Cannabis light nelle tabaccherie di Parma: legale o ancora no?

DISINFORMAZIONE E SCETTICISMO, MA QUALCUNO LA TIENE GIA' SUGLI SCAFFALI

Chi non la vende, chi non sa nulla, chi addirittura non ne vuole sapere: questa la posizione assunta dalla maggior parte delle tabaccherie di Parma circa la questione cannabis light legale. Un tema di cui sentiamo parlare ormai da qualche mese ma su cui ancora non è stata fatta chiarezza. Anzi, come spesso accade in Italia, a regnare è la totale mancanza di informazione. Non si sa cosa fare né tanto meno cosa pensare. “Un argomento delicato” afferma Bruno Brenta, responsabile della Fit, Federazione italiana dei tabaccai, per la provincia di Parma, senza tuttavia volersi o potersi esporre troppo.
Ma di che cosa si tratta nello specifico? Nulla che possa essere considerato una droga e niente che risulti essere illecito. Legalizzata nel 2014, messa in commercio a partire dal 14 gennaio 2017 dopo l’entrata in vigore della legge in virtù della bassissima concentrazione di thc, inferiore allo 0,2 % come stabilito dal decreto, la marijuana light non è una sostanza psicotropa. Ma nonostante questo, sono ancora tanti i pregiudizi nutriti attorno alla questione, in particolar modo da parte dei titolari più anziani che non ne vogliono assolutamente sapere di elargire, nel proprio negozio, un prodotto stimato come droga a tutti gli effetti. Ma se usufruirne non è considerato un reato, perché mai la vendita nelle tabaccherie dovrebbe esserlo?

TABACCAI INCERTI – Una proposta di vendita è già stata loro offerta, rifiutata in partenza da molti, indugiata da altri. Regolare o ancora no? In tanti se lo chiedono, ma piuttosto che correre rischi si preferisce rimanere nell’ombra e non fare mosse azzardate. “Aspettare norme che ne ufficializzino la vendita“: questa la dichiarazione dei più, anche per via della posizione nettamente a sfavore su cui si è sbilanciata proprio la Fit che ha parlato di “prudenza e responsabilità” per bocca del presidente Giovanni Risso. Lo stesso Brenta ha fortemente consigliato a tutte le tabaccherie presenti nel territorio di Parma di aspettare a intraprendere uno scambio che potrebbe avere pesanti ricadute dal punto di vista lavorativo. “Noi titolari delle tabaccherie – sostiene – dobbiamo assolutamente attenerci a quanto detto dallo Stato in modo da non rischiare quella che potrebbe comportare la sospensione dell’attività.”
Ma la Fit non è la legge. Ed è chiaro che in un quadro di questo tipo emerge anche chi, invece, anche a Parma si discosta dalle dicerie comuni e già la tiene all’interno del proprio tabacchino, senza avere problemi ad esibirla sul mercato: “E’ legale – afferma il proprietario – non c’è alcun motivo per cui non dovrebbe essere valutata come tale. Avendo un thc così basso non risulta essere una droga. Per di più, sulla confezione è riportata la dicitura ‘vietato fumare‘. Si tratta di un prodotto che non può essere destinato al fumo.”
Se, però, nella provincia di Parma ancora sono pochi, anzi pochissimi, coloro che la vendono, maggiori sono le tabaccherie a Roma o Bologna che, a partire da marzo 2018, hanno già aderito all’iniziativa, seppure con qualche problema. Sono, infatti, più di uno i casi in cui nel territorio di Bologna sono state somministrate multe ai titolari di tabaccherie con in vendita cannabis light. E ancora una volta ci troviamo davanti ad una mancanza di fonti attendibili: alcuni dicono si tratti solo di un controllo volto ad esaminare la natura della sostanza, altri parlano di conseguenze lavorative e giudiziarie.

EASYJOINT FA CHIAREZZA – Primo protagonista di questa battaglia per la legalizzazione è stato senz’altro Luca Marola, titolare della società Easyjoint, che per prima ha portato la cannabis light sul mercato italiano, aprendo nuove porte a un argomento ancora ‘tabù’.

Nata nel maggio 2017, e prima ad affrontarne le beghe legali, Easyjoint non ha venduto cannabis light alle tabaccherie né vuole farlo in futuro sposando l’idea di una filiera responsabile che possa fornire ai consumatori le giuste informazioni. Una scelta anche in previsione di una possibile e futura legalizzazione della marijuana.

“La cannabis light – spiega Marola – esiste da quando l’abbiamo presentata il 12 maggio scorso alla fiera di Bologna. Sono stati i nostri concorrenti a proporre alle tabaccherie prodotti simili al nostro, che nella maggior parte dei casi però non sono conformi alla normativa. I nostri prodotti hanno un Thc inferiore alle 0,2%, che è il limite massimo che va a definire la canapa agricola o industriale, e in più provengono da coltivazioni fatte in Italia i cui semi sono contenuti nell’elenco europeo delle varietà coltivabili. I nostri concorrenti non hanno prodotti italiani come quello che abbiamo noi, che interpretiamo la legge in maniera più rigorosa possibile. Il nostro obiettivo, infatti, non è dare una svolta alle nostre vite, dato che prima avevamo già tutti un lavoro, ma è quello di far in modo che esista un mercato riconosciuto per quanto riguarda la canapa e la sua commercializzazione”.

Nella maggior parte dei casi, invece, si tratta di prodotti di importazione svizzera il cui Thc non è inferiore allo 0,2% ma allo 0,6%, realizzati con semi le cui genetiche e varietà non presenti nell’elenco ma frutto di incroci. “Se il prodotto  – continua Marola – nasce con queste due problematiche e viene proposto a tabaccai che conoscono poco la materia e hanno poca sensibilità semplicemente perché fanno un altro lavoro, questo crea un potenziale cocktail esplosivo. Poi c’è addirittura chi non fa fattura per spezzare la tracciabilità così da non permettere di risalire  alla fonte”.

Anche se le avvertenze sulle confezioni dicono il contrario, nelle tabaccherie la cannabis light viene inoltre interpretata come una sostanza succedanea al tabacco da fumo: un altro problema perché affiancherebbe la cannabis legale ai prodotti su cui vige la legge dei monopoli di Stato.
“Dove c’è l’avidità e la ricerca del soldo facile – continua Marola – fra cui il tabaccaio che cerca di avere la cannabis light quando ancora non è possibile e l’importatore non conforme, unita alla mancanza di una normativa certa sulla commercializzazione, allora che si spiega tutto ciò che sta accadendo.
Sarebbe bello che, dato che questo mercato l’abbiamo inventato noi, chi cerca di farci concorrenza almeno rispettasse le stesse regole”.

 

di Nicole Bianchi e Rim Bouayad 

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