La terra ha veramente troppi abitanti? E la popolazione italiana è sempre più vecchia?

Per quanto ancora la terra riuscirà a fronteggiare questo sovrappopolamento? Si può parlare di mito o di un vero e proprio rischio? Perché la popolazione italiana è sempre più vecchia? Ecco alcune domande alle quali abbiamo cercato di dare una risposta

La terra ospita 8 miliardi di abitanti, e in circa vent’anni siamo cresciuti di 2 miliardi. Dati che fanno riflettere molto, e che sembrano spaventare, soprattutto per la velocità esponenziale con cui sta aumentando la popolazione mondiale. La domanda che sorge spontanea è se questi numeri debbano veramente preoccupare e allertare, pensando soprattutto a una popolazione gigantesca da sfamare, il cui impatto non è indifferente, comportando anche un aumento delle risorse di cui si avrà sempre più bisogno.

Negli ultimi decenni, la comunità scientifica si è posta domande più specifiche, chiedendosi se pesiamo tutti allo stesso modo sul pianeta oppure no. Come afferma Silvia Lazzaris, autrice di Will Media insieme a Clara Morelli, “il 12% della popolazione è responsabile per metà delle emissioni degli ultimi 150 anni […] tutto si basa sullo stile di vita delle persone più ricche”. Sicuramente l’aumento della popolazione è un fattore importante con delle conseguenze da non sottovalutare, sebbene abbia un impatto più rilevante lo stile di vita che viene adottato da ciascuno di noi. Ciononostante, questi due fattori insieme risultano indubbiamente esplosivi.

Crescita popolazione 1700-2022 Fonte: youtube.com

Alcune voci autorevoli

Morelli ricorda come Max Roser, economista e filosofo che si occupa di studiare i grandi problemi globali come la povertà, malattie, guerre, cambiamenti climatici e molti altri, abbia parlato di una teoria dello sviluppo delle popolazioni in quattro fasi, sulla base di due parametri: il tasso di natalità e di mortalità.

Prende in considerazione la popolazione Occidentale, dove i due parametri, nella prima fase, si compensavano a vicenda (ciò che ha vissuto la popolazione del 1800, in cui il tasso di natalità era alto perché non c’era un’idea diffusa di contraccezione, seguito da un tasso di mortalità elevato con un’età media inferiore ai trent’anni), e la popolazione cresceva a un ritmo abbastanza stabile. Nella seconda fase, grazie al progresso medico e scientifico, il tasso di mortalità è rallentato rispetto a quello di natalità, ed è stata la situazione vissuta fino a fine 1900, comportando un aumento della popolazione. Nella terza fase, il tasso di natalità è rallentato grazie alla presenza di maggiori diritti a favore delle donne, tra cui “maggiori” opportunità lavorative anche per loro, continuando così a crescere ma in modo più controllato. Si potrebbe parlare allora di un controllo rigido come quello cinese? In realtà non è esattamente così, in quanto si fa riferimento a un controllo che è avvenuto in maniera naturale, dal bilanciamento dei due parametri menzionati precedentemente. L’ultima fase è quella che stiamo vivendo ora, in cui la natalità rimane molto più indietro con una maggiore presenza della popolazione anziana. Come ribadisce Morelli, non ci sarà un problema di crescita infinita, poiché già ora stiamo assistendo a una fase di decrescita, sebbene non sia così evidente perché nei paesi poveri continuano a nascere molti figli.

Tasso di natalità e mortalità nel mondo Fonte: researchgate.net

E in Italia?

Concentrandosi sul territorio italiano, è evidente come uno dei principali problemi sia il numero ridotto delle nascite e la presenza cospicua di una popolazione molto vecchia (al seguente link per approfondire). Il problema non è nell’aspettativa di vita che si è allungata, ma nel fare sempre meno figli, un problema che avrà conseguenze gravi nel sistema pensionistico e non solo. L’Italia ha indubbiamente bisogno di maggiori incentivi, tutelando soprattutto la donna, dove il rischio di perdere il lavoro a causa di una gravidanza è sempre più elevato, ma anche il caro vita non sta aiutando con salari che non coprono quasi più le spese basilari.

