Biblioteche alle prese con il Covid-19: tra chiusure e opportunità digitali
Ancora troppo poco conosciuti i servizi digitali bibliotecari. Un fondamentale servizio per l'informazione, oggi più che mai
In questo 2020 la pandemia da coronavirus e l’annessa situazione di emergenza sanitaria hanno travolto molti aspetti delle nostre vite, portando con sé notevoli cambiamenti, che si sono riflessi sulle istituzioni e in particolare sul comparto culturale.
Anche le biblioteche hanno dovuto chiudere le porte dopo l’entrata in vigore dell’ultimo Dpcm contro il Covid-19. A due esperti in materia, entrambi al servizio della nostra Università, abbiamo chiesto quali difficoltà stanno affrontando e come funziona la digitalizzazione del servizio. Ne parliamo con Fabrizia Bevilacqua, responsabile delle biblioteche di scienze umane, e Alberto Salarelli, docente di biblioteconomia e bibliografia.
La chiusura delle biblioteche
“La sensibilità del governo verso la cultura – spiega Salarelli – va a fasi alterne: per fare un esempio, a febbraio di quest’anno è stata varata una legge a sostegno della lettura che pone le biblioteche, specie quelle scolastiche, al centro dell’attenzione. Il fatto poi che le biblioteche siano sempre tra le prime ‘vittime’ si spiega con la convinzione, purtroppo diffusa che, chiudere un istituto di cultura sia meno dannoso sotto il punto di vista economico rispetto ad altre attività. Proprio questo è il fattore che mi ha spinto a sottoscrivere con decisione l’appello lanciato al governo dall’assessore Michele Guerra. Altro fattore da tenere in conto – prosegue – è il fatto che, come in altri comparti della cultura, anche per le biblioteche c’è la possibilità di proseguire con servizi a distanza di digital lending e di prestito ‘da asporto’, a differenza di molti altri settori lavorativi in cui la presenza fisica è fondamentale“.
La serie di chiusure ha coinvolto da vicino anche Fabrizia Bevilacqua, oggi incaricata dell’organizzazione dei servizi, dall’acquisto delle risorse al coordinamento del personale. Forte di un’esperienza in campo bibliotecario quasi trentennale, ha assistito in prima persona ai molti cambiamenti che hanno investito il mondo delle biblioteche, compresi quelli di questi ultimi mesi di emergenza sanitaria.
“Quando ho iniziato a lavorare – racconta Bevilacqua – non c’era il web, la rete, o almeno non come la conosciamo oggi. Le risorse informative erano esclusivamente su carta, così come i cataloghi delle biblioteche; tutte le operazioni erano registrate su moduli cartacei. L’avvento del digitale ha quindi semplificato notevolmente le cose. Le prime risorse ad essere state digitalizzate sono stati i cataloghi delle biblioteche, oggi tutti consultabili in rete, e i repertori bibliografici. Poi sono state convertite in digitale le riviste, già dagli anni ‘90, prima (e soprattutto) quelle in ambito scientifico, medico e tecnologico. Per ultimi invece i libri: in molti casi hanno iniziato a essere commercializzati sia in formato digitale (come gli ebook) sia, parallelamente, in cartaceo.”
Fare biblioteca nel 2020
All’Università di Parma non ci si occupa nello specifico di digitalizzazione dei documenti, compito che riguarda soprattutto biblioteche con collezioni storiche particolarmente importanti: come la Biblioteca Palatina, ad esempio. “Ma ciò non significa affatto – rassicura Bevilacqua – che non si garantisca nelle biblioteche universitarie la disponibilità di risorse digitali per le esigenze di ricerca e didattica: come libri, riviste e banche dati, ossia strumenti finalizzati alla ricerca bibliografica”.
