendenza – continua l’ospite – non negava la prima, ma rifletteva su una dimensione più etico politica, che dava a questa stessa prospettiva tecnico scientifica tutto il suo valore: una tendenza relazionare. Intrinseca a questa potenza vi è anche la capacità di riconoscere i valori delle altre civiltà, e proprio perché siamo la civiltà che ha lavorato dal punto di vista scientifico (e non in astratto) sulla realtà, possiamo comprendere il valore, la specificità e l’individualità dell’altro, più che altri paesi, permettendoci così di metterci in comparazione e relazione alle altre civiltà”.

Pone poi l’attenzione sul dopoguerra del secondo conflitto mondiale, nel quale è avvenuto il suicidio dell’Europa: “dopo le tragedie che l’Europa ha combinato nella prima metà del Novecento, è evidente che, in quanto potenza politica, non poteva più sussistere nelle forme classiche di questa potenza. I padri dell’Europa ne erano perfettamente consapevoli, e questa consapevolezza li ha così portati ad una scelta: mettersi insieme in modo che le economie potessero avere un significato nell’epoca globale che già si andava definendo, sulla base di un equilibrio assolutamente precario tra i due ‘titani’ che avevano vinto la guerra (Stati Uniti e Unione Sovietica)”.

“La scelta che fu fatta dai padri fondatori – prosegue Cacciari – viene rappresentata anche nel testo della nostra Costituzione: ‘noi siamo il Continente, l’Europa, che certo dovrà fare di tutto per rafforzare la propria economia, ma molto di più per creare una democrazia progressiva‘. Difatti, le forze politiche promuovono, e hanno il compito di promuovere, non soltanto il potenziale di mercato e strutturarlo adeguatamente per reggere la competizione internazionale, ma promuovere al loro interno questa democrazia progressiva: procedere verso una soddisfazione sempre maggiore di quei diritti che erano già allora chiaramente individuati, ma anche aperta a confrontarsi e ad accogliere apertamente le domande che potevano esserci da parte dei cittadini”.

Cacciari continua la riflessione sul ‘come’ siamo usciti dalla Seconda Guerra mondiale, pensando “a come l’Europa potesse essere altro che mero mercato ed economia competitiva, ma anche un riconoscimento dell’altro, e di come i due principi si combinino fra loro, ma non automaticamente”.

L’Europa per qualche decennio è riuscita a mediare la situazione, – spiega il professore – ammettendo l’istanza economica mercantile con quella democratica progressiva, anche grazie alle condizioni internazionali molto favorevoli, le quali hanno permesso di costruire welfare ed economie affluenti, che sono però venute meno a partire dagli anni Settanta”.

Si arriva così ad una seconda questione storica, ovvero quella “del crescente debito pubblico di tanti paesi dell’Unione Europea, la quale si ritrova di fronte ad un’altra situazione critica, poiché quelle condizioni internazionali che favorivano l’Europa e che gli permetteva di creare economie fluenti e un crescente benessere, a partire dagli anni Settanta e Ottanta sono venute meno”.

fonte: La Stampa

“Questo problema diventa drammatico, – spiega Cacciari – perché è evidente che l’insoddisfazione dei cittadini europei nei confronti delle istituzioni europee e dei governi internazionali è dovuta dal fatto che non si comprende più come questa grande costruzione, frutto di una grande politica, possa rispondere alle esigenze e alle domande dei cittadini. La mediazione europea è riuscita ad esserci fino agli anni Ottanta, ma a partire dagli anni Novanta, in modo sempre più avvilente, non è più riuscita a fare quello per cui era nata, ed è mancata anche chiarezza nell’obbiettivo, come è mancata la volontà politica”.

Cacciari così si interroga sul fatto di capire “se abbiamo la volontà e le capacità di riprenderci, perché può darsi che non sia più possibile, visto il profondo mutamento delle condizioni dei contesti internazionali. L’Europa, che si è sempre posta come la terra dello stato sociale e della democrazia progressiva, dove la politica non si difende o fugge dalla domanda dei diritti, ma si confronta responsabilmente con la crescita di questa domanda, mediando e discutendo, forse ormai è solo un miraggio”.

Ma è questa l’Europa che vogliamo? La riteniamo necessaria e anche possibile, o solo necessaria, ma impossibile? Bisogna discuterne, perché se continuiamo a nascondere i problemi di sicuro non spariranno”, chiede Cacciari.

“Europa, dove vai?”: il futuro dell’Unione Europea

Il professore arriva così alla terza e ultima questione, quella contemporanea, parlando di come “l’Europa, dopo la Seconda Guerra mondiale, avrebbe dovuto avere una missione geopolitica chiara, rispetto anche alla politica che i due titani, vincitori del conflitto mondiale, si sarebbero inevitabilmente intralciati tra di loro, perché è questo che fanno gli imperi: è nella loro natura il tentativo di far collassare l’impero avversario”.

“Rispetto ai due imperi, – Cacciari spiega così la sua precedente affermazione – la missione e il senso dell’Europa potevano (e dovevano) essere quelli di operare per prevenire ogni possibilità catastrofica della collisione tra l’impero americano e quello russo, ma anche quello di costruire una visione policentrica degli equilibri internazionali, ovvero di ritenere ciascuno un’individualità universale (riprendendo la prima questione), ma così non è avvenuto: i grandi stati egemonici europei hanno condotto a due guerre mondiali, sono colpe che nemmeno in millenni potranno essere dimenticate”.

“Europa, dove vai?”, chiede il filosofo al suo pubblico, riprendendo il titolo della sua lectio, e  specificando che “il punto di domanda non è relativo, perché ci ritroviamo di nuovo fronte ad una scelta durante una nuova situazione critica; ma questa volta il bivio esiste veramente o c’è un’unica strada ormai obbligata?”.

Cacciari espone un’altra riflessione, credendo che “l’Europa può avere ancora un ruolo di mediatore che riconosce la natura imperiale degli imperi, perché quando si parla di politica o di geopolitica si ha il dovere di essere realisti: è assurdo accusare un impero di volere indebolire l’avversario, fa il suo mestiere”.

“Sarebbe meglio un ruolo europeo con una visione policentrica, – continua il professore – o pensiamo che le grandi controversie internazionali non possano avere altro esito che stabilire un’egemonia planetaria ‘di questo e di quello’? Perché gli esempi sono tanti nella storia, e da momenti critici come questi se ne esce con il comando di uno solo”.

Cacciari domanda nuovamente e senza retoriche al pubblico: “Allora, tu Europa, vuoi la democrazia o la sovranità assoluta?”.

“Ormai si è affermata una prospettiva in campo economico, politico e geopolitico che contraddice l’idea di relazione e confronto, – conclude l’ospite – ma se non saremmo fedeli anche (e soprattutto) a questa idea quasi utopica, si tratterà solo di gestire un tramonto dell’Europa, perché il senso dell’Unione Europea può essere fatta solo di dialogo e relazioni, senza negare o sopprimere le individualità”.

di Beatrice Guaita

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