(Non) seguire quella dieta
Confessioni e consigli di un'appassionata di diete su come vivere al meglio. Primo consiglio: non fatele
Non so quante diete ho fatto nella mia vita. Sicuramente più di dieci, probabilmente meno di trenta. Ne ho provate tante, troppe: dal digiuno ad intermittenza, all’eliminazione dei carboidrati; da quella a base di brodo, a quella a base di tisane. Dalle più sane alle più distruttive – solo una volta sono andata da una professionista. Di tutte queste volte, non una sono stata soddisfatta dal risultato. Mai sono riuscita a mantenere quello che avevo perso. Il problema era la costanza, o la motivazione, o ancora un affetto troppo profondo per il cibo.
Ogni volta che ricominciavo una dieta nuova, mi convincevo che stavolta sarebbe stato diverso, che sarei riuscita a cambiare davvero. Mi sono torturata di diete quando facevo sport quattro volte a settimana, seguivo un’alimentazione bilanciata ed il mio BMI indicava che fossi tranquillamente normopeso.
Perché quindi cambiare qualcosa che già funziona, che va bene? Perché rischiare per decine di volte la mia salute fisica e mentale con restrizioni al limite dell’assurdo?
Perché avevo ricevuto un’invito. Non so precisamente quando, un qualche anno delle medie e tante, tantissime persone che conoscevo ne facevano parte: non volevo e non potevo restarne fuori. E oggi vedo ragazzine ancora più giovani di me, delle bambine, ricevere lo stesso invito e osservo donne crescere senza uscire mai da questo club e diventare madri, destinando i propri figli allo stesso circolo.
È l’invito al club meno esclusivo che sia mai esistito, che vuole tra i suoi membri tutte le donne, indipendentemente dalla loro età, dalla loro taglia, dalle loro abitudini. Un invito a perdere i chili presi durante le feste, a preparare il corpo per l’estate, ad eliminare un alimento o a saltare un pasto – siete tutte invitate a prendere parte alla diet-culture. Accomodatevi, perché non sarà una permanenza breve.
Ricordo le conversazioni, le sfide. Se ti distendi a terra e poggi una matita accanto al tuo stomaco, questa deve superarlo in altezza oppure vuol dire che devi perdere peso. Se unendo pollice e indice della mano opposta non riesci a circondare una coscia allora devi perdere centimetri. Se non hai una linea concava che ti attraversa l’addome significa che devi perdere pasti. E poi, le soluzioni. Salta la cena, avvolgi con lo scotch la pellicola trasparente attorno alle gambe e infilaci sopra i pantaloni, non mangiare zuccheri e fai cento addominali al giorno.
Sono la normalità queste conversazioni, tra i membri del club. Ragazze si scambiano piani alimentari come fossero vestiti e mamme tramandano consigli detox assieme alle ricette di famiglia. Non puoi evitare di incappare in ‘consigli’ come questi, i segreti del mestiere di chi ormai è consumato da una cultura della dieta che da anni le vuole sempre più magre, sempre diverse da come sono.
Infatti, le riviste femminili propongono da decenni diete lampo e ricette chetogeniche, rivolte a tutte senza criterio alcuno, indipendentemente dal loro stile di vita, dall’età, dal peso di partenza: sarebbe sciocco pensare che suggerimenti e regole girino solo da qualche anno.
Dalla loro alla nostra generazione c’è solo una novità, che è quella che ha contribuito ad abbassare sempre di più l’età media dei membri del club: i social media. Tramite Instagram, vecchie fiamme come Tumblr e nuove come TikTok, la diet-culture si è diffusa a macchia d’olio, radicandosi ancor di più nella nostra quotidianità.
Questa cultura della dieta è difficile da definire, in quanto le sue caratteristiche non sono perfettamente definite. In generale, è quella mentalità che si concentra sull’alimentazione e sull’esercizio fisico e che negli ultimi anni si è specializzata nel promuovere ed esaltare solo corpi di una specifica magrezza come rappresentanti di salute fisica.
