Ma il fascismo se n’era mai andato?

Dopo le manifestazioni NO Green Pass e NO Vax di sabato 9 ottobre l'Italia torna a confrontarsi con la violenza neo-fascista

A moment of the clashes between the Police and the “No Green Pass” protesters in the center of Rome, Italy, 09 October 2021. ANSA/MASSIMO PERCOSSI

Il fascismo esiste ancora? Questa la domanda che è tornata a insinuarsi nel dibattito politico dopo le manifestazioni NO Green Pass e NO Vax di sabato 9 ottobre e dopo la conseguente escalation di violenza nelle vie di Roma – culminate nell’assalto alla sede della CGIL.

Ci si chiede di nuovo se, dopo anni di presunta quiescenza, il fascismo sia ritornato. Se in Italia esistano ancora partiti definibili tali e se sia giusto o meno dissolverli. Domande che negli ultimi anni si sono ripresentate ciclicamente all’interno del dibattito e alle quali – in seguito ai recenti fatti di cronaca – è urgente poter dare una risposta.

Il fascismo in Italia non è tornato. È che non se n’è mai andato.

A chi, a questa provocazione, risponde che gli attuali partiti di estrema destra non hanno nulla da spartire con il fascismo storico del ventennio e di Mussolini e che l’antisemitismo e il razzismo, per come li abbiamo visti, sono un aspetto del passato, consiglierei la lettura di Umberto Eco che, nel 1995, in Fascismo Eterno diceva:

L’Ur-Fascismo è ancora intorno a noi, talvolta in abiti civili. Sarebbe così confortevole, per noi, se qualcuno si affacciasse sulla scena del mondo e dicesse: “ Voglio riaprire Auschwitz, voglio che le camicie nere sfilino ancora in parata sulle piazze italiane!” Ahimè, la vita non è così facile. L’Ur-Fascismo può ancora tornare sotto le spoglie più innocenti. Il nostro dovere  è di smascherarlo e di puntare l’indice su ognuna delle sue  nuove forme – ogni giorno, in ogni parte del mondo.

Attenzione: dire che il fascismo non se n’è mai andato non significa dire che esso non abbia cambiato forma. Nel corso della storia si sono susseguite varie forme di fascismo, da quello italiano del ventennio, alle dittature militari di Pinochet o in Myanmar, fino ai movimenti e gruppi estremisti-xenofobi che infiammano il panorama politico europeo.

Tutt’ora in Italia esistono più organizzazioni che potremmo definire fasciste, (di cui alcune sono implicate nei fatti avvenuti a Roma) e il fascismo, più che un elemento monolitico, è una galassia di partiti e personalità, dalle più moderate a quelle più violente. Siamo in grado di individuare vari fascismi, più o meno accettati dalla nostra società, che risulta necessario scovare e smascherare.

I più eclatanti sono, ovviamente, i più estremisti quelli facilmente etichettabili come tali. Questi movimenti non hanno mai ottenuto un forte peso all’interno delle Istituzioni: hanno anzi sempre raggiunto percentuali abbastanza basse – insignificanti potremmo dire – alle varie competizioni elettorali. Molte volte però queste organizzazioni hanno deciso di non concorrere affatto, prediligendo un’azione politica di tipo extra parlamentare, spesso violenta. Ne sono esempio storico organizzazioni come Ordine Nuovo (responsabile dell’attentato di piazza Fontana) o Avanguardia Nazionale, attori di primo piano durante gli anni di piombo.

Esempi non solo di un sistematico e strutturale uso della violenza, in sostituzione del metodo democratico, ma di come l’ideologia fascista, dopo periodi di quiescenza, esca dal nascondiglio in cui si ritira per sferrare i suoi attacchi alla società democratica.