A tale proposito, Matteo Manfredini, docente di Demografia dell’Università di Parma, del Dipartimento di Scienze Chimiche, della Vita e della Sostenibilità Ambientale spiega come la popolazione mondiale stia tuttora aumentando, sebbene il tasso di crescita corrisponda alla metà degli anni Sessanta. Il principale problema non sta nel numero ma nelle diseguaglianze, e, non a caso, la crescita principale della popolazione avviene nei paesi più poveri. È evidente una cattiva distribuzione della popolazione rispetto alle risorse disponibili. Per questo motivo, sarebbe più opportuno iniziare a spostare l’attenzione sulle diseguaglianze piuttosto che sulla demografia in senso stretto.

Aumento negli ultimi anni della popolazione over 90 in Italia Fonte: tg24.sky.it

La popolazione italiana è indubbiamente vecchia, e questo invecchiamento può verificarsi dal basso ma anche dall’alto. Inizialmente, la popolazione ha iniziato a invecchiare perché si viveva di più, e questo è un concetto di invecchiamento positivo e un aspetto da salvaguardare per l’Italia. Oggi, si invecchia invece perché gli anziani aumentano in percentuale, a causa della diminuzione delle classi giovanili. In questi termini, non si può parlare di un invecchiamento positivo, in quanto non si sta parlando di allungamento della vita media. Manfredini sostiene che: “Una popolazione che invecchia perché ha pochi giovani, avrà problemi di equilibrio tra le generazioni […] ci saranno problemi con le pensioni; e un’incapacità di affrontare, sia dal punto di vista economico che sociale, le sfide del futuro, tutti aspetti negativi connaturati a questa forma di invecchiamento”.

Sempre secondo Manfredini, oggi il mondo avrebbe le potenzialità di garantire il benessere o almeno le risorse basilari per tutta la popolazione mondiale ma, come è stato detto prima, non c’è un’equidistribuzione delle risorse.

Una maggior presenza di ultraottantenni che bambini con meno di dieci anni in Italia Fonte: tg24.sky.it

Possibili soluzioni?

Si avranno dei miglioramenti in termini sia di equidistribuzione delle risorse che a livello demografico? La risposta di Manfredini parte dal presupposto che l’Italia abbia un livello di fecondità tra i più bassi al mondo, si parla di massimo tre figli per donna, anche se il più delle volte ci si ferma a uno solo. Che in Italia non ci siano sufficienti incentivi lo sappiamo, anche in termini di servizi, come la carenza degli asili, ma anche la precarietà del lavoro che colpisce sempre più i giovani, e se manca la stabilità, non si può pensare di fare figli. Una volta si pensava all’immigrazione, come possibile soluzione immediata al problema. Oggigiorno, potrebbe essere adottata come azione temporanea, ma non nel lungo termine, perché gli immigrati si stanno adattando maggiormente al modo di vivere in Italia. Quindi, quando si parla di rinvigorire il numero di nascite nel nostro paese, bisognerebbe adottare un approccio multidimensionale, nel quale la donna non si trovi di fronte alla scelta tra lavoro e maternità; garantire e rendere più certi alcuni servizi e tutele, un po’ come hanno già fatto altri paesi, tra cui la Francia, dove la fecondità è molto più elevata che in Italia.

Fonte: unsplash.com

Un altro aspetto da menzionare è quello demografico, in cui le prossime generazioni tra i 20 e i 45 anni saranno numericamente molto meno rispetto a oggi, con un calo marcato delle future madri. “Sarà quindi necessario aumentare ben di più di quello che ci si aspetta la fecondità per donna – sostiene Manfredini – perché gli aumenti a cui pensiamo, forse non saranno sufficienti a garantire lo stesso numero di nascite che abbiamo adesso, appunto perché il numero di madri sarà molto più basso”.

Quindi, i paesi più sviluppati, tra cui l’Italia stessa, dovrebbero preoccuparsi maggiormente di tale situazione. Per ora, questi paesi possono almeno cercare di convertire l’immigrazione da problema a vantaggio e opportunità. Fare in modo che questi flussi migratori siano i più funzionali possibili, contribuendo sia a livello economico (più giovani impiegati come forza lavoro) che a livello demografico.

di Patricia Iori

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