È morto Vincenzo Agostino. La sua barba mai tagliata è una sconfitta per l’Italia democratica

“Seppellire l’ultimo monumento vivente dell’antimafia senza neanche avergli permesso di ottenere quella tanta agognata verità e giustizia che lo ha fatto soffrire fino alla fine dei suoi giorni” ha dichiarato il nipote al suo funerale

Vincenzo Agostino e la moglie Augusta Schiera. Foto dalla pagina facebook di Vincenzo Agostino

Si è spento Vincenzo Agostino all’età di 87 anni. L’uomo era il padre dell’agente Nino Agostino, un agente di polizia ucciso dalla mafia a Palermo nel 1989. Il volto di Vincenzo, riconoscibilissimo per la sua lunga barba bianca, era diventato un simbolo dell’antimafia: aveva promesso sulla tomba del figlio che non l’avrebbe più tagliata finché non fosse riuscito ad ottenere la verità sulla morte del figlio, ucciso da un commando di killer mafiosi insieme alla moglie incinta, Ida Castelluccio.

Agostino ha passato più di trent’anni portando la sua testimonianza in giro per l’Italia, incontrando migliaia di studenti e battendosi per ottenere la verità sui mandanti e gli esecutori dell’omicidio di Nino con instancabile determinazione. Nel 2019 era scomparsa sua moglie, Augusta Schiera, che aveva combattuto al fianco del marito nella loro battaglia per la verità e la giustizia, “una mamma in attesa di giustizia anche oltre la morte” aveva lasciato scrivere sulla propria lapide.

L’omicidio di Nino Agostino e Ida Castelluccio

Era il 5 agosto del 1989, una sera estiva al termine di un giorno di festa: era il giorno del diciottesimo compleanno di Flora, una delle sorelle dell’agente. Nino e sua moglie Ida Castelluccio erano appena arrivati nella casa di Villagrazia di Carini (PA) per la sua festa di compleanno, quando due killer in moto li avevano colpiti, approfittando del fatto che Nino, fuori servizio, non avesse con sé la pistola d’ordinanza.

Come spesso accade in questi casi, i primi giorni la vicenda era stata fatta passare come un delitto passionale, ma è stato presto chiaro che le cose non stessero così. Fin dai giorni immediatamente successivi all’omicidio Vincenzo Agostino aveva parlato di due uomini che pochi giorni prima dell’omicidio si erano presentati in casa sua cercando Nino e qualificandosi come colleghi. Nel 2016 uno dei due uomini è stato riconosciuto da Agostino in un confronto all’americana: era Giovanni Aiello, noto anche come “Faccia da mostro”, poliziotto e agente dei servizi segreti che sembrerebbe avere il ruolo di intermediario tra i servizi segreti e Cosa Nostra.

Nino Agostino e Ida Castelluccio. Foto dalla pagina facebook di Flora Agostino

Tutt’ora le ragioni dell’omicidio Agostino non sono chiare. Ciò che è certo è che Nino si era distinto nel suo lavoro in polizia, e aveva contribuito a sventare l’attentato dell’Addaura di Giovanni Falcone nel giugno del 1989. Una delle ipotesi riguardo le ragioni del suo omicidio è proprio quella che Agostino stesse investigando su quell’evento, nel quale era coinvolto anche Bruno Contrada, ex poliziotto e agente del SISDE condannato per concorso esterno in associazione mafiosa nel 2007.

Agostino stava inoltre indagando alla ricerca di latitanti, collaborando, pare, con i servizi segreti. Non sono molte le cose chiare nella vicenda dell’omicidio Agostino: erano gli anni della trattativa Stato- Mafia, i rapporti tra le più alte cariche dello Stato e Cosa Nostra erano fumosi e ambigui, quando non addirittura intrecciati. Basti pensare che nel portafogli di Nino un biglietto recitava “Se dovesse succedermi qualcosa, guardate dentro il mio armadio”, ma i suoi appunti investigativi  scomparvero in seguito alla perquisizione disposta dal capo della Squadra Mobile di Palermo Arnaldo La Barbera, lo stesso che pochi anni dopo fu coinvolto nella sparizione dell’agenda rossa di Paolo Borsellino in seguito all’attentato di Via D’Amelio, come recita la Sentenza sul processo Borsellino Quater.