Ampliando il discorso a livello nazionale, la digitalizzazione delle biblioteche, nelle sue molteplici declinazioni, è fortemente condizionata dalla disomogeneità del nostro sistema: “Oggi le nostre biblioteche sono frammentate – spiega Salarelli – Lo stesso termine ‘digitalizzazione’ è in realtà una sorta di ‘ombrello’ sotto il quale rientrano una pluralità di ambiti tra loro differenti, dalla digitalizzazione del patrimonio a fini di conservazione, ai servizi di prestito digitale che oggi coinvolgono più di un milione di cittadini italiani. Nel complesso, però, a fronte di regioni ‘biblioteconomicamente felici’ come l’Emilia Romagna, che dispone di una rete a banda ultra larga lungo tutta la Via Emilia, troviamo situazioni molto più arretrate in tutta la fascia da Roma in giù”.
Inoltre, osserva Bevilacqua, “mentre fino a qualche anno fa gli spazi delle biblioteche erano in gran parte destinati a contenere libri e riviste, oggi, con la progressiva sostituzione delle risorse cartacee con quelle digitali, la gestione dello spazio è cambiata e sono stati ampliati gli spazi destinati agli utenti (con la creazione di salottini e sale studio, ad esempio): meno spazio alle collezioni, più alle persone”. Nonostante questa sia un’evoluzione generalizzata nel panorama internazionale, non ha interessato da vicino molte delle biblioteche nostrane (parmensi e, più in generale, italiane), dove si riscontra ancora una realtà estremamente frammentata, appunto, “abbiamo molte biblioteche piccole, con spazi angusti, e poche biblioteche grandi: l’offerta di posti studio è, nel complesso, ancora insufficiente.”
La digitalizzazione
L’avvento del digitale, inoltre, ha cambiato il ruolo delle biblioteche all’interno della società. “Un tempo esse rappresentavano una sorta di intermediario tra il lettore e le informazioni – afferma Bevilacqua – acquistavano e organizzavano libri e riviste e l’utente vi si recava per usufruire delle risorse e dei repertori. Oggi, invece, è sufficiente collegarsi dal computer, per fare ricerche o addirittura per scaricare documenti e articoli, senza che vi sia la necessità per l’utenza più esperta di recarsi in biblioteca o di coinvolgere un bibliotecario. Tuttavia, conservano ancora un ruolo sociale importante: sono molti, infatti, gli studenti universitari che, pur potendo studiare individualmente a casa propria, preferiscono frequentare le biblioteche”.
A detta di Bevilacqua, “la biblioteca, almeno nel futuro prossimo, non è destinata a scomparire. Ma il mondo cambia rapidamente ed è difficile fare previsioni. All’inizio di questo millennio si aprì un dibattito proprio sulla scomparsa delle biblioteche e si iniziava a mettere in dubbio la loro utilità”.
Information Litteracy
Altro punto a chiave delle biblioteche di oggi è l’aiuto offerto agli utenti per orientarsi nell’universo di risorse facilmente disponibili in rete. Un problema di cui si parla molto ultimamente è quello delle fonti informative di scarsa qualità: la rete è sicuramente utile e comoda, in grado di rispondere a qualsiasi tipo di domanda. Non è detto, però, che fornisca la soluzione più corretta e autorevole. Spetta, dunque, alla biblioteca e ai suoi bibliotecari identificare le risorse più adatte, anche a livello qualitativo, per rispondere ai fabbisogni (in)formativi degli studenti.
“Non ho mai demonizzato Google – aggiunge Salarelli – Il motore di ricerca può essere utile come punto di partenza per una più ampia ricerca di livello accademico. Spesso, però, per pigrizia, ci limitiamo alla sola superficie del web aperto, ed è qui che deve entrare in gioco la biblioteca nella sua funzione di supporto alla ricerca: occorre far capire agli utenti che i bibliotecari sono una componente professionale di estrema importanza, troppo spesso sottovalutata. Non parlo solo di biblioteche pubbliche, ma anche di quelle accademiche e private: nel momento in cui l’università si propone di uscire dalle proprie mura, la biblioteca svolge un ruolo fondamentale. Mi piace citare in merito il caso della Liuc di Castellanza, biblioteca privata che ha intrapreso specifici corsi di information litteracy rivolti a studenti di scuole superiori e non solo.”
