Parma e il riscatto dalla mafia: 22 beni sottratti hanno ora valore sociale
PARMA E PROVINCIA VINCE IL TRISTE PRIMATO PER MAGGIOR NUMERO DI BENI CONFISCATI ALLA MAFIA IN REGIONE. IL RISCATTO E' PERO' POSSIBILE
Nel 2019 Parma è stata selezionata come la provincia con il maggior numero di beni confiscati alla mafia in regione. Risultato con duplice valenza: positiva e negativa, dal momento che sì, sono stati rinforzati e incrementati i lavori in questo senso, tuttavia i problemi ci sono e persistono ancora ampiamente. “Parma e la provincia, come tutta l’Emilia Romagna, è una terra ricca e appetibile e come tale potenzialmente infiltrabile e infiltrata anche consistentemente dalle associazioni mafiose, come hanno dimostrato il processo Aemila e l’operazione Stige. Non è una terra di presenza mafiosa in termini classici del controllo del territorio, come avviene al sud, ma è appetibile soprattutto per il reinvestimento di proventi” commenta infatti il comandante provinciale della Guardia di Finanza di Parma, Gianluca De Benedictis.
SITUAZIONE ATTUALE – Ad oggi nel territorio parmense sono 22 i beni immobili confiscati che sono stati ridestinati ad altre funzioni. A Salsomaggiore un’unità immobiliare e un terreno agricolo sono stati trasferiti al patrimonio degli enti territoriali per scopi sociali. Le due proprietà sono oggi gestite dal Parco Fluviale Regionale dello Stirone per migliorarne gli aspetti logistici, organizzare visite didattiche e culturali e per la costruzione di strutture adibite al recupero della fauna selvatica. A Langhirano, 3 unità immobiliari e un terreno agricolo dal 2009 sono passate dalle mani di Giuseppe Cabassa, boss legato al contrabbando di sigarette, a quelle dell’associazione Libera. Con l’aiuto della Regione, l’associazione ha trasformato questi immobili in condomini destinati a persone e famiglie in difficoltà. A Berceto, invece, sono stati sottratti a Vincenzo Busso 2 terreni e 3 unità immobiliari. Nel 2009 Busso era stato arrestato per riciclaggio di denaro legato al traffico di droga e poi investito in attività immobiliari. I beni confiscati ora appartengono all’Associazione Fantasia ONLUS che, dal 2015, ne ha fatto un centro civico per bambini e anziani. Vanno poi citati i comuni di Medesano e Sorbolo. Nel primo, 2 immobili sottratti alla mafia sono stati destinati agli enti territoriali per scopi sociali. Mentre a Sorbolo, il 24 ottobre 2019 un’azienda per il commercio all’ingrosso è stata liquidata.
Anche Parma non è esente. Nel comune un’unità immobiliare e un magazzino sono stati adibiti ad uso governativo nel 2018, e sono stati poi consegnati ai Carabinieri. In alcuni casi, invece, gli immobili – 4 a Parma, 2 a Medesano e 1 a Noceto – sono stati venduti per risarcire i creditori vittime dei clan. A questi sono da aggiungere tutti quei beni del parmense in gestione all’ANBSC, l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Si tratta di 10 aziende e 188 immobili, molti dei quali a Sorbolo, ancora in attesa di una nuova destinazione dopo il maxi sequestro della primavera 2019 ai danni del clan Grandi Aracri. Il clan è responsabile di riciclaggio, usura, sequestro di persona, estorsione ed emissione di fatture inesistenti.
IL RECUPERO DEI BENI – La procedura per ridestinare i beni sottratti alla mafia alla comunità è lunga. I beni immobili possono diventare patrimonio dello Stato per finalità di ordine pubblico, giustizia o protezione civile; possono essere destinati all’amministrazione, all’università o a istituzioni culturali ed enti pubblici. Infine, possono essere venduti per risarcire le vittime dei reati. La soluzione maggioritaria è però quella che trasferisce il bene al patrimonio del Comune, provincia o regione di provenienza per finalità istituzionali o socio-economiche con l’obbligo di reimpiego dei guadagni nel sociale, senza scopo di lucro. Per quanto riguarda le aziende, si procede invece con la liquidazione, la vendita o l’affitto della proprietà a società pubbliche o private, oppure a cooperative di lavoratori dipendenti dall’impresa confiscata. Una procedura diversa disciplina invece i beni mobili. Questi possono essere distrutti (il 19% dei beni) in caso di inutilità pratica, venduti (23%), trasferiti gratuitamente al corpo nazionale dei Vigili del Fuoco oppure utilizzati per attività statali e quindi assegnati a organi statali, enti territoriali o associazioni di volontariato.
