Domande esistenziali importanti: cosa c’è nel mio kebab?
TRA LEGGENDE METROPOLITANE E RICETTE TRADIZIONALI
In un mondo ormai fortemente globalizzato, culture diverse si incontrano e si mescolano dando origine a nuovi sapori. Il vecchio continente accoglie ormai una varietà culinaria pressoché infinita grazie alla confluenza di tradizioni straniere. Dalla Turchia arriva, ad esempio, uno dei cibi da strada più apprezzati: il kebab.
Il prezzo accessibile, che si aggira intorno ai 3-4 euro, fa da facile leva per gli appassionati dello street food. Ma per chi sospetta della carne a basso costo?
Le leggende metropolitane raccontano che nel kebab ci siano budella, occhi e ossa di vari animali. Dai video reperibili sul web è possibile vedere il trattamento della carne. Il kebab risulta essere una sorta di pasta di carne che prende la forma di un cilindro grazie alla sua lavorazione. La questione igienica, poi, è motivo di remore per molti dei possibili consumatori. I punti vendita del prodotto appaiono spesso fatiscenti e il sospetto di una scarsa pulizia, e di conseguenza di una bassa qualità della carne, si sedimenta tra gli scettici.
Per sfatare ogni sospetto e pregiudizio basta, però, chiedere. In via D’Azeglio sono numerosi i locali che vendono kebab, tutti rispettando le direttive della ricetta tradizionale. Le diverse cucine interpellate hanno in comune la materia prima: pollo e tacchino, gli ingredienti base della specialità turca.
“Ognuno può condire la carne come preferisce, noi usiamo spezie e aromi vari, un po’ come tutti in realtà”, così spiega Said, proprietario di uno dei locali più noti a Parma che vende la specialità. “Quando poi facciamo il piatto la differenza sta nei condimenti che la gente mette, dalle salse ai contorni che da noi sono sempre freschi”. Un piatto quindi ricco e intriso di storia e gusto, che ci giunge attraverso le immigrazione del Medio Oriente e che si espande tra scetticismi e fiduca, tra tradizione e cambiamento, adempiendo al primo degli imperativi della cucina: sedurre ogni tipo di palato, anche quello straniero.
La carne, infatti, arriva da ogni parte del mondo. I fornitori dei cilindri, composti da rondelli disossati di pollo e tacchino impilati uno sull’altro e poi cosparsi di olio sale e spezie, vengono dalla ‘madre patria’ Turchia, dalla Dunya Doner Kebab, dalla Germania, e persino da Reggio Emilia. Risulta quindi riconosciuta e ben controllata l’origine della carne che in alcuni casi può anche essere di montone. I pezzi congelati vengono consegnati due o tre volte alla settimana e conservati a -18 gradi per garantirne il mantenimento.
Per la cottura, di contro, servono temperature altissime e prolungate, tre ore circa. Ogni giorno vengono scongelati dai 2 ai 4 pezzi, per una media di 60/70 kg di carne. Ma nel caso in cui questa avanzi? Una volta cotti il pollo e il tacchino eccedenti vengono conservati in frigo per essere riutilizzati il giorno seguente. Di norma ci si aspetterebbe che il cibo sovrabbondante venga buttato nell’organico, ma a che pro gettare della carne cucinata e intatta? In casa non lo faremmo di certo. Le cucine prevedono un consumo accorto della carne giornaliera, i cilindri di 15 kg al pezzo vengono scongelati solo in funzione di un sicuro consumo e, nel raro caso di esubero, i possibili avanzi conservati in condizioni ottimali. Solo quando la carne è a rischio di alterazione viene gettata nell’organico, come ogni buona norma igienica prevede. Questo l’usuale processo di preparazione e conservazione del leggendario kebab.
Per confutare, o avere conferma, ogni possibile sospetto, c’è ancora una domanda da porsi: “E le condizioni igieniche dei locali?”. Appresa l’origine e il modo di trattare la carne le esitazioni che destano i ‘kebabbari’ non sono ancora del tutto vinte per i più diffidenti. Giovanni Munaò, dirigente tecnico della prevenzione dell’ASL di Firenze, spiega che un’attività alimentare per aprire ed operare deve rientrare negli standard previsti dal REG. Ce 852/04 ed in generale in una serie di normative stabilite dalla Comunità europea che rientrano nel nome di ‘pacchetto igiene‘. Deve poi ottemperare ad aspetti infrastrutturali minimi e predisporre e mantenere una o più procedure basate sul sistema HACCP. Obbligatorie sono le procedure per il controllo degli infestanti ( es. blatte e topi) e per la rintracciabilità lungo tutta la filiera. Altre procedure ( es. pulizia o ricevimento materie prime) devono essere approntate ed applicate in modo documentato solo se necessario.
I locali che vendono Kebab devono avere tutte le caratteristiche di qualsiasi altro locale, come bar con preparazione o ristoranti, mentre i negozi mobili o i chioschi hanno delle deroghe. Forse è proprio questo l’origine del sospetto e del pregiudizio del kebab: l’assenza di considerazione e dignità conferita a un’attività che non ha nulla di meno di un’altra, italiana.
“Nella mia esperienza non non mi risulta nessun caso particolare relativo alla vendita di kebab, generalmente rientrano nella casistica di tutti gli altri esercizi” afferma Giovanni Munaò, sfatando ogni falso mito di fatiscenza relativo al kebab e al suo venditore. “In caso di inadempienza – continua il dirigente tecnico – noi possiamo agire su tre livelli: in caso di inadeguatezze, prescrizione ai sensi dell’art. 54 del Reg. Ce 882/04, richiediamo operazioni di pulizia, integrazione o riparazione; attraverso sanzioni in caso di non conformità (di solito di 1000 o 2000 euro nei casi più comuni) ai sensi del D.Lgs 193/07 o, meno frequentemente, con sanzioni penali; ed infine imponendo la sospensione o chiusura dell’attività. Chiaramente le misure sono proporzionate alla gravità, il sistema prevede una categorizzazione cosidetta ‘risk-based’: chi ha avuto esiti non favorevoli viene controllato con una frequenza più ravvicinata.”
Per quanto concerne i prodotti importati da paesi extracomunitari sono tutti controllati ai posti di ispezione frontaliera presenti sia in Italia che negli altri paesi europei. Le materie prime introdotte in Italia da Paesi comunitari sono, invece, controllate a campione mediante l’UVAC che stila un programma annuale (ufficio adempimenti comunitari) che si appoggia all’ASL. Si tratta di controlli inerenti ad ogni aspetto, dalle etichette al confezinamento e a volte si eseguono anche campioni di laboratorio.
Attraverso dei programmi annuali di controllo basati sulla categorizzazione del rischio è quindi garantito un controllo della qualità e dell’igene per ogni attività, kebab compreso. Nel caso di segnalazioni ‘private’ da parte dei clienti vengono eseguiti dei controlli cosidetti “ad Hoc” .
“Per quanto riguara il kebab è un prodotto a base di carne, da un punto di vista normativo è nella stessa categoria dei salami, dei prosciutti o delle spinacine, nulla di più.”
di Vittoria Fonzo e Rim Bouayad
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