I momenti in cui fascismo sembra ritornare non sono casuali. Il recente “salto di qualità”, come è stato definito dall’ANPI l’attacco fascista alla sede della CGIL, è avvenuto in seguito ad un anno e mezzo dall’inizio della pandemia, in una situazione politica, economica e sociale che potremmo dire disastrata. Le forze politiche dell’estrema destra sono riuscite a sfruttare questa situazione, portando dalla loro parte una fetta della popolazione più vulnerabile.

Dai commercianti che hanno dovuto chiudere le proprie attività, alla popolazione delle periferie degradate delle grandi città, dove l’emarginazione sociale è aumentata, fino a chi per paura o scarsa conoscenza, diffida dei vaccini. A tutte queste persone l’estrema destra ha fornito obbiettivi specifici contro cui scatenare la propria rabbia o il proprio timore. Questa non è una novità. L’abbiamo visto accadere, sotto i nostri occhi, da ormai molti anni. La rabbia sociale, la paura, sono progressivamente state conquistate da una narrazione di destra, razzista, tradizionalista e che spiega la complessità del mondo tramite teorie del complotto e piani segreti.

Questo però non è ‘merito’ solo delle forze più estremiste che, seppur rumorose, sono comunque piccole. Nell’ultimo decennio abbiamo assistito a una progressiva normalizzazione di posizioni sempre più estremiste, che da argomenti di nicchia sono diventate mainstream.

L’attore di questa normalizzazione, cui dovremmo rivolgere il nostro sguardo accusatorio, potrebbe essere ricercato nell’arco di partiti della destra “istituzionalizzata”.

Partiti che partecipano alla vita politica del Paese, all’interno delle sue istituzioni repubblicane. Siedono in parlamento, hanno governato in governi di centrodestra – sia a livello nazionale, regionale che locale. Usano il metodo democratico al posto della violenza fisica che non è parte strutturale della loro azione politica. Cosa diversa invece per quella verbale, ormai largamente sdoganata.

Questi partiti  ‘strizzano l’occhio’ a movimenti e personalità dell’estrema destra fascista, sia in modo diretto, candidandone esponenti all’interno delle proprie liste (un esempio è Roberto Fiore, eletto europarlamentare nel 2008), sia in modo indiretto, adottandone la retorica e i contenuti.

Frequenti sono i riferimenti al ventennio fascista così come anche dichiarazioni di stampo razzista e antisemita (caso recente ha coinvolto il candidato sindaco di Roma per il centro destra, Michetti).  Spesse volte, però, queste dichiarazioni sono poi ritirate, coperte da scuse o da giustificazioni campate per aria.

I leader e i segreteri di questi partiti si dissociano, etichettandole come “spiacevoli uscite” di alcuni loro esponenti e non come il pensiero strutturale della propria organizzazione. Almeno in quei casi in cui generano una condanna sociale generalizzata.

Quando accade? Quando queste dichiarazioni superano una soglia di estremismo accettato e tollerato dalla società, oltre la quale vengono respinte. Questi partiti spingono perché questa soglia si sposti verso il proprio estremo di riferimento, per fare in modo che dichiarazioni sempre più estreme siano progressivamente accettate dalla società: insomma diventino progressivamente normali.

A tutto vantaggio delle forze più estremiste, ovviamente, che hanno mano libera di diffondere un’ideologia neo-fascista in un contesto sociale che potremmo dire più permissivo.

Il fatto che nessun partito che si presenta sulla scena politica usi esplicitamente il termine Fascismo, o il fascio littorio sul proprio simbolo elettorale, non deve trarci in inganno. Il fatto che per lunghi periodi, la violenza non caratterizzi più la politica nazionale non deve illuderci sul fatto che non possa ritornare. Dovremmo invece cercare i punti deboli da cui potrebbe emergere e risolverli. Risolvere quelle condizioni sociali e culturali che lo alimentano, da cui si nutre per crescere e diffondere. Combatterlo in ogni sua forma, “ogni giorno, in ogni parte del mondo”.

 

di Antonio Orfeo

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