Oggi che spazio ha la prospettiva eco-femminista?
In un seminario all'Università di Parma il professore e sociologo Marco Deriu ricorda alcune delle donne che si sono battute per l'ambiente e stanno cercando di cambiare il mondo. Tra queste la parmigiana Silvia Federici
Giovedì 25 maggio si è tenuto l’ultimo incontro della V edizione “Seminari Donne, Diritti e Politica”, presso l’Aula dei Cavalieri nella Sede Centrale dell’Università di Parma. L’incontro dal titolo “Prospettive eco-femministe e rigenerazione politica” è stato presentato al pubblico da Marco Deriu, docente di Sociologia della comunicazione politica e ambientale all’Università di Parma, con la moderazione e organizzazione di Fausto Pagnotta, docente a contratto in Storia delle donne nel pensiero politico all’Università di Parma.
Il professore Deriu durante l’incontro ha colto l’occasione anche di presentare il suo libro, Rigenerazione per una democrazia capace di futuro, chiedendosi se di fronte al moltiplicarsi delle emergenze ecologiche, climatiche e sanitarie, il progetto democratico sarà capace di rinnovarsi o se sarà destinato ad aggiungersi alla specie in via di estinzione. Fino ad oggi, le comunità democratiche non si sono mai pensate veramente nel loro radicamento ecologico. Non ci interessa capire se la democrazia sarà in grado di affrontare queste problematiche, piuttosto in che modo e con quale forma di democrazia. Ci chiediamo così che spazio possa avere oggi una prospettiva eco-femminista.
Quanto è importante il contributo della donne alle lotte ecologiche? Ecco alcuni esempi

Deriu ritiene che “nello sviluppo della coscienza ecologica, le donne hanno sempre avuto un ruolo cruciale sebbene non tutti lo abbiano sempre riconosciuto”, anche se a differenza di molti altri campi in cui operano, dove il contributo rimane maggiormente sullo sfondo, in questo caso è più evidente.
Un primo esempio da ricordare è Rachel Carson, che è stata una biologa e zoologa statunitense, autrice di molti libri, tra cui Silent Spring (Primavera silenziosa), con cui favorì negli Stati Uniti un cambiamento nella politica nazionale sui fitofarmaci (prodotti utilizzabili per proteggere e per conservare i vegetali o influirne sui processi vegetali). Carson avrebbe detto che “parallelamente all’eventualità della totale estinzione del genere umano in una guerra atomica, l’altro fondamentale problema della nostra epoca consiste, dunque, nella contaminazione dell’ambiente in cui viviamo ad opera di sostanze con un incredibile potenziale di devastazione”.

“Più riusciamo a focalizzare la nostra attenzione sulle meraviglie e le realtà dell’universo attorno a noi, – continua – meno dovremmo trovare gusto nel distruggerlo”.
L’ecofemminismo è visto quindi come un movimento che rileva una connessione tra lo sfruttamento e il degrado del mondo naturale, la subordinazione e l’oppressione delle donne.
Tra le più importanti leaders ecologiste, abbiamo Wangari Muta Maathai, ambientalista e attivista del Kenya, la prima donna africana a ricevere il Premio Nobel per la pace nel 2004, per il suo contributo alle cause dello sviluppo sostenibile, della democrazia e della pace.

Molto più conosciuta è Vandana Shiva, attivista e ambientalista indiana, che si è battuta per cambiare alcuni paradigmi nel campo dell’agricoltura e dell’alimentazione, ed è anche leader dell’International Forum on Globalization. Insieme a Maria Mies, femminista marxista e attivista per i diritti delle donne, nel libro Patriarchy & Accumulation on a World Scale: Women in the International Division of Labour, dichiarano che “solo quando gli uomini iniziano seriamente a condividere la cura dei bambini, dei vecchi, dei deboli e della natura, quando riconoscono che questo lavoro di sussistenza per preservare la vita è più importante del lavoro per i soldi, diventeranno in grado di sviluppare una relazione erotica, di cura e responsabilità con i loro partner, siano essi uomini o donne”.

Importante ricordare anche Arundhati Roy, scrittrice indiana e un’attivista politica, impegnata nel campo dei diritti umani, dell’ambiente e dei movimenti anti-globalizzazione.

Da non dimenticare Medha Patkar, attivista indiana che lavora su questioni politiche ed economiche, così come anche Julia Butterfly Hill, ambientalista e scrittrice statunitense, conosciuta per essere rimasta per 738 giorni su una sequoia nella foresta di Headwaters a circa 55 metri di altezza, al fine di impedirne l’abbattimento da parte della Pacific Lumber Company.


Si ricorda anche Rigoberta Menchú, pacifista guatemalteca che ha ricevuto il Premio Nobel per la pace nel 1992, come riconoscimento dei suoi sforzi per la giustizia sociale e la riconciliazione etno-culturale; Isatou Ceesay è invece un’attivista e imprenditrice sociale gambiana, denominata “regina del riciclaggio”, che ha dato vita a un movimento chiamato One Plastic Bag; Juma Xipaia è un’attivista indigena dell’Amazzonia brasiliana, che sta lottando per i diritti della foresta pluviale, ed è stata vittima di molte minacce di morte; Esperanza Martínez, una biologa con una specializzazione in sistemi di gestione dell’ambiente, ha ricevuto anche il Premio internazionale Alexander Langer nel 2002 e infine Greta Thunberg, conosciuta come attivista svedese, è nota anche per le sue battaglie a favore dello sviluppo sostenibile e contro il cambiamento climatico.





Un altro volto molto importante e noto è quello di Silvia Federici, nata e cresciuta a Parma, è una sociologa e attivista italiana naturalizzata statunitense, che lavora nel campo del femminismo e degli studi di genere.

L’urgenza di agire
Tutte queste figure femminili hanno dimostrato come la donna sia in grado di battersi per tali tematiche, contribuendo con il proprio prezioso aiuto. È evidente quanto sia urgente trovare delle soluzioni per il nostro ambiente, come ha sottolineato anche Françoise d’Eaubonne, attivista francese, dicendo: “Non è più una questione di benessere, ma di necessità; non di una vita migliore, ma di sfuggire alla morte; e non di un ‘futuro più giusto’ ma dell’unica possibilità, per l’intera specie, d’avere ancora un futuro”.
di Patricia Iori
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