Il fascismo sotto il palco del 25 Aprile
NON SONO RIUSCITO A TRATTENERMI
“Questa è casa nostra, allontanatevi.” Quando gli afferro la bandiera per evitare che continui a colpire chi vuole assistere in pace al concerto, lui mi risponde così. Dall’alto del suo ‘un metro e un succo di frutta’, non riesce nemmeno a sventolarla senza darla in testa alla gente. Ma è quello che vuole: costringere tutti ad allontanarsi per prendere possesso di piazza Garibaldi, occupare lo spazio antistante al palco.
Attorno a lui, a infondergli coraggio e a fare dei suoi occhi a palla uno sguardo sprezzante, altri ultrà, non saprei dire se Boys. Tutti rasati, tutti con il giubbottino di nylon nero. Tutti poco più alti di un ragazzino delle medie nonostante di anni ne abbiano ben più del doppio. Nel cuore di Parma, nel 70° della Liberazione, un distillato becero e prepotente di fascismo.
Perché quando lascio andare la sua bandiera, lui ricomincia volontariamente a usarla per colpire chi gli capita a tiro. E come lui fanno un’altra cinquantina di stronzi, suoi compagni.
Sono arrivati a metà spettacolo, quando Cristina Donà ha già lasciato il palco agli Statuto. Poveretti, gli Statuto: pur di attirare del pubblico hanno chiamato a raccolta gli ultras dedicando il concerto a Matteo Bagnaresi, parmigiano morto nel 2008 nel corso di scontri tra “tifosi”. E infatti le bandiere usate per far male inneggiano a lui. Nel nome di un ragazzo morto nella follia della violenza, si provoca e si cerca la rissa. Nel giorno della Liberazione, dei fantocci vestiti di nero fanno i prepotenti, minacciano. “Noi vi spacchiamo il culo”, “Vaffanculo”, “Andate a fare in culo”: rime baciate per tutti, anche per le ragazze.
La rissa è nell’aria. Sta per scoppiare. Adesso arriva. Sicuro.
Invece nell’aria ci finisce la chimica rossa e amara di un paio di fumogeni: William Wallace e i suoi Bravehearts li accendono come ennesimo gesto intimidatorio. Piuttosto che respirare quello schifo, la gente civile se ne va. Hanno vinto loro, affumicati. Abbiamo perso tutti. Godetevi il concerto e buon 25 aprile.
di Fabio Manenti
Non capisco la polemica contro gli Statuto: questi “poveretti” fanno musica da 30 anni e non han bisogno di chiamar nessuno, visto il seguito che hanno (molte persone sono venute da altre città, tipo me).
Poi, i fumogeni non erano un’intimidazione. Sono stati accesi all’inizio della canzone “Un ragazzo come me”, scritta proprio per Matteo Bagnaresi e i ragazzi sotto al palco hanno anche alzato uno striscione a lui dedicato. Un modo per ricordarlo. Tre minuti, nessun intossicato e la gente è rimasta lì a cantare e ballare.
La rissa a fine concerto, quella sì è stata una brutta di una bellissima serata. Anche il modo in cui ti han risposto, ovviamente.