A contrapporsi a questi comportamenti si sono imposti movimenti come quello della body positivity e dell’anti-dieta, che si basano sull’idea che un fisico magro non può e non deve essere l’unico accettabile e accettato, né eletto a solo indice di salute. Combattere la diet culture è fondamentale per la nostra e le seguenti generazioni, ma attenzione, farlo non vuol dire condannare le persone magre o chi cerca di diventarlo, ma è porsi una domanda: perché? E’ perché vuoi iniziare un percorso di dimagrimento serio, seguita da dei professionisti, o perché vuoi cercare il modo veloce di somigliare di più a quello che è popolare nel feed di Instagram e nelle copertine dei giornali?
Sia chiaro, non c’è niente di male a volere di più dal proprio corpo, nel volerlo più forte, più tonico, più flessibile, ma il male c’è nell’essere disposti a rischiare la propria salute nel farlo.
Tutti noi impariamo, fin dalle scuole elementari, che esiste una piramide alimentare e che ogni cibo può e deve essere consumato nelle giuste quantità. Quindi nel momento in cui, consapevoli di ciò, andiamo ad eliminare elementi essenziali dalla nostra dieta, come la frutta (contiene troppi zuccheri) o i carboidrati (troppo pesanti), sappiamo che stiamo rischiando. Sappiamo che stiamo togliendo al nostro corpo delle sostanze di cui necessita per perdere quattro chili in una settimana. Sappiamo che stiamo mettendo l’aspetto esteriore prima della salute fisica.
Se ti stai chiedendo perché lo si fa comunque, stai combattendo la cultura della dieta. Quella che impone di non domandarsi nulla, di fare e basta, e di pagare il prezzo dopo. Quella che impone di ricominciare una volta che la tua dieta lampo non ha funzionato e di restringere ancora più di prima e poi di più ancora, di fare i conti dopo con il mal di schiena, la perdita di capelli, la mancanza di energie. Quella che ti fa trovare ogni giorno un’infografica nuova, su quali cibi da zero calorie consumare al posto degli altri, su quali attività puoi fare invece di mangiare, su quanti minuti di esercizio servono per bruciare questo o quell’altro cibo.
Dopo vent’anni, anche io mi sono chiesta perché. Mi sono domandata perché nonostante avessi un calcolatore nella testa pesassi più di prima, perché nonostante avessi letto e testato decine di diete le mie abitudini alimentari ora erano scorrette, malsane.
Dopo vent’anni io so ignorare le infografiche che dis-educano, i suggerimenti che fanno più male che bene. Ma ci sono voluti anni. Per una ragazzina che naviga su TikTok o Instagram, è questione di ore prima che compaia il video virale o l’influencer di turno che suggerisce di bere clorofilla o acqua e limone al posto della colazione; che promuova frullati sostituti dei pasti o che affermi che una persona dovrebbe consumare meno di 1200 calorie al giorno.
Secondo i dati SINU (Società Italiana di Nutrizione Umana), una ragazza di quindici anni mediamente attiva dovrebbe assumerne il doppio e il 25% del suo fabbisogno calorico giornaliero andrebbe assunto durante la colazione. E sarebbe un errore enorme pensare che questi fenomeni siano troppo occasionali o poco diffusi per intervenire. L’hashtag #chlorophyll, l’ultima moda dimagrante, vanta su TikTok ben 198,4 milioni di visualizzazioni. Se contiamo che il 33% degli user italiani sono minorenni, è chiaro che il pericolo che la diet-culture influenzi e abbia impatti sulla salute dei giovanissimi è reale.
Chiedete ad una ragazza che conoscete, di qualsiasi età, quante diete ha provato nella sua vita.
E poi chiedetele perché ha speso dei soldi per quei So Shake che sono chiaramente una fregatura; perché ha bevuto litri di quella schifezza di aceto di mele; perché si sforza a respirare male in un corsetto-sauna.
Risponderà che l’ha visto sul profilo di quella là, quella famosa che ha la pancia piattissima, il punto vita strettissimo, gli addominali definitissimi. Quella là che è stata pagata per promuovere quel prodotto che non è il motivo per cui ha ottenuto tutti quegli –issimi. Ad essere onesti, quegli -issimi neanche ce li ha.
