Festival dello Sviluppo Sostenibile: quanto è importante il ‘diritto al futuro’?

DIRITTO, GIOVANI E TERRITORIO: ECCO I TEMI DEL PRIMO APPUNTAMENTO DEL FESTIVAL DELLO SVILUPPO SOTENIBILE A PARMA

Quanto è importante nelle nostre costituzioni il ‘diritto al futuro’? E perchè dovrebbe esserlo? Sono questi gli interrogativi protagonisti del primo incontro ufficiale del Festival dello Sviluppo Sostenibile a Parma. Un’edizione strana, che si è dovuta conformare alle nuove norme per la salute pubblica dettate dall’emergenza Covid-19, ma che non si è fermata e -anzi- tramite la modalità in streaming con la quale si può assistere agli eventi, è riuscita a far partecipare ospiti molto rilevanti.

Il tema della prima conferenza è il diritto transgenerazionale, ovvero ciò che lasciamo alle future generazioni: fondamentale perchè su questo si basano spesso i dibattiti sulle azioni da svolgere. Parlare di ambiente, di emergenza climatica, di azioni per la sopravvivenza della terra fa inevitabilmente percepire nella classe dirigente una perdita immediata – di profitto, di posti di lavoro – per la quale si decide di sacrificare l’orizzonte futuro, e quindi il mondo delle generazioni a venire, per garantire invece la sopravvivenza presente.

Protagonisti dell’evento sono Antonio D’Aloia, Professore all’Università di Parma, esperto di diritto amministrativo, di lavoro nella pubblica amministrazione e biodiritto, Lorenzo Fioramonti, ex Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e membro della Camera dei Deputati nel Parlamento Italiano. Marco Magnani economista, docente di Monetary & Financial Economics e di International Economics in LUISS e Senior Research Fellow in Harvard Kennedy School, collaboratore del Sole24Ore e autore di “Fatti non foste a viver come robot. Crescita, lavoro, sostenibilità”. Ha moderato il professore dell’Unipr, Alessio Malcevschi.

IL FUTURO NEL SISTEMA – D’Aloia interviene subito con numeri rilevanti che fanno percepire a che punto siamo. Solo 54 costituzioni su 197 contengono riferimenti alla sostenibilità e sono, per lo più, quelle stipulate recentemente di America Latina, Africa e dell’Europa post-comunista. Dagli anni ’70 in alcuni Stati la sostenibilità è giustiziabile, ovvero ci si può presentare davanti a un giudice per concretizzarlo. Questo scarso ‘successo’ sarebbe dovuto alla sfida che la stessa sostenibilità pone alla democrazia e all’economia: “Democrazia ed economia vivono il tempo del presente mentre dovremmo parlare del futuro. Vediamo la società divisa in generazioni ma non è tutto così schematico, il futuro lo vediamo sempre nei più piccoli, è sempre con noi”, afferma D’aloia.

Il professore condivide il termine che si usa in Francia per parlare di sostenibilità, la durabilité, ovvero la durabilità: i grandi principi devono essere duraturi, garantiti alle generazioni future. Il diritto alla sostenibilità quindi non ha solo un’accezione ecologica ma è la consapevolezza che ciò che si sceglie di fare ha conseguenze sul tempo e il luogo; e che questo diritto non ha solo l’ambizione di migliorare il futuro, ma proteggere e preservare sia il mondo che i diritti. “Se cominciamo ad occuparci del futuro, ad esempio realizzando i 17 goal dell’Asvis, non escludiamo il presente, anzi miglioriamo noi e i nostri sistemi”, conclude il professore.

