“L’appellation culinaire”: cos’è e da quando?

L'arte di nominare un piatto è una pratica da sempre esistita? Sembra che i piatti siano stati riconosciuti con il proprio nome solo recentemente

Quando un piatto ha un nome originale, si sa, attira maggiormente il cliente, aumentando anche la probabilità di essere ordinato. Così è successo con Takahiko Kondo, ragazzo della brigata dello chef Massimo Buttura, il quale aveva fatto cadere la crostatina al limone sul piano di lavoro, di fronte al critico e gastronomo Andrea Grignaffini. Un errore che ha portato lo chef Buttura a riprodurla esattamente così, celebrando la bellezza come imperfezione e dando vita a uno dei suoi piatti più importanti. Il nome scelto dallo chef, Oops! Mi è caduta la crostatina al limone, è stato del tutto inaspettato, soprattutto nel mondo dell’alta cucina.

Nei primi anni, i nomi dei piatti erano composti da “etichette” che descrivevano gli ingredienti utilizzati, come con “chapon aux herbes” o “poulaille farcie” utilizzate dallo chef Taillevent. Invece verso il XVII secolo, lo chef francese Massialot ha iniziato a nominare i piatti in modo che potessero essere riconosciuti universalmente. Così, l’appellation culinaire, ossia l’arte di dare un nome ai piatti, è diventata una caratteristica alla base delle grandi cucine. Il motivo per cui fosse essenziale dare un nome aggiuntivo ai piatti francesi, forse dipendeva dalla complessità della stessa cucina classica francese e anche in base a quanta importanza si desse ai contorni, presentati in singoli piatti oppure come guarnizioni aggiuntive.

Massimo Buttura e il suo piatto dal nome Oops! Mi è caduta la crostatina al limone Fonte: reportergourmet.com

Le origini

Fonte: freepik.com

Molte delle voci nei menù indicavano l’origine del cibo, come “les chapons de Bruges” o “le marcassin et le chevreuil de Compiègne”. Le denominazioni culinaires iniziano a comparire nei menù collegandosi ai metodi di preparazione dei piatti, come con “à la Strasbourg” o “à la provençale”. Molte volte succedeva anche che il nome delle portate riprendesse quello degli ospiti illustri, come il budino di cinghiale del 10 gennaio 1972, ricordato con “Boudin de sanglier p ar le marquis d’E cquevilliers”.

Il menù dei fratelli Véry del 1790 era strutturato per categorie con la presenza sempre di alcune denominazioni culinaires. Alcuni ricordavano i metodi di preparazione come: la “Tourte à la financière“, o la “Poitrine de mouton à la Sainte-Menehoult aux choux ou aux navets“, o il “Morue à la maître d’hôtel“. Secondo Poulain & Neirinck, l’utilizzo delle denominazioni culinaires aumentò moltissimo tra il 1651 e il 1833.

Marie-Antonie Carême, Georges Auguste Escoffier e Charles Ranhofer

Georges Auguste Escoffier Fonte: agrodolce.it

Marie-Antoine Carême, padre dell’alta cucina francese, è stato uno dei primi chef ad aver cucinato per Giorgio IV in Inghilterra e lo zar Alessandro I di Russia. Inoltre, credeva che queste denominazioni facilitassero i piatti, rendendoli più riconoscibili per i professionisti della cucina. Per esempio, la bisque di gamberetti era ricordata con: “à la française, à la Corneille, à l’amiral de Rigny, à la Périgord, à la princesse, au chasseur, à la Régence e à la royale”. 

Georges Auguste Escoffier è sempre stato considerato un campione della cucina francese, il quale era abituato a chiamare i suoi piatti preferiti con il nome delle donne: dalle attrici alle cantanti, ma anche utilizzando i nomi di alcune destinazioni. Ciononostante, per un lungo periodo, Escoffier rimase irremovibile, sostenendo come i nomi francesi dovessero rimanere intraducibili, dicendo che “la cucina francese avrebbe continuato a parlare francese”.

Sull’esempio francese, tanti altri paesi hanno adottato denominazioni francesi già note o del tutto inventate. Nel 1862, Charles Ranhofer divenne lo chef di Delmonico’s, il primo ristorante raffinato negli Stati Uniti. Il menù di Delmonico’s era stato presentato sia in inglese che in francese, comprendendo alcune denominazioni culinaires.

Appellations Culinaires in FranceseAppellations Culinaires in Italiano
Potage JuliennéZuppa di verdura
Jambon de MayenceWestfalia do do
Entre côte de boeuf à la sauce(Articolo mancante)
Petits Patés à la Bechamelle aux truffsTortine al tartufo
Maquereau à la maître d’hôtelFricassea di sgombro
Haricot nouveaux à la maître d’hôtelFagioli freschi con salsa al burro

Che cambiamenti ci sono stati?

Fonte: unsplash.com

Intanto che il mondo si stava preparando alla Prima Guerra Mondiale, la cucina raffinata non era più solo un privilegio per l’aristocrazia, a tal punto da attirare anche le classi medie. Se l’uso dei menù in lingua francese diminuì, così accadde anche con le denominazioni culinaires. Infatti, se prima, nominare le preparazioni culinarie nei ristoranti raffinati era stata una regola, con l’arrivo della Nouvelle Cuisine, la cucina francese venne rivoluzionata verso la fine del 1960. Lo stesso Jacques Pépin avrebbe scritto nel 2003 che “la Nouvelle Cuisine è stata, e rimarrà, la più grande rivoluzione nella mia vita culinaria”. Inoltre, lo chef Pépin ha condiviso il suo pensiero sull’importanza delle denominazioni culinaires nelle cucine moderne, ricordando come, nei primi anni nelle cucine, l’uso di questi termini era stato cruciale per il successo dei ristoranti, in quanto era visto come un linguaggio universale. La diminuzione di tali espressioni si è verificata con la diffusione della Nouvelle Cuisine, creando descrizioni dei menù più complicate, rendendo maggiormente difficile la comprensione da parte dei clienti. Questa nuova modalità approdata in cucina aveva lo scopo di abbandonare la tradizione, introducendo salse meno grasse e spesso anche prodotti non per forza francesi, valorizzando quelli locali. In Italia, il primo chef ad aver adottato la Nouvelle Cuisine, in termini di rivoluzione sia sul piano del contenuto che su quello della forma, è stato Gualtiero Marchesi.

Anche Lorenzo Ferrari, ristoratore e consulente di marketing, spiega come il cliente dedichi non più di tre minuti di attenzione alla lettura del menù, compresi i nomi dei piatti. Infatti, sostiene che “un nome azzeccato rispetto a un nome banale innalza la percezione della qualità […] i vostri spaghetti al pomodoro si possono vendere a un prezzo più alto rispetto agli spaghetti al pomodoro che si trovano in qualunque altro ristorante […] il nome dei piatti, così come la relativa descrizione, deve essere coerente con l’immagine che si vuole dare del locale”.

di Patricia Iori

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