Dell’Utri amico mio, Dell’Utri amico nostro: il senatore tra Milano e Brancaccio

IL FONDATORE DI FORZA ITALIA E LA CONDANNA PER MAFIA: ECCO PERCHÈ NON PUÒ ESSERE UN "PRIGIONIERO POLITICO"

Marcello_Dell_Utri_3Negli ultimi mesi, la mafia ha ricevuto due forti segnali. La Procura generale di Caltanissetta ha chiesto di sospendere l’esecuzione della pena nei confronti di Marcello Dell’Utri, ex braccio destro di Silvio Berlusconi, attualmente in carcere per concorso esterno in associazione mafiosa.

La richiesta dei magistrati giunge dopo l’annullamento degli effetti della condanna all’ex numero tre del Sisde, Bruno Contrada, da parte della Corte Edu; in quel particolare caso i giudici di Strasburgo avevano stabilito che il reato di concorso esterno, all’epoca dei fatti contestati al dirigente di Polizia, non era parte del nostro codice penale poiché frutto di un’interpretazione giurisprudenziale.

Quindi Contrada non poteva essere punito.

Secondo l’ex magistrato Giancarlo Caselli la pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo rappresenta l’antipasto prima del piatto forte: l’annullamento della condanna anche per il cofondatore di Forza Italia.

Non sappiamo se Dell’Utri uscirà prima del tempo da Rebibbia, però possiamo ricordare a tutti noi e a tutti quelli che lo celebrano come un “prigioniero politico” o un “martire” i principali fatti per cui è stato condannato in via definitiva a sette anni di carcere.

Nel 1974 Silvio Berlusconi confida a Marcello Dell’Utri il timore che la sua famiglia possa essere oggetto dei numerosi sequestri di persona che a quel tempo c’erano in Lombardia; così il braccio destro del giovane imprenditore milanese si mette subito all’opera per cercare protezioni. Viene organizzato un incontro a Milano al quale partecipano da un lato Berlusconi e Dell’Utri e dall’altro Stefano Bontate, Mimmo Teresi, Gaetano Cinà e Francesco Di Carlo, vale a dire il gotha di Cosa Nostra. Il meeting si conclude con l’assunzione del boss di Porta Nuova, Vittorio Mangano, il quale, sotto le mentite spoglie dello ‘stalliere’, si trasferisce a Villa San Martino. Più che occuparsi di cavalli, Mangano si occuperà del Cavaliere. Un servizio di protezione che a Berlusconi costa ingenti somme di denaro: “i soldi – scrivono i giudici di Cassazione – venivano materialmente riscossi a Milano presso Dell’Utri da Gaetano Cinà che provvedeva a recapitarli a Stefano Bontate”.

Dopo che i giornali riferiscono della presenza di un boss a casa Berlusconi, Mangano lascia Arcore e pochi mesi dopo anche Dell’Utri decide di abbandonare il Cavaliere per trasferirsi a lavorare alla Inim di Rapisarda, imprenditore legato a Don Vito Ciancimino. In questo periodo, Dell’Utri partecipa al compleanno del boss di Catania Antonio Calderone e al matrimonio di Jimmy Fauci, un narcotrafficante legato a Cosa Nostra. Dopo l’uccisione di Stefano Bontate, Berlusconi viene bersagliato da richieste estorsive da parte della mafia di Totò Riina, così Dell’Utri viene richiamato all’ovile poiché considerato l’unico “intermediario” capace di stemperare le pretese di Cosa Nostra. Fininvest paga il pizzo alla mafia siciliana per la protezione delle proprie antenne televisive in Sicilia e dei magazzini Standa a Catania. Il rapporto con il gruppo Berlusconi è fondamentale per i boss siciliani poiché rappresenta un canale privilegiato con Craxi al fine di “costituire un referente politico alternativo alla Democrazia Cristiana”.

MAFIA: ALFANO, FORZA ITALIA MAI AVUTO CONTATTINegli anni Novanta, Dell’Utri mantiene i contatti con Cosa Nostra fino alla fine del 1992 “assicurando – si legge nella sentenza – un costante canale di collegamento tra i partecipi del patto di protezione stipulato nel 1974 e garantendo la continuità dei pagamenti di Silvio Berlusconi in favore degli esponenti dell’associazione mafiosa in cambio della complessiva protezione da questa accordata all’imprenditore”. Ed è proprio qui che si annida il reato di concorso esterno, vale a dire il do ut des: i rapporti con Cosa Nostra sono stati il motivo della rapida carriera di Dell’Utri nel gruppo Berlusconi proprio perché fungeva da mediatore con i clan, viceversa i boss hanno potuto instaurare e preservare con Fininvest un “rapporto parassitario che si è protratto per due decenni.”

Dopo il 1992 i giudici non sono riusciti a trovare sufficienti elementi per confermare che tali rapporti siano continuati. Nelle agende della segretaria di Dell’Utri, sequestrate dai magistrati, risultano segnati due incontri a Milano con Vittorio Mangano nel novembre del 1993. Secondo l’ex senatore era un omonimo del boss invece per i magistrati di Palermo era proprio ‘lo stalliere’ che, da quel momento, avrebbe svolto la funzione di collegamento tra la mafia e Berlusconi al fine di stringere un patto con Forza Italia: supporto elettorale in cambio di leggi a favore. Le frasi shock del boss Giuseppe Graviano, che hanno portato il Cavaliere e Dell’Utri all’iscrizione sul registro degli indagati, confermerebbero questa ricostruzione; seguiremo i risultati dell’indagine.

Alla luce di tutto ciò, possiamo ancora pensare che Dell’Utri sia vittima della mala giustizia o di un complotto comunista? Oppure che sia addirittura un “prigioniero politico” tipo Gramsci o Nelson Mandela? I fatti per cui è stato condannato smentiscono questa tesi e rendono più granitico il ritratto che aveva disegnato Montanelli: “Dell’Utri è un uomo colto … soprattutto sul fatto”.

di Mattia Fossati

 

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