In Italia qualcosa si è mosso, anche se il percorso è ancora lungo e complicato. A spiegarlo è Lorenzo Fioramonti. L’ex ministro racconta di quanto si è lavorato e lottato con Enrico Giovannini, portavoce dell’Asvis, per inserire la sostenibilità nella nostra Costituzione. Oltre a ciò si è lavorato anche per un sistema di public trust, che già è presente nei fiorenti Paesi nordeuropei, dove i cittadini stessi si rivolgono ai magistrati per bloccare opere e leggi che possono nuocere le generazioni future. “Purtroppo non si è riusciti nell’intento poichè nei sistemi odierni vige una legge che trae le sue origini dall’economia”: questo è il tasso di sconto ovvero l’idea che se una cosa crea beneficio oggi ma un danno domani a quest’ultimo devo togliere, nella valutazione, i vantaggi ottenuti nell’immediato. Ciò deriverebbe da una concezione sociale dove il presente ha un valore maggiore rispetto al futuro. “Sono in politica ma ogni tanto ho bisogno di riflettere sui temi davvero fondamentali per sfuggire alla mediocrazia e sondaggiocrazia che riempiono il presente. Questa è tutta finzione, mentre i problemi reali vengono avvertiti come in di altre ere geologiche”, dichiara Fioramonti.

Marco Magnani riflette sulla situazione di emergenza che stiamo vivendo oggi, di cui non vediamo ancora la fine anche se gli effetti si sono prepotentemente imposti su tutta la popolazione mondiale. Sei sono i grandi aspetti cambiati con il Covid. In primo luogo la geopolitica, perchè il virus uccide vecchi e malati non solo dal punto di vista umano, ma anche da quello istituzionale: l’OMS ha gestito male la situazione; l’Europa ha fatto fatica ad ingranare e il suo ritardo è costato molto agli Stati; l’Iran, il grande totalitarismo, si ritrova con tre fronti aperti tra l’emergenza sanitaria, la questione del petrolio e l’embargo nei suoi confronti.

Poi c’è la questione economica dove si ha contemporaneamente la crisi della domanda e quella dell’offerta e l’incertezza che si è profusa è estremamente dannosa per investimenti e consumi. C’è anche stato un aumento dei debiti sui quali però c’è incertezza sul tasso di cambio; inoltre la troppa liquidità emessa per far fronte a questa situazione creerà bolle. Fondamentale è poi il tema della globalizzazione che, negli anni, si è dimostrata tanto efficiente quanto poco resiliente e, soprattutto in questa occasione, ha dimostrato quanto un solo Paese in crisi possa far crollare la catena.

Poi c’è il tema della società: la classe media sta uscendo molto indebolita dal contesto perchè è la più colpita, si assiste poi a un aumento della disuguaglianza. Infine c’è la questione dell’innovazione tecnologica che si è resa assolutamente necessaria per fronteggiare l’emergenza; nonostante gli aspetti positivi però, questa velocità spiazza con il rischio concreto di un aumento della disoccupazione e dell’emearginazione per tutte quelle persone che non ne hanno accesso o che non hanno l’educazione adatta per usarla.

Per fronteggiare questa situazione, secondo Magnani, occorre una sostenibilità che sia verticale – quella intergenerazionale – ma anche orizzontale, ovvero che faccia riferimento allo spazio: “Le risorse devono essere sostenibili ambientalmente, ma anche socialmente”, afferma.

UN APPROCCIO COMPLESSO – Il professor Alessio Malcevschi pone un secondo spunto di riflessione: “La cultura umana – nell’approccio ai problemi – dovrebbe abbandonare la linearità per favorire la complessità, che è un elogio alla lentezza, in un mondo che va sempre più veloce?”

D’aloia afferma che il Coronavirus è stato il fallimento della sostenibilità, manifestatosi con la crisi della sanità -valore fondamentale per il futuro- sulla quale non si è mai investito. Ci ritroviamo oggi in una situazione imparagonabile alla quale la soluzione ‘semplice’ e ‘tradizionale’ ha portato a una richiesta enorme di liquidità ma, avverte il giurista, questa crea debito che è un’ipoteca per le generazioni future e ricorda le parole dell’ex presidente americano Jefferson: “La terra appartiene ai vivi in usufrutto”, ricordando come l’uomo nel suo presente debba custodire quello che ha per lasciarlo nel migliore dei modi a chi verrà dopo di lui. “La sfida ambientale, collegata a quella del Covid, richiede quindi la creatività e la forza dei nuovi inizi, come negli anni ’40 ci si era impegnati per ridisegnare l’Italia post-bellica. Forse non ci si riuscirà subito e ci sarà bisogno di consolidamento ma deve esserci lo spirito”, dichiara D’Aloia.