Sulla stessa lunghezza d’onda anche Bevilacqua: “Occorre comprendere che su determinati argomenti ci sono tantissime risorse, molte delle quali non sono di livello accademico. Le biblioteche si sforzano per far conoscere e utilizzare risorse che hanno comprato (e quindi pagato, talvolta anche a caro prezzo), affinché lo studente abbia accesso a informazioni che siano valide scientificamente”.
Biblioteche: tanti servizi poco conosciuti e poco sfruttati
Come si è già avuto modo di sottolineare, dunque, numerosi sono i servizi digitali che le biblioteche offrono agli utenti universitari e non solo, a partire dai cataloghi elettronici, troppo spesso poco utilizzati. Secondo uno studio frutto della collaborazione di British Library, University College London e del consorzio britannico JISC, intitolato ‘information behaviour of the researcher of the future‘, solo il 2% degli studenti e dei ricercatori “di professione” iniziano oggi la loro attività da portali Opac, mentre quasi il 90% degli intervistati si limita a cercare su Google o visitare Wikipedia. “Il vuoto principale – commenta Salarelli – si ha a livello scolastico: è inquietante che, ancora nel 2020, tra scuole medie e superiori non si forniscano nozioni di base di information literacy. Occorre considerare, inoltre, che molto spesso Opac e Google dialogano malissimo tra loro: se l’utente, come risultati di una ricerca, trovasse al primo posto informazioni bibliografiche provenienti da cataloghi online (come accade, per capirci, con Wikipedia) sono certo che gli Opac conoscerebbero una maggior diffusione. Il problema – spiega il professore – non è certo di natura tecnica, ma è sul versante dei cataloghi elettronici, troppo spesso poco trasparenti all’esterno verso il motore di ricerca e quindi incapaci di sfruttare le potenzialità di Google.”
Le biblioteche dispongono, inoltre, di un’ampia offerta di banche dati, utili strumenti per la ricerca di studenti e docenti. Queste offrono, poi, numerose riviste elettroniche, dove trovare articoli di ricerca specialistici e aggiornati. L’Università di Parma ha anche un archivio digitale, che contiene soprattutto le tesi di dottorato, scritte e conservate nel DSpaceUnipr (Digital Space Unipr), che ospita riviste in formato elettronico di docenti dell’Ateneo, garantendone la disponibilità e l’integrità in rete a lungo termine.
Sono aumentati in modo esponenziale, durante la pandemia, i servizi telematici: “Le biblioteche hanno cercato di aiutare, per quanto possibile, professori e studenti che si sono dovuti trovare improvvisamente lontani dalle risorse bibliografiche, fornendo un maggiore supporto – dichiara Bevilacqua – il personale lavorava da casa in smart-working, costantemente disponibile per e-mail o per telefono. Ci sono state diverse richieste di supporto da parte di utenti non abituati ad utilizzare risorse elettroniche. Molti in questi mesi hanno scaricato ebook da EmiLib e anche questo ha in qualche modo aiutato a mantenere un discreto contatto con gli utenti. La rete quindi è stata di grandissimo aiuto in questo periodo”.
“Nel corso della prima ondata di chiusure – prosegue Salarelli – la piattaforma Mlol (di cui fa parte anche EmiLib) ha registrato un incremento del 300% di prestiti digitali, con un’offerta di gran lunga superiore rispetto a quella di servizi concorrenti come Kindle Unlimited di Amazon. Mi piace ricordare – conclude – che, già a marzo, il dipartimento umanistico della nostra università aveva intercettato la scelta di molte case editrici di rendere disponibili a libero accesso risorse normalmente a pagamento, offrendo agli studenti, strumenti di altissima qualità come, per fare un esempio, Jstor.”
A queste iniziative emergenziali, si uniscono le molte risorse sempre a disposizione degli studenti del nostro Ateneo. “Il problema di fondo – sostiene il professore – è che spesso i nostri Atenei fanno ingenti sforzi economici per sottoscrivere abbonamenti molto onerosi, che rimangono però spesso inutilizzati a causa dello scarso livello informativo dell’utenza.”
