Non basta un bel panorama a rendere accettabile la DAD

Fiammetta é una bambina che è costretta a studiare all'aperto, in montagna, ed è stata proclamata dai giornali icona di una didattica a distanza positiva e vantaggiosa. Ma quanto ci costa accettare tutto ciò?

Fiammetta è una bambina diventata virale: frequenta la quarta elementare da una valle in cui pascolano caprette che le rosicchiano la sedia, probabilmente pure i compiti.

Emma è mia cugina: lei frequenta la quarta elementare dalla camera di un appartamento in cui non c’è un cane che le mangia i compiti, ma lo vorrebbe tanto.

Fiammetta ha un padre che è costretto a portarla sul posto di lavoro per farle seguire le lezioni ed Emma ha una madre che ha portato il lavoro a casa perché i suoi figli facciano lo stesso.

Queste due bambine sono distanti duecento chilometri, abitano una in pianura e l’altra in montagna, fanno lezione chi all’aria aperta e chi con la finestra aperta, hanno genitori che fanno lavori totalmente diversi, tra un maso e la vita da ufficio. Eppure, a queste due bambine che non potrebbero essere più diverse, manca la stessa cosa: la scuola. Mancano le maestre che spiegano e ripetono fino a quando non riescono ad assicurarsi che tutta la classe abbia capito l’argomento, invece di quelle che fanno fatica a capire i bisogni dei loro studenti attraverso uno schermo. Mancano gli amici con cui inventarsi giochi in cortile, invece che quelli con cui videochiamarsi per fare i compiti; l’aula con i cartelloni appesi alle pareti, invece delle stanze di Google Meet o Microsoft Teams.

Perché quella che Fiammetta ed Emma stanno frequentando, chi tra i monti e chi tra quattro mura, non è la scuola, non è la quarta elementare: è un surrogato. In questi giorni, quasi tutte le maggiori e minori testate italiane hanno pubblicato con orgoglio la foto di Fiammetta che studia in mezzo alle caprette, lodando l’iniziativa del padre Massimiliano e sottolineando la poesia che sta nel fermare le pagine del quaderno con dei sassolini, la bellezza ormai rara di una bambina che apprezza la natura. I giornalisti italiani e stranieri si sono persi in parole di apprezzamento per gli effetti positivi di questo gesto sull’educazione e l’attitudine della bambina, dando ai propri articoli titoli positivi come DaD, non tutto è perduto (Il Fatto Quotidiano). Insomma, secondo la stampa, per annullare i lati negativi della DaD, basta mettere i bambini davanti ad un bel panorama e, per contrastare il peso tecnologico di questo modo di fare scuola, basta che il suddetto bel panorama sia immerso nella natura. 

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Forse certi giornalisti non lo sanno che Fiammetta ha perso metà della terza e ora della quarta elementare. Forse non l’hanno capito che Massimiliano non ha deciso di portare sua figlia nei monti per irrobustirla o per migliorare la sua capacità di adattamento, ma perché non aveva altra scelta. La storia di Fiammetta non è una storia di speranza, nonostante la vogliano far passare per questo, ma é – come la storia di Emma – una storia di perdite. E la storia di Massimiliano e sua moglie è, come la storia dei miei zii, una storia di grandi sacrifici.  Non ci sono capre, per quanto simpatiche, che possano sostituire i compagni di classe, e non ci sono vallate, per quanto mozzafiato, che possano rimpiazzare un’aula di scuola: la DaD non può e non deve essere un’alternativa bella, o anche solo accettabile.

É quella che le famiglie italiane hanno dovuto accettare, ma il prezzo che stanno pagando la rende inammissibile, in tutti i casi – sì, anche in quelli in cui l’aula di scuola viene sostituita da un prato fiorito. Ognuno di noi conosce un genitore che va al lavoro in pensiero per i figli rimasti a casa, un altro che è dovuto restare a casa e ha finito le idee su come riuscire ad incastrare le varie attività e pure uno che cerca di unire casa e lavoro. Questo nuovo modo di vivere la genitorialità, che è diventato la norma al tempo del Covid-19, è un modo dove non ci sono possibilità o scelte, ma solo – per l’appunto – sacrifici. Infatti, ad un anno dai disegni e dagli hashtag andrà tutto bene, è chiaro che per nessuna famiglia italiana le cose vanno bene.

C’è certamente chi sta meglio di altri, psicologicamente o economicamente, ma è lontano dallo stare bene. Questo perché non ci sono possibilità in una scuola che non permette agli insegnanti di dare il massimo per la propria classe, agli studenti di sostenere lezioni e verifiche adeguate, di conoscere qualcuno e stringere amicizia. Non c’è equità in una scuola che necessita di costosi dispositivi tecnologici, di una connessione internet che sia veloce, di una stanza in cui l’alunno possa stare da solo, di stampante, fogli ed inchiostro per i compiti.

Quindi no, non accettiamo che si scriva che con la DaD non tutto é perduto. É persa la prima elementare di mio cugino Francesco, che non sa cosa voglia dire abbracciare la propria maestra; è perso il conforto che danno ad Emma le sue migliori amiche, che ora deve accontentarsi di vedere da uno schermo; sono perse le recite ed i saggi di fine anno, i cui applausi finali scorticavano le mani dei miei zii e degli altri genitori ma mandavano in fibrillazione i bambini.  Può sembrare poco, ma se scaviamo nei nostri ricordi capiamo che è tutto.

Noi che abbiamo vissuto la scuola elementare, le medie e le superiori senza la mascherina, proprio noi non possiamo essere così ciechi da ritenere queste mancanze accettabili. Non possiamo proporre l’idea che una valle di montagna sia una vittoria, perché, rispetto a quello che manca, a quello che si perde, non può essere altro che una terribile sconfitta.  Certo, a Fiammetta piace seguire le lezioni mentre l’aria d’alta quota le scompiglia i capelli e ad Emma piace non doversi svegliare più così presto per andare a scuola. Magari tra qualche anno, quando si troveranno accanto un compagno antipatico o dovranno essere interrogate da un’insegnante dall’alito pesante, rimpiangeranno la mascherina e le lezioni online. 

Ma quello che stanno perdendo ora è qualcosa che non avranno più indietro. E se loro e i loro coetanei sono troppo piccoli per capire la vastità di quello che rimpiangeranno, noi non lo siamo. Per questo abbiamo il dovere nei loro confronti di non accettare quello che promuovono molti giornalisti e altre figure, ovvero la modernità di una didattica a distanza piena di spunti positivi e possibilità. Ridurre l’istruzione a qualche ora davanti ad un computer non fa perdere solo i bambini, ma anche noi, perché è il nostro futuro che sarà in mano loro.  Questo surrogato di scuola, queste mancanze che ci condizioneranno tutti, non possono essere indorate dal panorama dei monti, addolcite dal belare delle caprette, non possono essere accettabili. Perché proporci di renderle tali, allora?

di Teresa Tonini

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