Geert Wilders: un altro tassello nel mosaico della destra europea

Islamofobo, populista e antieuropeista, lo chiamano il "Trump olandese". Cosa significa per l'Europa l'elezione di Wilders

di Dan Kitwood / Getty Images

Geert Wilders ha vinto le elezioni legislative anticipate del 22 novembre in Olanda con il 23,5% dei consensi e 37 seggi. Alle spalle del Pvv – il partito di estrema destra guidato da Wilders – l’unione Laburisti-Verdi di Frans Timmermans con 25 seggi e il Vvd, partito liberalconservatore orfano del premier uscente Mark Rutte, con 24. Una vittoria più netta del previsto, guadagnata con l’uso insistente di una retorica ormai ricorsiva in Europa e non solo.

Ma chi è Geert Wilders? Qual è la sua politica e come si colloca nel panorama politico europeo?

Stop ai migranti

Wilders è un convinto islamofobo che ha fatto dell’immigrazione il cuore della sua campagna elettorale. Nel 2023, i Paesi Bassi hanno dovuto affrontare flussi migratori senza precedenti dall’Ucraina e dal Nord Africa, in particolare dal Marocco, per un totale di 70.000 arrivi stimati entro la fine dell’anno. Il nuovo premier ha dichiarato che questo “tsunami dell’asilo politico deve essere fermato, le persone devono avere più soldi nel loro portafoglio“. Wilders definisce i richiedenti asilo la “feccia” responsabile dei problemi economici e interni del paese, a partire dalla crisi abitativa che interessa l’Olanda più di altri paesi europei. La condanna feroce dei migranti come capro espiatorio è una strategia redditizia per le destre di tutta Europa e si è dimostrata vincente, tra gli altri, in Svezia, in Ungheria e ovviamente in Italia, dove tuttavia le politiche antimmigrazione si sono rivelate un enorme insuccesso.

Complice della vittoria del Pvv è stata anche la mancanza di alternative valide per gli elettori. I partiti tradizionali europei si sono progressivamente indeboliti – l’Italia ne è una prova – lasciando ampio spazio di manovra all’estremismo di destra e al populismo. Un copione ripetuto in Olanda, dove anche i partiti più moderati e distanti dallo sciovinismo del Pvv sostenevano una politica migratoria restrittiva, finendo così per legittimare le posizioni islamofobe di Wilders.

Lo spettro Nexit

Sem van der Wal / AFP

Al discorso xenofobo si affianca quello antieuropeista. Tra le proposte più spiazzanti di Wilders figura il possibile referendum vincolante per l’uscita dall’Unione Europea. In due parole, la Nexit. L’euroscetticismo è un’altra posizione che accomuna molti partiti populisti del vecchio continente che intendono isolarsi, e il Pvv non fa eccezione. “Restituire l’Olanda agli olandesi” è un motto che suona familiare, soprattutto agli italiani. “Non commentiamo mai i risultati elettorali nazionali. I Paesi Bassi sono un membro fondatore dell’Ue, un membro molto forte dell’Unione. Le elezioni hanno luogo a intervalli regolari negli Stati membri, questo di per sé non mette in dubbio in alcun modo la permanenza di alcun Paese nell’Ue. Continuiamo a contare sulla forte partecipazione dei Paesi Bassi all’Unione Europea, ovviamente”. Queste le parole di Erik Mamer, portavoce capo della Commissione Europea, che non si dice troppo preoccupato per il destino dei Paesi Bassi nell’UE.

Per Wilders sarà infatti molto difficile formare un governo che assecondi i suoi propositi. L’unico partito attualmente aperto a una collaborazione è il Nuovo contratto sociale del centrista Pieter Omtzigt, mentre tutti gli altri hanno dichiarato di non volersi alleare con il Pvv. Con ogni probabilità, le trattative saranno lunghe e complicate e molto dipenderà dall’atteggiamento degli avversari di Wilders. Non è da escludere la formazione di un cordone sanitario per isolare il Pvv, ma la centralità guadagnata dal “Trump olandese” nello scenario politico dei Paesi Bassi potrebbe portare i partiti più moderati ad accettare compromessi scomodi. Di certo, il risultato di questa contrattazione sarà cruciale in vista delle elezioni europee previste per giugno 2024.

Foto Epa, via ANSA

Epidemia di populismo

I principali osservatori europei concordano sul fatto che la vittoria di Geert Wilders segua una tendenza che riguarda buona parte del continente. Oltre all’Olanda, anche Italia, Svezia, Finlandia, Bulgaria e Grecia hanno eletto partiti conservatori o reazionari. A questi si aggiungono paesi come la Francia e la Germania, in cui rispettivamente il Rassemblement National di Marine Le Pen è dato al 24%, e l’AfD al 21%. E come dimenticare l’Ungheria di Viktor Orban, principale alleato europeo di Putin, senza dubbio il più estremista tra i leader dell’UE.

Ad accomunare questi partiti è un populismo fondato sull’opposizione all’Unione Europea, agli accordi sul clima, alle proposte per la parità di genere, all’immigrazione, all’aborto e a qualsiasi altra idea di stampo progressista. Sono partiti che sanno intercettare il diffuso sentimento xenofobo di un elettorato omogeneo in tutto il continente. A votare le ultradestre sono per la maggior parte uomini in difficoltà sociali ed economiche e con un’istruzione di basso livello, affascinati dalle retoriche provocatorie e spettacolari dei loro beniamini, che però quasi mai mantengono quanto promesso in campagna elettorale. E’ lo stesso profilo di chi ha votato per la Brexit nel Regno Unito, per Donald Trump negli Stati Uniti e più recentemente per Javier Milei in Argentina.

Le proteste di Dublino del 23 novembre scorso sono rappresentative dell’epidemia populista dell’Europa. Circa 500 persone sono scese in piazza per devastare negozi e incendiare macchine e autobus in seguito all’accoltellamento di quattro persone da parte di un cittadino irlandese con origini algerine. Durante i violenti scontri sono apparsi striscioni e sono stati intonati cori di stampo razzista e xenofobo. L’Irlanda è tra i paesi più tolleranti di tutta l’UE nei confronti dei migranti, e i partiti di estrema destra hanno sempre giocato un ruolo marginale nello scenario politico nazionale, ma sembra che qualcosa stia cambiando. Se anche un paese così accogliente inizia a mostrare segni di insofferenza populista e di chiusura, allora bisogna temere per il futuro e per la coesione dell’Unione Europea.

I fatti di Dublino non vanno presi come un caso isolato, ma devono essere inseriti nel contesto di un’Europa sempre più frammentata dal sovranismo, dall’odio e dalla paura di quegli elettori che non trovano più alternative convincenti agli estremismi. Gli stessi che alle prossime elezioni europee potrebbero risultare determinanti.

di Niccolò Volpini

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