L’ordinaria follia dell’Ordine dei Giornalisti

UNO SGUARDO DENTRO SE STESSI E UNO SUL MONDO

Luca MautoneUno di quei temi sul quale si riesce difficilmente ad aprire un dibattito è proprio quello che riguarda l’utilità dell’Ordine dei Giornalisti. Qualcuno lo definisce come una vecchia macchina burocratica sforna-tesserini (di ‘fascistissima’ origine, tra l’altro), qualcun altro ne prende le difese sostenendo che si tratti di un organo necessario per la tutela della professione.
Nei fatti concreti tuttavia, sono in pochi a sapere come funzioni l’Ordine e sono ancora più in pochi a porsi questioni sul senso dell’esistenza di tale istituzione.

Certo, se l’Ordine svolgesse il suo ruolo di garante nei confronti dei giornalisti tutto avrebbe quantomeno una logica, invece sono anni che sembra si vada avanti a chiacchiere. La ‘Carta di Firenze’ del 2011 doveva dare il via ad una seria lotta al precariato e alla crisi che ha coinvolto (e sta tutt’ora coinvolgendo) il mondo della stampa, invece pare che sia rimasto tutto sulla “carta”.

“Non sono in grado di trovare soluzioni, non faranno nulla” è quello che ognuno andrebbe a pensare. Ed invece ecco spuntare il DPR 137/2012. La norma in questione ha riformato l’Ordine trasformando la formazione in obbligo di legge.
Tradotto: corsi di formazione obbligatoria per tutti.
Indovinate: a vantaggio di chi?
Ovviamente di chi in quest’ambito, può permettersi di gestire un certo sistema.
Così facendo si favoriscono interessi di tipo corporativo, tagliando fuori chi tenta onestamente e con mezzi propri di accedere alla professione giornalistica.

Perché diciamolo: i corsi di formazione obbligatoria sono una follia. Una trovata completamente fuori dal mondo e fuori dai tempi, la barricata finale alzata dai soliti “amici degli amici” nel tentativo di sbarrare la strada a chi è fuori dal giro.
Altro che lotta alla precarietà, questo è ‘istituzionalizzare’ la precarietà.
Qualcuno potrebbe obiettare che avere dei corsi di formazione continua sia un modo per aumentare la qualità dei giornalisti.
Ma chi può accedere a questi corsi?
Innanzitutto, sono gratuiti solo i corsi che riguardano la formazione deontologica, che corrispondono a 1/4 dei crediti da acquisire nel triennio. I restanti 3/4 possono essere ottenuti tramite corsi che sono (nella maggior parte dei casi) a pagamento.
Oltre al danno c’è anche la beffa se si considera che, come nel caso dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia, questi corsi sono stati affidati, non a dei soggetti pubblici, ma a dei privati, come l’Università Cattolica e il Consorzio Iulm-Mediaset.
Perché invece non è stato provato ad aprire un tavolo con le università pubbliche, evitando di far arricchire i soliti noti?

Siamo poi sicuri che tutta questa formazione obbligatoria sia effettivamente utile?
Per rispondere si possono riprendere le parole di Antonio Padellaro, direttore del Fatto Quotidiano, durante l’incontro dell’11 dicembre all’Università di Parma: “Ma il giornalista su cosa si deve aggiornare? Spesso i docenti che tengono questi corsi sono personaggi ignoti agli stessi giornalisti. L’Ordine […] è un residuo del passato assurdo, inutile, costoso, vessatorio“.

Forse sarebbe il caso che si iniziasse seriamente a riflettere sul futuro di una professione che non deve scomparire. Aprire quella enorme scatola corporativa chiusa che è l’Ordine e riformare il giornalismo. Prima che sia troppo tardi.
E magari tenendo bene a mente che raccontare la realtà non deve essere un diritto di pochi eletti, ma di tutti coloro che hanno la forza, la bravura e la passione per raccontarla.

1 Commento su L’ordinaria follia dell’Ordine dei Giornalisti

  1. Concordo in pieno Luca, l’ordine è un carrozzone che non serve a nulla

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