La vita se l’è stretta di più con Facetune; la pancia la sta tirando in dentro; gli addominali li sta flettendo alla luce diretta del sole. Quella là è con ogni probabilità bellissima nella vita reale, si allena ogni giorno della settimana e fa decine di trattamenti estetici per esaltare i suoi risultati, ma non è quella che mostra sui social.
L’ultimo celebre caso italiano è quello di Michelle Hunziker, donna indubbiamente stupenda, invidiata e apprezzata da chiunque, e che comunque si appiattiva la pancia con Facetune. Esatto, Michelle Hunziker. E’ evidente ora che se anche Michelle sente la pressione di modificarsi, di sembrare sempre più magra per essere apprezzata di più, la cultura della dieta non è un’invenzione di donne gelose e pigre che vogliono trovare scuse per non seguire un’altra dieta, ma la dolorosa realtà di troppe persone. L’assurdo è che questa cultura si basa da sempre su canoni falsi, su foto ritoccate sui giornali e su foto ritoccate sui social media.
Ancora più assurdo è che questa cultura cambia di continuo: se un giorno, dopo immensi sacrifici e un po’ di genetica arrivi ad essere esattamente come vogliono che tu sia, il giorno dopo comparirà una nuova moda, un nuovo trend – ricordiamoci le nostre madri, cresciute idolatrando il fisico della Campbell e diventate adulte in un mondo che ora vuole i fianchi delle Kardashian.
La realtà è che negli ultimi anni non è mai esistita una donna che andasse bene per com’è: ha sempre dovuto essere modificata o modificarsi. Continuare a fare parte di questo club è un po’ come essere Ifigenia: già sappiamo che non andremo mai bene, che dovremo occupare sempre meno spazio, che perderemo nel tragitto pezzi di noi, pezzi di sanità mentale e fisica – ma lo facciamo comunque.
Ci sacrifichiamo un poco, pochissimo ogni giorno, ogni volta che dubitiamo se ne vale la pena di rischiare la nostra salute per un bikini body, che agiamo per assomigliare ad uno standard di bellezza effimero ed ingannevole, che non ci affidiamo all’aiuto di qualcuno di qualificato.
Ma Ifigenia alla fine si salva. Artemide si rende conto della portata del sacrificio e la salva. Se quindi la domanda che combatte la cultura della dieta, che permette di uscire dal club è perché, la soluzione per farlo davvero è essere Artemide. Usando le stesse armi del suo nemico, tante sono le Artemidi che tramite pubblicazioni cartacee e ai più importanti social media si battono per diffondere messaggi opposti, basati principalmente sul metodo dell’intuitive eating e dell’anti-dieta. Questa nuova cultura si basa sulla diffusione dei principi della corretta e sana alimentazione, che non include restrizioni e privazioni ma giuste misure, che non vede l’esercizio fisico come una punizione o un mezzo per guadagnarsi qualcosa da mangiare. Ma come un modo per stimolare la serotonina, per essere più forti e più sani. Se la diet-culture promuoveva cambiamenti lampo, l’anti-dieta vuole costruire abitudini a lungo termine, e non vuole far raggiungere un numero, ma un rapporto sano col cibo.
Per chi vuole approcciarsi a questa mentalità, tra i libri consiglio L’Anti-Dieta della dottoressa Silvia Goggi, Just Eat It della nutrizionista Laura Thomas, e il classico Mindful eating di Jan Chozen Bays. Nel mondo social, invece influencer come il dottore Edoardo Mocini, la personal trainer Martina Baiardi e la dietista Sara Olivieri sfruttano la loro piattaforma per combattere la diet-culture ed i messaggi sbagliati che essa comporta.
Essere Artemide in un mondo che ti vuole Ifigenia non è facile. Anzi, è una sfida continua, un pericolo di cui spesso ci accorgiamo troppo tardi, quando realizziamo che ciò che abbiamo perso non sono i chili o i centimetri, ma le occasioni e gli anni passati ad organizzare una vita in base allo sgarro e al recupero, ai vestiti che ti puoi permettere e a quelli che puoi solo desiderare, alle foto che devi modificare. In breve, è una sfida a vivere a pieno, a vivere meglio.
di Teresa Tonini
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