I beni vengono poi ridestinati solo quando la confisca è definitiva– ovvero quando il bene è consegnato all’Agenzia Statale per i Beni Confiscati dopo il processo – e dopo che la verifica per la presenza di creditori vittime della mafia sia risultata negativa, procedura che può volere anche anni. Una volta accertati questi requisiti, le informazioni e i documenti relativi all’immobile vengono messi a disposizione delle amministrazioni legittimate a chiedere l’assegnazione. Dopo che le amministrazioni manifestano il loro interesse, la scelta della ricollocazione spetta al consiglio d’amministrazione dell’Agenzia. “Le tempistiche di riconversione dipendono quindi dall’esito del procedimento penale quando un bene è sequestrato ma non è ancora confiscato. – spiega il comandante provinciale della Guardia di Finanza di Parma, Gianluca De Benedictis – Certi processi sono molto complicati e richiedono diversi anni prima di concludersi, altre volte invece l’Agenzia può assegnare i beni sequestrati in via preventiva e quindi il procedimento è molto più celere”.
Per questi motivi in Italia c’è il rilevante problema nella destinazione dei beni dopo la confisca, a seguito della quale molti rimangono nelle mani dell’Agenzia. “Questo problema è nazionale, quindi riguarda anche Parma – continua De Benedectis- perchè ha a che fare con la gestione tecnica, organizzativa e con la normativa. Non ci sono grandi soluzioni se non qualche modifica normativa che consenta all’Agenzia di essere più snella nell’assegnazione dei beni e soprattutto nella garanzia che quel bene poi possa essere utilizzato fino in fondo. E’ dell’anno scorso una riforma che immette personale specializzato nell’Agenzia, vedremo se sarà efficace”.
IL CASO DI SORBOLO – Sorbolo è risultato negli ultimi anni il comune parmense che ha registrato il maggior numero di confische, tra cui un intero quartiere. Tuttavia, nonostante la quantità rilevante di immobili sequestrati nel territorio, il Comune non era consapevole della pensante infiltrazione della ‘Ndrangheta. Nemmeno la situazione della vicina Bresciello ha fatto scattare il campanello d’allarme nella cittadinanza. Brescello, infatti, nel 2016 è stato sciolto per infiltrazioni mafiose, dopo un maxi sequestro. A dicembre 2018 il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha partecipato a Sorbolo alla cerimonia di consegna alla Guardia di Finanza di un immobile confiscato alla criminalità organizzata. L’edificio, sequestrato nell’ambito del processo Aemilia, è stato destinato ad alloggi di servizio per i finanzieri.
L’infiltrazione mafiosa secondo il sindaco di Sorbolo Mezzani, Nicola Cesari, è una conseguenza della crisi del 2008: “La crisi economica mise in condizioni i costruttori di doversi avvalere di persone che erano coinvolte nella mafia, anche se la versione definitiva di come sono andate le cose si saprà solo alla fine del processo”. La comunità, ferita sicuramente dalla presa di coscienza della presenza mafiosa nel proprio territorio, ha però ricevuto una grande lezione: ” Noi abbiamo fatto in modo che questa cosa fosse ancora più sentita tra la popolazione con delle campagne di sensibilizzazione perchè le persone da quì in futuro possano denunciare o capire un presunto caso di mafia e collaborare con il sindaco e con le autorità. Inoltre stiamo facendo tante iniziative anche con l’assessorato alla cultura e con Libera – che farà un presidio proprio a Sorbolo – con cui vogliamo immaginare come ricucire questo strappo – asserisce il sindaco – Secondo me i cittadini hanno una maggiore consapevolezza, anche se non è mai abbastanza perchè questi fenomeni se non ti toccano direttamente e personalmente. Sono ignorati dalle persone. Tutto quello che stiamo facendo invece insieme alla Guardia di Finanza lo fa capire alla popolazione. Infatti, rispetto ad alcuni anni fa, le segnalazioni sono molte di più“.
Naturalmente i processi in Cassazione sono molto lunghi, ma si pensa già che – una volta che i beni saranno definitivamente dichiarati ‘confiscati’ dallo Stato- si possa destinarli a finalità sociali. “Se quei beni rimanessero in via definitiva nelle mani dello Stato, faremmo richiesta per finalità di carattere sociale, ma soprattutto vogliamo condividere con i residenti di quel quartiere un progetto che possa essere un reale riscatto dello strappo che è avvenuto. Non sarà solo un progetto di carattere sociale, ma avrà anche risvolti legati alla sicurezza e alla legalità. Vogliamo dare più messaggi alla cittadinanza e creeremo un tavolo di lavoro con i cittadini, una comunity lab, dove tutti potranno dare un contributo per far diventare quel quartiere bandiera della legalità” conclude speranzoso il sindaco Cesari.
di Laura Storchi e Annachiara Magenta
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