Secondo Fioramonti il virus non è una sfida per la sola sanità ma per tanti altri aspetti sociali quale, ad esempio, l’urbanistica. In questo caso la scienza odierna, seppur abbia portato a uno sviluppo notevole la condizione umana, non basta e bisogna arrivare a una nuova rivoluzione scientifica che porti i vari campi del sapere a collaborare: “Tutte le conoscenze sono utili a migliorare il mondo e la vita comunitaria”, afferma. Il punto di partenza è sicuramente la scuola perchè, come si è visto durante l’emergenza, il crollo di questa istituzione ha mandato in crisi tutti i settori (dai genitori, al mercato e le istituzioni). L’ex ministro porta come esempio la Nuova Zelanda che basa le sue azione su una sorta di ‘welfare dei bambini’. “Dobbiamo smettere di scaricare i problemi alle generazioni future e capire che il capitale umano e sociale è più importante di quello economico”, conclude.

Magnani invece dichiara che, a differenza di ciò che dicono molti, il sistema capitalistico liberale non deve essere rottamato poichè ha dimostrato di essere il migliore e si è adattato nei tempi. Quello che c’è da fare è aggiustarlo; come si è detto, puntare più sulla resilienza che non sull’efficenza e quindi sul rapporto costi e profitti. Ma come fare tutto ciò? Innanzi tutto, secondo Magnani, non ci può essere crescita economica senza una sostenibilità sanitaria perchè, come si è visto, un virus poco letale – rispetto a quelli che si sono succeduti nella storia dell’uomo – ha bloccato il mondo intero. In secondo luogo bisogna ripensare alla globalizzazione, riportando ‘a casa’ alcune produzioni strategiche, non con un approccio difensivo ma per rivalutare e valorizzare il territorio. Poi puntare su una green economy forte e offensiva, che preservi il territorio perchè si è dimostrato molto forte il legame tra riduzione della biodiversità e nascita della pandemia.

Un altro punto è raffonzare la rete solidale che si è creata nel momento dell’emergenza: l’Italia è riuscita a sopravvivere perchè la famiglie sono state solidali tra di loro, le imprese lo sono state nei confronti dei loro dipendenti e perchè abbiamo una potente tradizione associazionistica. Bisognerebbe portare ai massimi livelli la solidarietà anche internazionalmente con la cooperazione. E infine, appunto, la sostenibilità sociale molto importante in un contesto come questo dove la classe media ha perso potere, la disoccupazione dilaga e l’accelerazione tecnologica ci pone davanti interrogativi e incertezze. Magnani concorda con Fioramonti sull’importanza dei bambini ma ricorda che “questi non votano”.

In questo senso quello che propone l’economista non è una redistribuzione ma una predistribuzione del denaro cosicchè, dando del denaro iniziale ai giovani, questi lo possano usare in futuro per affrontare le difficoltà.

TERRITORIO PUNTO DI PARTENZA – In conclusione dell’evento, il moderatore richiama uno dei temi del quale si tratterà ancora durante il festival, ovvero il territorio, e chiede come possono avere un ruolo di rilancio e uscita dalla pandemia.

Secondo D’Aloia, questi sono fondamentali perchè sono terreni dove sperimentare e fare valutazioni sull’efficacia di una legge a favore della sostenibilità. Fioramonti sostiene che la località dà subito l’idea di concretezza e realizzabilità di un progetto; e aggiunge che nei paesi spesso si vengono a formare delle “alleanze tra i partiti che, mettendo da parte la loro ideologia, si preoccupano dei problemi veri di una comunità”. Magnani conferma affermando che tutte le imprese che hanno investito nel proprio territorio hanno ottenuto benefici e profitti, oltre al fatto che ‘fare rete’ tra piccole imprese locali è l’unico modo per competere con le multinazionali.

 

di Laura Storchi

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