Fiammetta Borsellino: “Italia, un Paese dove c’è molto da nascondere”
LA FIGLIA DEL MAGISTRATO INCONTRA LA 'SOPRAVVISSUTA' DI PIZZOLUNGO A PARMA
Due vite spezzate dalla mafia. Due vite che ancora aspettano verità e giustizia. Da un lato Fiammetta, figlia più piccola del magistrato Paolo Borsellino, e dall’altro Margherita, alla quale la strage di Pizzolungo ha portato via la serenità dell’infanzia oltre alla mamma e ai due fratellini.
È questo il filo conduttore che ha legato l’incontro organizzato da Libera Parma al Centro Giovani Montanara lo scorso 8 novembre, moderato dall’avvocatessa Vincenza Rando, responsabile dell’ufficio legale di Libera. Un modo non solo per far avvicinare i più giovani al tema delle mafie, ma anche per far passare un messaggio: le mafie ci danneggiano anche se non ci colpiscono direttamente.
Lo spiega la stessa Fiammetta Borsellino all’incontro: “La lotta alla mafia non può essere delegata solo ad alcune persone, perché a pagarne le conseguenze siamo tutti”. Ecco quindi perché è indispensabile prendere una decisione: scegliere da che parte stare. E gli esempi da seguire, come ribadisce la figlia dell’eroe di via d’Amelio, non sono solo Falcone e Borsellino ma anche e soprattutto “quella fila di agenti di polizia che dopo la strage di Capaci si era presentata alla porta della nostra casa perché volevano fare la scorta a mio padre”. Sapevano che il giudice era nel mirino di Cosa Nostra ma nonostante tutto non hanno esitato nel mettere a repentaglio la propria vita per un fine alto. “L’importante è che l’impegno di mio padre sia presente ancora oggi”, constata Fiammetta.
La figlia più piccola di casa Borsellino accenna anche al suo incontro in carcere con Giuseppe Graviano, boss di Cosa Nostra ritenuto responsabile assieme ad altri esponenti della Cupola della strage di Via d’Amelio: “Il mafioso non è un nemico da combattere. È una persona che ha avuto un altro processo di educazione imposto dalla sua famiglia. Non sono dei mostri. In carcere mi sono trovata di fronte a dei relitti umani che non vivono“.
DA VIA D’AMELIO A PIZZOLUNGO – Un impegno che non è solo legato al contrasto al fenomeno mafioso ma anche del ricordo di chi è caduto per mano della mafia. Come ha fatto Margherita, la cui vita è stata deviata per sempre il 2 aprile 1985, quando un’autobomba carica di tritolo destinata al sostituto procuratore Carlo Palermo venne fatta esplodere nel lungomare di Trapani. Il magistrato riuscì a salvarsi ma Barbara Rizzo e i suoi due figli che stava accompagnando a scuola, no. A casa restano in lutto il marito e la figlia 11enne Margherita.
Quell’adolescente, una volta diventata donna, si è battuta affinché il luogo della strage non venisse dimenticato. Combatté persino quando un’azienda privata voleva costruirci uno stabilimento balneare e ricorda ancora oggi una delle frasi che le disse il Prefetto di Trapani. “Signora, Pizzolungo non è via d’Amelio”. Come dire che esistono stragi di serie A e di serie B. “Quando sento discorsi del genere – commenta Margherita – mi chiedo cosa sono morte a fare quelle 900 persone che ogni anno il 21 marzo celebriamo”.
LA REPUBBLICA DELLE STRAGI – Il fil rouge che lega la strage di via d’Amelio con quella di Pizzolungo non è solo il dolore dei parenti. È il senso di vuoto che hanno lasciato i due attentati. Un vuoto incolmabile, perché a distanza di oltre vent’anni non abbiamo ancora raggiunto la verità. Non c’è nelle aule di giustizia, come testimonia la sentenza di assoluzione sulla strage di Pizzolungo, per quanto riguarda gli esecutori materiali. Oppure, ben più famoso, è il complesso iter processuale sull’omicidio di Paolo Borsellino.
Quattro processi e ancora poche certezze. Una su tutte, come ha illustrato a margine dall’incontro la stessa figlia del magistrato: “E’ stato uno dei più grandi depistaggi della storia del nostro paese. Sono stati fatti falsi processi grazie a poliziotti e schiere e schiere di magistrati che hanno creduto al falso pentito Scarantino”. E alcune delle figure a cui erano affidate le indagini avevano rapporti con i servizi segreti. “Il punto è che abbiamo scoperto tutto questo oggi. Aver saputo tutto questo 23 anni dopo ha compromesso per sempre la comprensione della verità”.
Non siamo solo il paese di Via d’Amelio o della strage di Pizzolungo. Siamo anche il paese della strage di Piazza Fontana, del treno Italicus, di Piazza della Loggia e della bomba alla stazione di Bologna. Una serie di attentati uniti da un fattore comune: il depistaggio delle indagini da parte di uomini dei servizi segreti. La domanda è legittima: perché si è cercato di coprire i mandanti e gli esecutori materiali di queste stragi? “Questo è un paese – spiega Fiammetta al termine dell’incontro – che da sempre vive un forte livello di corruzione e apparati dello Stato lavorano contro di esso. In questo contesto, molte stragi e uccisioni magari contro persone che vogliono scardinare sistemi d’illegalità, è possibile che vi siano delle complicità con uomini dello Stato”. Poi aggiunge: “L’odio e la cattiveria che avevano i mafiosi contro mio padre è servito ad altri“.
“Siamo stati un Paese dove c’è sempre stato molto da nascondere – conclude Fiammetta Borsellino – un Paese, però, che vive nella menzogna non può crescere sano. Per questo non possiamo smettere di cercare la verità sulle stragi”.
di Mattia Fossati
Scrivi un commento