Secondo il legale della famiglia Agostino, Fabio Repici, Agostino faceva parte di un nucleo ristretto di collaboratori di Giovanni Falcone che si dedicava alla ricerca attiva di latitanti e che il quel frangente si occupava anche di scortare Alberto Volo, un eversivo di destra, in qualità di testimone. Le reali ragioni del suo omicidio sarebbero le informazioni che Agostino avrebbe acquisito riguardo i rapporti tra i servizi segreti e Cosa Nostra.

Le vicende processuali dell’omicidio Agostino non sono ancora concluse: nell’ottobre 2023 al capo di mandamento Nino Madonia è stata confermata la condanna all’ergastolo dalla Corte di appello come esecutore dell’omicidio: era stato lui a sparare i cinque colpi che avevano ucciso la coppia, mentre alla guida della Honda Africa Twin, poi data alle fiamme, secondo le ricostruzioni processuali ci sarebbe stato il boss Gaetano Scotto.

Ma questa è solo la punta dell’iceberg, e Vincenzo Agostino si è sempre detto certo della responsabilità di una certa parte deviata dello Stato nell’omicidio di suo figlio, colpevole di avere tradito il figlio e averne secretato i documenti.

L’eredità di Vincenzo

Vincenzo ha militato per decenni dentro l’associazione Libera, l’associazione creata nel 1995 dal prete di strada don Luigi Ciotti, che in seguito alla stagione di omicidi mafiosi degli anni 80-90 che ebbe il suo culmine con le grandi stragi del 1992 di Falcone e Borsellino, si è occupato di riunire i familiari delle vittime di mafia per coltivare la memoria delle vittime innocenti delle mafie e mettere in atto iniziative di contrasto alla criminalità organizzata. L’associazione ogni 21 marzo organizza una giornata per ricordarle tutte, scegliendo di anno in anno una piazza diversa in cui un lungo corteo attraversa le vie principali della città, concludendo la manifestazione con la lettura del lungo elenco dei nomi delle vittime innocenti.

Ogni anno, al termine dell’intervento conclusivo, don Ciotti era solito lasciare la parola a Vincenzo, in rappresentanza di tutte quelle famiglie che non sono ancora riuscite ad ottenere la verità sulla morte dei propri cari. Adesso questo ruolo spetta al nipote Nino Morana, che da sempre accompagna il nonno tra scuole, piazze e tribunali. Nino si farà carico dell’eredità morale di Vincenzo, continuandone le lotte e perseverando nella sua ricerca di giustizia e verità.

Don Luigi Ciotti insieme a Vincenzo Agostino. Foto dalla pagina facebook di Vincenzo Agostino

La barba di Vincenzo è davvero stata “il segno della resistenza attiva alla mafia e alle tante forme del male strutturato che ha sterminato Nino, insanguina le strade della città, pianifica depistaggi, compra silenzi e connivenze anche tra esponenti del potere politico e delle istituzioni dello Stato”, come ha affermato il Cardinale di Palermo nell’omelia del funerale celebrato nella Cattedrale di Palermo.

È una sconfitta per lo Stato italiano”, ha aggiunto il nipote Nino nel discorso tenuto durante la celebrazione funebre, “seppellire l’ultimo monumento vivente dell’antimafia senza neanche avergli permesso di ottenere quella tanta agognata verità e giustizia che lo ha fatto soffrire fino alla fine dei suoi giorni”.

Ed è davvero una sconfitta, per uno Stato che si dice democratico, permettere che ciò accada.

di Marta Montana

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