Sesso Amore e Disabilità: una storia nuova lunga decenni

ABILI AD AMARE: DIRITTO ALLA SESSUALITA' NELL'ITALIA DEI TABU'

Sesso Amore e DisabilitàThe Special Need (2014), Il Kamasutra del disabile (2006), The Sessions (2012), Sesso Amore & Disabilità (2012): sono solo alcuni dei titoli di film usciti in Italia e all’estero negli ultimi anni che hanno affrontato il tema della sessualità per i disabili. Alcuni nascono con un’esplicita volontà di informazione, o documentaria, mentre altri desiderano solo raccontare storie che esulano dalle nostre abitudini quotidiane, per ricordarci che c’è qualcos’altro oltre al mondo che noi conosciamo. “Il documentario è nato in un periodo in cui non se ne parlava e non era destinato ad inserirsi nel dibattito attuale, incentrato quasi esclusivamente sul tema dell’assistente sessuale”, spiega Valeria Alpi del Centro Documentazione Handicap di Bologna, che ha collaborato alla realizzazione del documentario Sesso Amore & Disabilità.

Il progetto in questione nasce nel 2005, quando il Centro viene coinvolto in una ricerca sociologica commissionata da Arcigay, che riguardava le persone disabili omosessuali. Questa ricerca prevedeva interviste strutturate che sarebbero state poi riportate nero su bianco, senza l’uso di immagini. “Da quella prima occasione numerose persone disabili, sia omosessuali che etero, hanno iniziato a contattarci perché volevano raccontarci le loro storie. Abbiamo subito notato come fosse forte il desiderio di visibilità da parte di queste, perciò abbiamo pensato che forse la parola scritta non sarebbe bastata. Quindi siamo partiti alla ricerca di qualcuno che volesse metterci la faccia, cosa che in realtà si è rivelata molto difficile”. In seguito alla diffusione di un comunicato stampa nazionale, un po’ alla volta, le persone sono arrivate. Così il regista Adriano Silanus e la psicologa Priscilla Berardi hanno iniziato un viaggio lungo 9000 km, per farsi raccontare 37 storie e riportarle a casa. Le interviste spaziano tra gli argomenti più disparati: dal ricorso alla prostituzione, passando per il devotismo, sino all’assistenza sessuale. Il film si concentra però solo sulle disabilità fisiche e sensoriali (sia congenite che acquisite), poiché si è ritenuto che le disabilità intellettive meritassero uno spazio di approfondimento indipendente.

“È stata bella l’anteprima a Bologna: eravamo in una sala gigantesca che conteneva 270 posti, ma era molto più piena. Sono dovute intervenire anche le forze dell’ordine per motivi di sicurezza perché c’era troppa gente: il pubblico era composto da persone di tutti i tipi, alcune semplicemente interessate, all’inizio forse solo curiose, di tutte le età”. E così è stato per tutte le proiezioni, ognuna ha raccolto spettatori di natura molto disparata. Al di là del grande pubblico, uno degli obiettivi del progetto è quello di portare il documentario nei corsi di formazione, soprattutto con le famiglie, poiché “sono le prime a rimuovere il problema”. È importante per il disabile vedere con i propri occhi che altre persone, con la sua stessa disabilità, ma anche una completamente diversa, sono riuscite a mettersi in gioco, ad avere una vita affettiva, sessuale. I filmati divengono lo specchio al quale riflettersi per iniziare il proprio percorso. Per questo l’utilizzo delle immagini è fondamentale, e spiega in parte l’imperversare di film sul tema. “La nostra cultura – spiega la Alpi – è visiva, le idee che abbiamo derivano da immagini di riferimento che ci siamo formati nel tempo. Io lavoro spesso sul tema della maternità nei disabili. Se dico ‘madre’ oggi mi immagino una donna che tiene un bambino con un braccio e nell’altro porta le borse della spesa e fa altre millecinquecento cose contemporaneamente; se dico ‘mamma disabile’ non riesco a visualizzare lo stesso fotogramma. Portando in giro il documentario mi sono accorta che nell’osservare le persone che ci hanno messo la faccia e hanno disabilità diversissime, si percepisce la naturalezza della loro condizione, che non sembra più così strana. In questo modo si costruisce un’immagine culturale che serve anche alla persona disabile”.

L’importanza del dibattito va quindi ben oltre alla questione dell’assistente sessuale, tanto seguita dai media tradizionali. Il Centro Documentazione Handicap di Bologna, che ha compiuto più di trent’anni, lavora da altrettanti sul tema della sessualità con gli operatori, le famiglie e le persone disabili. Fa riflettere quindi il fatto che venga percepito come un argomento nuovo. È certo positivo che il tema sia passato per trasmissioni televisive destinate ad un pubblico generalista, o a testate che non fossero di settore. Si tende però sempre a rimanere sulla superficie del problema, senza andare mai veramente a fondo. “Se passasse la legge sull’assistenza sessuale in Italia, avremo affrontato solo la minima parte di tutta la questione. Dal momento in cui non sarà una figura per tutti, concentrarsi solo su di essa è riduttivo. Da un lato si deve portare avanti questo progetto, dall’altro si deve continuare a lavorare con le famiglie, con gli operatori, con gli educatori, perché gli ostacoli culturali non saranno subito abbattuti. Temo che nel tempo si possa creare una specie di alibi: chi avrà diritto all’assistente sessuale non potrà più lamentarsi. In un momento in cui finalmente l’argomento è uscito fuori si dovevano mettere quindi in luce tutte le altre sfaccettature del problema”. Tra queste sicuramente il fatto che l’educazione sessuale non venga garantita ai normodotati, figuriamoci a chi ha qualche difficoltà in più. L’assistenza sessuale non è sinonimo di progresso, “ci sono tante cose da sistemare”, che chiaramente non si possono risolvere con un film, sebbene esso ci offra l’occasione per aprirci ad una nuova forma di sensibilità.

 

di Roberta Cristofori

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