La galassia dell’Open Access
Con la Dichiarazione di Messina del 2004, l’Italia ha tentato di allinearsi ai paradigmi europei sul mondo dell’Open Access, sottolineando l’importanza di individuare forme alternative di diffusione della comunicazione scientifica che garantiscano la più ampia disseminazione dei risultati della ricerca. Benché gran parte degli atenei italiani abbia aderito al progetto (71 su un totale di 84), a più di 15 anni di distanza il grado di coinvolgimento attivo delle università italiane in materia di open access è risultato basso e confinato alla minoranza degli atenei. “Anche l’Università di Parma ha aderito, ma non ha ancora emanato una propria policy, anche se da tempo girano diverse bozze in merito- commenta Salarelli – Prima di approfondire la questione, occorre, però, sfatare un falso mito che da tempo ruota attorno a questa realtà: anche l’OA ha dei costi che possono essere sostenuti dal ricercatore che di fatto paga per essere pubblicato (con gravi conseguenze, però, sull’affidabilità del prodotto finale) o da sovvenzioni pubbliche. Occorrono investimenti importanti, certo, ma con il grande vantaggio che il prodotto della ricerca, la conoscenza, torna ad essere un bene della collettività. Ed è proprio questa la strada scelta dall’Università di Parma che opera attivamente nel mondo OA, finanziando la formazione di nuovi repository (database in cui si raccolgono informazioni di ricerca utili alla collettività) e promuovendo numerose risorse in Open Access tra cui Parole rubate, rivista di letteratura diretta dal professor Rinaldo Rinaldi che ha ottenuto classificazione ANVUR di livello A e rappresenta quindi un’eccellenza di livello nazionale, quanto a certificazione dei dati peer-reviewed.”
Il mondo dell’Open Access, nonostante le difficoltà economiche, è in costante crescita. “Si tratta di una strada oggi imprescindibile – commenta Salarelli, da tempo attivo nel mondo OA. Se anche non ci credessimo noi studiosi biblioteconomici, è l’Europa a chiedercelo: tutte le ricerche finanziate con risorse europee devono, infatti, essere rese disponibili in modo Open, come del resto accade già da tempo negli USA. Noi, però, crediamo fortemente in questa via – prosegue. Tanto per rimanere in tema, prendiamo l’esempio degli studi sul vaccino anti-Covid: se nel giro di poco più di un anno già si intravede la possibilità di una cura efficace, dobbiamo ringraziare l’openness imposta agli studi scientifici americani. Questo non significa sminuire il ruolo degli editori, che possono aggiungere importanti servizi come una migliore formattazione del prodotto o la sua indicizzazione. Anche in questo caso sarebbe scorretto polarizzare; più utile sarebbe, invece, ipotizzare una soluzione di complementarietà tra i due mondi, in cui una stessa ricerca possa essere fatta prima circolare sotto forma di bozza o pre-print in modo Open, per poi venir pubblicata dalle case editrici con tutta una serie di utili aggiunte”.
Consigli in zona Cesarini (o zona arancione)
Considerate le nuove misure, sempre più stringenti anche per la nostra regione, può essere utile conoscere altre risorse, liberamente accessibili, da non perdere in questa seconda ondata di chiusure. “Per chi va alla ricerca di letture generaliste – consiglia Salarelli – suggerisco prima di tutto di consultare i portali delle biblioteche del proprio territorio, che offrono spesso servizi poco sfruttati. Uno studente universitario, specie di ambito umanistico, non può esimersi dal fare un giro sul sito di Dp.La, primo grande esempio di biblioteca digitale interamente pubblica, utile non solo per reperire nuove risorse, ma anche per entrare in contatto con un modo completamente nuovo di intendere la biblioteca. A questa aggiungerei i portali online delle principali università a stelle e strisce, da UCLA ad Harvard.”
di Alessandro Volpari e Filippo Pelacci
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